Post N° 106

Post n°106 pubblicato il 03 Giugno 2006 da Papermoon68
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Il sole era al tramonto e lui beveva lentamente, increspando l’acqua color delle nuvole, mentre il vento leggero odorava di erba. Alle sue spalle un fruscio lo fece sobbalzare e il leone si girò disturbato, ruggendo con forza verso i cespugli, caso mai ci fosse un nemico da spaventare. La riconobbe appena la guardò negli occhi, ma veniva avanti zoppicando e dal fianco destro gocciolava del sangue da una ferita. "Che ti è successo?" disse il leone. "Un cacciatore…mi ha ferita, ho corso tanto per scappare", rispose affannata la gazzella.
Il leone la osservò con attenzione e la trovò affranta.
"Sei stata veloce però, non ti ha preso"
"Non voleva prendermi, voleva solo ferirmi…ma ora non ho più fiato leone, non potrò più parlare del sole e della luna, del vento e dell’erba".
Il leone scosse la testa" Sei solo stanca….riposati ora, la ferita guarirà". Il piccolo animale rispose triste inclinando il capo.
Andandole incontro, il leone appoggiò il muso sulle sue spalle, spingendola ad accucciarsi sull’erba.
Quel contatto fresco e umido le dava sollievo, guardò negli occhi il leone e gli disse "Ora potresti mangiarmi leone…"; lui osservò di nuovo la ferita che continuava a sanguinare e le rispose " Non ho fame…sei stanca, riposati". Il dolore era forte ma faceva più male il sapere che forse non avrebbe più corso; la gazzella sospirò, era così stanca che doveva chiudere gli occhi almeno per un momento.
Il leone annuì vedendola dormire, le si sdraiò accanto ed alzando il muso verso il cielo ormai scuro, pensò che forse quella notte sarebbero stati il sole e la luna, il vento e l’erba a parlare di loro.

 
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Post N° 105

Post n°105 pubblicato il 03 Giugno 2006 da Papermoon68
Foto di Papermoon68

Non riusciva a dormire. C’era qualcosa che lo faceva pensare…il caldo, che si era fatto sempre più intenso negli ultimi giorni e l’acqua dello stagno cominciava a diventare torbida e fangosa; il cucciolo, che stava crescendo e nell’ultima caccia non si era mosso al momento giusto, se non fosse diventato più veloce non avrebbe potuto procurarsi del cibo: doveva imparare. Ma non era quello il suo pensiero. Si girò e la vide che dormiva, nell’ombra…
Che diavolo aveva quella bestia? Che stava facendo lui lì accanto a lei? Proprio perché la caccia era andata male avrebbe dovuto cogliere quell’occasione, bastava così poco. Le si avvicinò, con passo lento, senza far rumore il suo muso si accostò al suo collo…

Poteva sentire il suo respiro caldo su di lei, e quel roco rantolio che proveniva dalla sua gola. Stava immobile, ferma, pensò che era l’unica cosa da fare in quel momento. Con gli occhi chiusi, impaurita si chiedeva quale sarebbe stato il suo destino nei prossimi minuti. Il rantolio si faceva più intenso, come un ruggito soffocato, e il respiro del leone le scorreva sulla schiena e sul collo e lei si sentiva sempre più agitata, sempre più in pericolo.

Voleva farlo allora? Aveva dunque cambiato idea? Perché….o forse perché no….? La osservava, guardava quegli occhi grandi chiusi, con ciglia lunghissime, e si chiedeva che cosa sognasse in quel momento.

Quando si era svegliata e lo aveva visto osservare il cielo aveva pensato che forse qualcosa era cambiato, ma non aveva voluto parlargli, poi il suo muoversi repentino l’aveva spaventata e fingersi addormentata era l’unica cosa che poteva fare, non ce l’avrebbe fatta a correre via, a scappare, non ora, non di nuovo.

Continuava ad osservarla, quel curioso fragile animale che con forza aveva trovato il coraggio di stare in piedi accanto a lui senza avere paura. Lo rendeva inquieto, ma forse lui era sempre inquieto e l’apparente tranquillità di quella gazzella lo faceva star bene.

