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Il mio riflesso in fondo al pozzo

Post n°488 pubblicato il 29 Marzo 2017 da lab79

Ho acceso un sigaro e lo lascio bruciare in pace, ravvivandone la brace di tanto in tanto con un respiro breve. Il sole si avvicina a passi brevi sul pavimento del balcone, ed io lo aspetto seduto nell'angolo in ombra, indifferente ma consapevole che una volta superato l'orlo del posacenere sarà ora di alzarmi e preparare il pranzo. Il tempo avanza: la terra gira sul suo asse e macina il tempo in farina sottile, che si solleva in aria al minimo soffio di vento, e si disperde. Ogni volta che mi ripeto questa frase, sono un po' più vecchio. Apparentemente non ho pensieri: la casa è decentemente pulita, ragionevolmente in ordine. 

Ho calcoli da fare, questo si. Progetti da rivedere, come quello della casa da acquistare. E la mia mente galleggia persa tra cifre approssimative e vaghe: a quanto potrò vendere, di conseguenza a quanto acquistare? A quanto ammonta l'importo da tenere come margine di trattativa, e di quanto sono disposto ad erodere i nostri risparmi per eventuali lavori di ammodernamento? E poi: dove? In collina, dove la vista è superba ma poco pratica? Vicino al lago, dove il clima è peggiore ma la comodità di avere il paese a pochi passi -o esserci dentro- rende tutto più facile? Allontanarmi da dove abito ora, dovendo portare via mio figlio dai primi amichetti? Lasciare tutto com'è, sacrificare budget e restare nelle vicinanze? 

Ho visto case: nuove, oppure vecchie da riammodernare, antiche da ricostruire. In ognuna è stato necessario ricorrere a domande, per capire, valutare, misurare. "Chiedi tu le cose tecniche" mi dice mia moglie, "tu hai occhio per queste cose". Ed io giro per le stanze vuote, sfioro i muri e cerco crepe, valuto le tubature, chiedo notizie sui lavori eseguiti; immagino costi affrontati e da affrontare: vecchie finestre da sostituire, vetri da cambiare, muri da abbattere e spazi in cui collocare mobili. Porte da rinnovare, eventuali possibilità di ampliare. Ma intanto che chiedo, misuro e valuto, faccio il lavoro più difficile per me: che è quello di sognare la mia vita fra quelle mura, immaginare mio figlio che ci cresce dentro con i suoi amici e i suoi giochi, i suoi libri e i suoi sogni da far diventare grandi. Ed ogni volta è un esercizio che mi affatica il cuore, che affannato e stanco boccheggia in silenzio nella sua gabbia, sperando che lo sforzo basti a tenere in vita l'anima stanca.

Perché certi giorni come oggi, in cui il sole tronneggia nel cielo terso d'un azzurro infinito e finalmente nel bosco la primavera si rigira sornioniona e pigra, nel mormorìo del torrente poco lontano e nel cinguettìo dei pettirossi che preparano il nido, nell'assordante fruscìo delle foglie che sbocciano e si aprono e nei fiori che emergono dalla terra dopo aver riposato tutto l'inverno; ecco, certi giorni come oggi, in tutto questo mondo che si risveglia io non sento altro che il peso della leggerezza di una vita troppo grande e limpida da affrontare, e non desidero altro che di svanire in un refolo di vento, come la cenere che ora riposa sul davanzale della mia finestra.

 

 
 
 
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