Non sapeva cosa doveva fare, sembrava che l’osservasse, anzi che osservasse il suo respiro, che respirasse con lei. Alzarsi e scappare…restare e guardare negli occhi il leone per dirgli "Ora!". Ma intanto li teneva chiusi, stretti stretti e ascoltava il battito del suo cuore che si faceva sempre più veloce.

Si chiedeva perché il cuore gli battesse così forte, perché quell’emozione di fronte a una preda …una facile preda. Gli bastava un secondo per affondare i suoi denti in quel collo sottile.  Le nuvole scoprirono la luna che si fece di un bianco luminoso e un rumore lo fece voltare. Domani forse….la notte era quasi finita. Tornò accanto allo stagno e si distese nuovamente sull’erba.

Domani sarebbe stata più forte e pensò che avrebbe potuto correre via forse….domani.

 
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Post N° 104

Post n°104 pubblicato il 03 Giugno 2006 da Papermoon68
Foto di Papermoon68

Era l’alba quando si svegliò, il sole appena sorto colorava l’erba di rosa. Sapeva che non lo avrebbe trovato accanto a sé, ma si girò ugualmente intorno a cercarlo. Ovviamente non c’era. Se n’era andato. Socchiudendo gli occhi sorrise….come poteva pensare che quel leone sarebbe rimasto accanto a lei, era già molto se non l’aveva sbranata la sera prima. Però…quando parlavano insieme del sole e della luna, del vento e dell’erba tutto sembrava così semplice, e l’aria diventava più facile da respirare, e l’acqua più buona da bere e il dolore più facile da sopportare.
Se n’era andato, chissà dove, forse era tornato dal suo cucciolo come la prima volta, o forse si era solo allontanato per un momento ed era diventato preda dei cacciatori. L’idea le fece salire un nodo alla gola… soprattutto il pensiero che in quel caso non l’avrebbe mai saputo. Facendo forza sulle gambe provò a rialzarsi, la ferita faceva ancora molto male ma per fortuna non sanguinava più. Provò a camminare. Difficile….il dolore era acuto, ma aveva sete doveva almeno arrivare all’acqua per bere. Piano piano si muoveva….a piccoli passi, accompagnata dai raggi del sole che la sorreggevano scaldandola, perché aveva freddo, molto freddo. Bevendo alla sorgente pensò di nuovo al leone, alla prima volta che si erano incontrati lì; non si udiva nessun fruscio tra l’erba, nessun rumore che potesse darle la speranza che il suo amico fosse tornato. Alzò la testa e guardò il sole, splendido nel primo mattino.

 
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Post N° 101

Post n°101 pubblicato il 30 Maggio 2006 da Papermoon68
Foto di Papermoon68

Quando il gioco si fa duro

...i duri incominciano a giocare! Non ho idea di chi l'abbia detta per primo 'sta cavolo di frase (forse un Vialli dei tempi migliori?! mah...), di sicuro non mi è mai piaciuta.
In primo luogo se si accettasse questa premessa a pochi verrebbe voglia di incominciare un gioco che "only the braves" sanno concludere. In secondo luogo ci si ponga la seguente domanda: quando un gioco si fa duro, è ancora un gioco?!
Ho parlato qui centinaia di volte del mondo virtuale e altrettante ne ho discusso con persone svariate, che mi hanno più o meno seguita nei miei (spesso astrusi) ragionamenti sulle distanze ravvicnate che si creano qui dentro tra le persone. Distanze ravvicinate fantastiche e... terribili a volte.
Quante persone ci sono dentro questa scatola? E quante di loro continuano a giocare pur sapendo di non reggere il gioco?! Attenzione perchè "reggere il gioco" non è poi così facile, praticamente è come reggere il mare: c'è chi ha lo stomaco di ferro e chi no. Hai voglia mangiare crackers e sardine!! (dicono che ci vuole roba asciutta e salata) Se soffri il mal di mare soffri, c'è poco da fare. E allora qualcuno dirà "che non si mettano a navigare" ovvero "chi glielo fa fare" oppure "chi è causa del suo mal pianga se stesso"... e potremmo continuare con detti e motti fino alla "Cavallina storna", ma fondamentalmente la risposta non c'è o meglio è solo nelle persone che, pur patendo a volte, magari se c'è un po' di vento forte,  provano un profondo senso di dolcezza e di sollievo nel guardare le onde del mare che luccicano sotto il sole.
Reggere il gioco non è facile, significa rimanere estranei, non farsi coinvolgere dalle emozioni, attutire i colpi e prevenirli. Teniamone conto. Ma anche capire "il gioco" non è facile, anzi forse è più difficile ancora, chi pensa di esserci riuscito alzi la mano.

 
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Post N° 100

Post n°100 pubblicato il 16 Maggio 2006 da Papermoon68
Foto di Papermoon68

Post-it

Credo di essere una Post-it dipendente o, se volete buttarla più sull'economico, una delle maggiori azioniste dell'azienda Post-it.
Non so spiegarmi per quale inconscio meccanismo mentale adoro questi bigliettini colorati, di tutte le fogge e misure. Il fatto è che mi piacciono piccoli, grandi, medi, quadrati, rettangolari, dal tradizionale colore giallo ai più fluorescenti. Eh si perchè "tu dimmi che Post-it scegli e ti dirò chi sei" recita il detto... forse.
L'impiegata comunale secondo me opterà per quelli consueti giallognoli, anche perchè quelli passa il convento, mentre la casalinga indaffarata forse sceglierà quelli arancioni e il libero professionista?! Che ne dite? Verdi o azzurri, secondo me... rilassanti... praticamente degli antistress.
Che dire poi di quelli fatti a forma di freccina, di cuoricino e magari anche di telefono... troppo carini e assolutamente inutili perchè ci scrivi sopra niente, ma deliziosi.
In effetti lo scopo del Post-it è quello appunto di fornire un memorandum, suscitare un ricordo "spostabile" a seconda delle esigenze, quindi è insito nel loro essere.... essere scritti.
Però che peccato ricoprire di parole quei foglietti, anche se vuoi mettere l'ebbrezza di staccarli dal blocchetto che ti dà un brivido di potere! ...Strap!
Ovviamente devono essere gli originali, perchè non so se avete mai notato che i finti Post-it, ovvero le sottomarche concorrenti, non si riescono mai a scrivere sul bordo alto, cioè dietro alla parte incollata. Insomma le imitazioni non mi piacciono.
Di solito sono per i tradizionali gialli, anche se a volte  in rari momenti di entusiasmo ne ho comprati di violetti, di fucsia e persino di un improbabile verdone, che  credo abbia avuto un effimero successo sul mercato.
Cosa ci scrivo? Mah a dire il vero un po' di tutto, dal "Chiamare il tecnico della lavastoviglie" al più  quotidiano "Pomodori, acqua e ammorbidente", dal numero di telefono dello specialista che ha curato l'unghia incarnita della vicina di casa alle espressioni esistenziali tipo "Da fare domani!!!"...che talvolta risultano ermetiche anche alla sottoscritta che nel frattempo si è dimenticata il complemento oggetto e quindi l'indomani si strugge chiedendosi: "Ma che cosa dovevo fare?".
Di sicuro l'efficacia del Post-it dipende al 90% dal posto in cui lo si appiccica. Premesso che un Post-it che si rispetti deve incollarsi ovunque, e con  ovunque intendo dallo sportello del frigo al ritratto della suocera o ancora nella tazza della prima colazione. Stupiti? E' un ottimo strumento di memoria, di sicura efficacia, anzi i migliori posti sono due: lo specchio del bagno o la tazza della prima colazione. Garantisco che solo raramente mi è capitato di tirar su insieme al galletto del Mulino Bianco anche il suddetto bigliettino giallo. E comunque me ne sono accorta subito... non l'ho mangiato!Piccoli incidenti di percorso.
I Post-it comunque fanno allegramente parte della mia vita, rispondono alla mia esigenza di razionalità, organizzando le mie giornate e colorando un poco la mia realtà di rosa, di azzurro, di arancione o di verde mela.

 
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Post N° 99

Post n°99 pubblicato il 05 Maggio 2006 da Papermoon68
Foto di Papermoon68

Dove osano... gli aquiloni

Soffrire di vertigini non è una cosa poi così grave, ma incominciare a soffrirne a trent' anni secondo me è indicativo.
Credo che sia  un istinto primario dell'uomo rimanere ben saldamente attaccato coi piedi per terra e quindi, quando qualcuno manifesta la paura in senso lato dell'altezza o addirttura del volo, potrebbe essere generalmente giustificato.
Stare coi piedi per terra a volte è faticoso, molto faticoso, soprattutto quando questo ti limita la prospettiva, la visuale, il panorama.
Stare coi piedi per terra credo che ti costringa a vedere le cose da un unico punto di vista, che peraltro può essere anche quello giusto, ma non sempre è il migliore per te. Teniamo poi conto che a volte la terra non è poi così salda come sembra: quando meno te l'aspetti ti trema sotto i piedi e quindi tutti i bei castelli che  ci hai costruito sopra vanno in frantumi. Ma se uno soffre di vertigini non ha molte alternative.
Io ho sempre i piedi ben piantati a terra, anche quando credo di averli sollevati un pochino. Le mie due zavorre a volte sono davvero pesanti e ho notato che non sono così solo le mie perchè le persone trovano sempre più difficoltà a staccarsi da terra, dalle incerte sicurezze quotidiane.
Personalmente so di non poter arrivare dove osano le aquile, ma chissà...dove osano gli aquiloni... forse.

 
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Post N° 98

Post n°98 pubblicato il 29 Aprile 2006 da Papermoon68
Foto di Papermoon68

Quasi come in un film…

Riprendere a scrivere e a pubblicare qualcosa nel blog dopo tanto tempo, dopo una pausa così lunga, meriterebbe che il "qualcosa" in oggetto avesse il sapore che ne so di una riflessione esistenziale, oppure di una confessione sentimentale o anche di una  rivelazione confidenziale. Ma siccome qui impera la legge del "faccio e scrivo ciò che mi pare" vi racconterò di quando ho vissuto un pomeriggio quasi come in un film… quasi.
Ti viene difficile dire "Capperi" mentre hai un male bestia ad una mano perché hai appena ricevuto una pallonata da dei ragazzini che, indifferentemente, da lontano ti gridano "Scusiiii"; più che altro ti viene in mente tutta quella serie di parolacce ed imprecazioni che sin da piccola ti hanno insegnato a non dire (e che quindi hai imparato subito). Una cosa che non ho mai capito è come mai si parla di "soglia del dolore" per definirne il livello di sopportazione: "soglia"…. chissà chi ha inventato questa definizione!
Per farla breve la mia soglia del dolore è bassissima, contrariamente a quello che si dice cioè che le donne hanno una soglia del dolore elevata naturalmente perché in questo modo sono preparate ai dolori del parto. Frottole! Il male è male e a questo pensavo mentre con una mano dolorante e un dito gonfio, entrai  quel pomeriggio nel Pronto Soccorso.
Lo so, qualcuno potrà pensare che sia eccessivo ricorrere all’ospedale per così poco ed io mi rendevo ben conto di non aver certo un codice rosso, però se il dito era rotto un qualcosa dovevo pur farlo.
Di solito mi mette ansia l’aria dell’ospedale e cerco di frequentarlo il meno possibile, tuttavia quel Pronto Soccorso molto ordinato e semivuoto mi tranquillizzò. Pensai che ero stata fortunata perché non avrei dovuto aspettare molto, visto che prima di me c’era solo una persona che era caduta da una scala e nessun altro.
Una cortese infermiera prese i miei dati e, osservando il dito a palloncino, mi disse che in effetti avevo fatto bene ad andare perché poteva esserci una frattura. Mi disse di aspettare in corridoio che di lì a poco mi avrebbe chiamato il medico di guardia.
Ora da questo punto della storia se fosse stato un film le cose sarebbero andate più o meno così…
Dalla porta socchiusa dello studio del medico usciva una voce maschile che stava scherzando con qualcuno al telefono. Ad un certo punto mi sentii chiamare e fui invitata ad entrare. Dietro alla scrivania c’era un giovane dottore, sui 38 massimo 40 anni, molto carino. Capelli scuri con qualche filo già bianco, bei lineamenti, naso sottile e dietro agli occhiali dalla montatura leggera due occhi verdi intensi. Nell’attimo in cui il nostro sguardo s’incrociò mi sembrò di conoscerlo da sempre, quasi fosse un vecchio amico ritrovato, ed infatti gli offri il mio più bel sorriso.
Lui allungandomi la sedia lo ricambiò chiedendomi se alla mia età giocavo ancora a pallone. Ridemmo insieme e da quella risata in un attimo l’imbarazzo fu vinto e davvero fummo due vecchi amici che sembravano avere tante cose da dirsi. Incominciammo a chiacchierare e, m
entre mi prese la mano per osservare il colpo, sentii come una scossa elettrica. Quasi l’avesse sentita anche lui, improvvisamente, ci ritrovammo a guardarci negli occhi per un lunghissimo attimo. Il suo bellissimo sorriso interruppe la magia quando l’infermiera entrò nello studio per dirgli che era pronto il tecnico radiologo, così lui lasciò la mia mano e mi mandò a fare la lastra. Per fortuna il dito non era rotto ma solo distorto. Quando me lo disse sorrisi, precisando che avrei d’ora in poi giocato solo a golf e ridemmo nuovamente insieme. Scrisse il referto e infilò il tutto dentro la busta della lastra. Stava per salutarmi quando entrò l’infermiera per un caso molto urgente che richiedeva subito la sua presenza e così, frettolosamente, mi strinse la mano con un "Ciao". Io, un po’ delusa, rimasi ancora qualche secondo nello studio. Solo mentre mi avviavo verso l’uscita mi venne in mente di leggere il referto e aprii la busta: " …Distorsione interfalangea…ghiaccio…cauta mobilizzazione….347695….. 347695…??! "
Quella signora che mi vide uscire dal Pronto Soccorso con quel bel sorriso stampato sulla faccia avrà pensato che lì c’erano dei medici molto bravi!    THE END
Ma siccome la realtà è QUASI come un film, le cose sono andate più o meno così…
Dalla porta socchiusa dello studio del medico usciva una voce maschile che stava scherzando con qualcuno al telefono. Un idiota che  invece di mettersi subito a visitare dei pazienti bisognosi stava a perdere del tempo al telefono, ridendo e scherzando… "incominciamo bene" pensai. Ad un certo punto la voce annoiata mi chiamò e mi invitò ad entrare. Rimasi stupita di vedere dietro alla scrivania un giovane dottore, sui 38 massimo 40 anni, molto carino. Aveva i capelli scuri con qualche filo già bianco, dei bei lineamenti, il naso sottile e dietro agli occhiali dalla montatura leggera due occhi verdi intensi.

Abbozzai un sorriso ma notai che il medico non sollevava quasi mai lo sguardo dal pc; sbadigliando mi indicò una sedia e fece la domanda di rito su che cosa mi era successo.

Notai un momento di attenzione quando capì che era stata una pallonata a ridurmi così il dito, in quel momento accennò un sorriso ironico e mi chiese se alla mia età giocavo ancora a pallone. Io imbarazzata cercai di spiegare che non era andata così, ma nel frattempo mi aveva già afferrato la mano e triturato il dito comprimendolo di qui e di là mentre io cercavo di urlare in modo contenuto che mi faceva male! Al che gli chiesi se era rotto, ma mi sentii rispondere che i medici non sono onnipotenti e che ci voleva una lastra per dirlo.
Accompagnata dall’infermiera andai a fare la lastra. Per fortuna il dito non era rotto ma solo distorto. Quando me lo disse sorrisi, precisando che avrei d’ora in poi giocato solo a golf, ma il tipo era troppo intento a scrivere il referto per comprendere la battuta, infilò tutto dentro la busta della lastra e via.
Arrivò l’infermiera e mi fece una specie di bendaggio rigido; grazie e arrivederci. Mentre mi avviavo verso l’uscita mi venne in mente di leggere il referto ed aprii la busta: " …Distorsione interfalangea… ghiaccio… cauta mobilizzazione…. 15 giorni….15 giorni??!"
Ma figuriamoci se stavo con quel coso per 15 giorni! …!
Quella signora che mi vide uscire dal Pronto Soccorso mentre mi toglievo il bendaggio, avrà pensato che lì non c’erano dei medici molto bravi.

 
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Post N° 97

Post n°97 pubblicato il 16 Marzo 2006 da Papermoon68
Foto di Papermoon68

Una rondine non fa primavera

Riflessione sull'arrivo della primavera. Ci può stare? Ma si, io dico che ci sta.
L'arrivo di questa stagione di mezzo, in un mondo come quello di oggi dove non esistono più le mezze stagioni, è segnato per me da segnali infausti. Subito ci sarà qualcuno che inorridisce pensando:"Ma come non le piace la primavera?!". In effetti com'è possibile che non piaccia il risveglio della vita, la rinascita di fiori e colori, l'espandersi di nuovi freschi profumi nell' "aere". Per non parlare del fatto che la primavera è la stagione dell'amore, dell'emergere degli istinti sopiti e del compimento del ciclo della natura. Già...come...?!
Semplicemente ricordandosi che il risveglio della natura fa piovere quasi tutti i giorni, il diffondersi del freschi profumi provoca crisi allegiche, l'emerge degli istinti sopiti fa andare in calore i gatti che miagolano tutta la notte e così via. 
Si, lo so, è un po' cinico ma che ci volete fare a me la primavera deprime.
Sarà il cambiamento di stagione, sarà che sono anemica e metereopatica, sarà che non ho un gatto... fatto sta che l'avvicinarsi di aprile incombe sul mio umore come una spada di Damocle.
Mi sono posta in effetti il problema del perchè mi sono tanto antipatici i mesi primaverili, ma a dire il vero ho solo trovato risposte banali, tipo perchè non so cosa mettermi. Be' tanto da poco il problema non è pensandoci bene. Dicono "il jeans è il capo d'abbigliamento della primavera" ma io odio i jeans, pantaloni che ti fasciano impietosamente in due pezzi di stoffa rigida che paghi un occhio della testa pur sapendo che un tempo quel tipo di roba se la metteva solo il tuo idraulico e, con tutto il rispetto per la categoria, non credo possa egli essere definito uomo di ottimo gusto.
Poi il jeans è perfido e ingannatore. Già per indossarlo ti trovi a far cose che nemmeno al Circo di Mosca alcuni vedrebbero. Le tecniche sono varie e variabili ma sostanzialmente la sequenza è questa:
1) tiri fuori i jeans dall'armadio, li guardi con aria di sfida e pensi "in fondo se mi andavano bene l'anno scorso..."
2) infili la prima gamba e constati che tu dall'anno scorso sei un pochetto ingrassata, quindi passi alla seconda gamba e ti fermi lì perchè il jeans oltre metà coscia non sale.
3) ma siccome non sei una pusillanime che si scoraggia subito, lo tiri su con tutta la forza che hai finchè non ci sei entrata.
Entrare dentro i jeans è una fatica ma chiuderli è un'impresa eroica. D'altronde lo sanno tutti come si fa ad entrare in dei jeans un po' strettini... ci si sdraia sul letto.
Lo neghi chi non l'ha mai fatto! Ti sdrai, inizi una respirazione zen detta "la pancia non c'è più" e con un colpo deciso... zac su la cerniera. Fatto... forse.
Be' in effetti il colpo non è sempre abbastanza deciso e ci vuole talvolta qualche minuto e qualche contorsione in più per la chiusura, ma alla fine riesce sempre, è matematico. Il problema semmai viene dopo nel rialzarsi e nel sedersi, ma questa è un'altra storia.
Comunque io non amo i jeans, ma sembra proprio che siano l'unico capo indossabile in questa stagione di mezzo, anche perchè diciamocelo la moda vuole così. Magari fa ancora un freddo cane, tanto freddo che tu ancora ti tieni il piumino nel letto e accendi la stufetta appena rientri a casa, ma per uscire cosa indossi?! Una giacchina di jeans oppure uno spolverino di cotone verde acqua ovvero una giacchina di renna beige leggera leggera o ancora uno sbarazzino maglioncino di cotone, buttato là sulle spalle tanto per dire "E' il 4 aprile e so benissimo che non ce ne sarebbe bisogno di mettere ancora il maglioncino ma visto che ce l'ho....".
Insomma la primavera è deprimente. Certo voi direte che dipende anche dalle zone in cui si vive, ovviamente io vivo in liguria e quindi ho una visione un po' diversa rispetto alla primavera trentina, però secondo me certi canoni valgono ovunque.
L'altro giorno ho seguito un servizio in tv che si premurava di informare la cittadinanza di non far del male alle rondini che stanno per arrivare a "portare" la primavera perchè sono teneri uccellini che non trasmettono l'aviaria. Personalmente ho pensato: ..."forse!".

 
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Post N° 96

Post n°96 pubblicato il 28 Febbraio 2006 da Papermoon68
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Olè Parte seconda

Una cosa che assolutamente non preoccupa noi italiani quando andiamo in vacanza in Spagna è la lingua. Si perché 99 italiani su 100 pensano che in fondo i due idiomi si assomiglino molto e che quindi non sia affatto un problema comunicare, al massimo ci si sforzerà di mettere qualche S qui e là, in fondo chi non ha mai visto "Il ciclone"?!
Ma ben presto quando ti trovi in loco ti accorgi che ti serve qualche conoscenza lessicale in più oltre a "adios amigos" e che per quanto gli spagnoli non siano come noi alti, biondi e con gli occhi azzurri, cosa strana da credere, ma possiedono una loro lingua. Per cui ti rendi conto che stai facendo una pessima figura quando dici: "Avemos dos bigliettos" e l’interlocutore ti risponde :"Usted tiene dos targetas?"
Lo spagnolo insomma è una fregatura, mi ha ricordato quelle materie che a scuola si prendevano sotto gamba oppure quegli argomenti che "figurati se il prof ce lo chiede all’esame" e poi invece non solo te li chiedevano ma ti facevano a pezzettini.
Io comunque in Spagna me la sono cavata benino, insomma mi sono fatta capire almeno quanto basta per ottenere acqua, cibo e uno spettacolo di flamenco.
Eh già, perché vuoi andare in Spagna e non vedere uno di quei tragici, deprimenti, ripetitivi ma estremamente folkloristici spettacoli di flamenco?!
Dovete sapere che in città come Siviglia, ad usum turisticorum, giornalmente si svolgono tutto l’anno spettacoli di flamenco in locali o teatrini appositi chiamati "tablao". I biglietti sono in vendita un po’ dappertutto, dalle edicole alle macellerie, e alla fine anche se tu ti sei riproposta che mai e poi mai cederai a tale tentazione turistica, ne compri inevitabilmente uno.
Spettacolo delle 19. Già spettacolo da sfigati perché considerando che in Spagna si cena verso le 22 uno show alle 19 potrebbe essere paragonato a un nostro mattineè. Entrai nella sala, piuttosto grande a dire la verità, sul fondo della quale si ergeva un piccolo palcoscenico decorato sullo sfondo da finti tipici balconi andalusi, ventagli e muletas (ndr: mantelline da torero) colorate. Molto kitch.
Subito una tipa prese il mio biglietto e mi fece cenno di seguirla. Attraversai alcune file di tavoli dove vidi seduta una comitiva di giapponesi che stavano incominciando a cenare e mi ricordai che in effetti la signora che mi aveva venduto il biglietto mi aveva appunto chiesto se lo volevo con cena o senza. Io avevo scelto la seconda soluzione, memore di una turistica cena con musica mozartiana, in ambientazione settecentesca, a cui avevo partecipato tanto tempo fa a Salisburgo, dove avevo appunto diviso il tavolo con tre giapponesi!
La senorita si diresse verso le prime file di sedie corredate da un piccolo tavolino, perché oltre allo spettacolo era prevista una "copa" che presumevo fosse una consumazione. Spavaldamente ordinai una sangria mentre si apriva il sipario. I ballerini erano dieci, un bel numero tutto sommato: sei donne e quattro uomini, che si alternarono in esibizioni singole e a gruppi. Dei balletti in sé che dire?! Il flamenco secondo me è come la corrida, può piacere solo agli spagnoli o meglio un’ora e mezza di flamenco può piacere solo agli spagnoli, perché sinceramente dopo mezzora di batter di tacchi sia io che il signore di Kansas City che era accanto a me incominciavamo a guardare l’ora.
In effetti il pubblico era moscetto, applaudiva si ma con poco calore e soprattutto solo dopo ben tre quarti dello spettacolo capì che al termine di particolari passi, quando il chitarrista diceva "Olè", non doveva applaudire ma rispondere in coro OLE’… be’ ditelo dico io! Come facevamo a saperlo? L’idea geniale venne ad una australiana quasi alla fine e in effetti aumentò l’attenzione e il coinvolgimento (forse anche perché molti erano già alla terza sangria). Comunque il momento di maggiore partecipazione si ebbe quando i ballerini danzarono sul ritmo della Carmen di Bizet, insomma sulla musica di "Pulito si, fatica no!" (ricordate la pubblicità dell’Aiax?); gli italiani presenti si sentirono chiamati in causa e scrosciarono gli applausi.

Lo spettacolo quindi terminò ed io mi alzai e me ne andai lasciando metà bicchiere di sangria, poiché presa dall’euforia ispanica avevo dimenticato che sono astemia.

 
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Post N° 95

Post n°95 pubblicato il 26 Febbraio 2006 da Papermoon68
Foto di Papermoon68

Bellissima

Se c’è una cosa che mi fa arrabbiare è quando gli uomini ti dicono "Bella". All’apparenza complimento confidenziale tale uso lessicale improprio di un aggettivo, peraltro molto piacevole, è quanto mai consueto tra il genere maschile.
Avete mai notato come certe persone sprecano i nomignoli e i vezzeggiativi nelle occasioni più disparate?
Un lui qualsiasi entra dal tabaccaio, chiede un pacchetto di Malboro e paga apostrofando l’ignara commessa: "Ciao bella". Altro lui qualsiasi entra in un bar e rivolgendo lo sguardo verso la prima cameriera libera enuncia tranquillo: "Tesoro mi porti un caffè?!".
Non parliamo poi degli animali da chat! Codesti individui di sesso maschile si sprecano a profusione in "Bimba", "Bellissima", "Piccola", e così via. Lo scopo intrinseco e incoscio secondo me è uno solo; nella mente spesso contorta di tale tipologia di maschi germina codesto pensiero: " Se le chiamo tutte allo stesso modo non rischio di confondermi". Ma poi col tempo l’abitudine prende piede e incominciano a chiamare "Bella" anche la moglie, l’amante, la figlia e persino la colf mentre le chiedono in quale cassetto ha riposto i calzini. Una tragedia insomma.
Appello ai signori uomini: a noi piacciono un sacco i vezzeggiativi e i pucci pucci, è universalmente risaputo: non c’è donna che, per quanto granitica, non apprezzi il suo uomo o in generale uno qualsiasi che le fa un complimento, ma santo cielo…. personalizzatelo!
Ecco cosa rivendico io, un'accurata e intelligente personalizzazione!
Troppo difficile per il vostro atrofizzato intelletto?! Lo capisco, ma noi donne possiamo venirvi incontro, darvi degli spunti, che ne so anche qualche piccolo suggerimento se è proprio necessario, ma per carità non chiamatemi "Bellissima", per prima cosa perché mi sentirei privata della mia alquanto caratterizzata e unica personalità e in secondo luogo perché non la sono affatto… forse.

 
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