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Un mondo nuovo

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Messaggi del 03/12/2020

A metà strada

Post n°3470 pubblicato il 03 Dicembre 2020 da namy0000
 

2020, Avvenire 2 dicembre

Quel giorno era in programma la Bagnaria - Santuario Basilica Nostra Signora di Montallegro, sopra Rapallo, in bicicletta, 118 km e tre gran premi della montagna (Brallo, Fregarolo e Crocetta) più l’arrivo in salita, totale 2600 metri di dislivello. A metà strada, all’appello, mancava Boktor, un ragazzino egiziano. Dove sarà finito?, si domandavano, preoccupati, quasi tutti, perché gli altri erano preoccupatissimi. Non conosce la strada, si diceva, non ha il telefono, si sospirava, non sa neanche bene l’italiano, si ammetteva. L’unico a non perdere la fiducia, né tantomeno la fede, era l’ideatore della pedalata, l’organizzatore della trasferta, il responsabile del gruppo: don Agostino Frasson. E a chi gli chiedeva perché fosse così tranquillo, spiegava: «Boktor ha attraversato il Mediterraneo su un canotto, che cosa vuoi che sia per lui trovarsi su queste colline in bicicletta?». Fiducia e fede non tradirono don Agostino: Boktor, accolto, ospitato, rifocillato e indirizzato da un abitante locale caritatevole, ritrovò la strada per tornare al punto di partenza e riunirsi al gruppo. Don Agostino Frasson ha 58 anni, è il direttore della Casa don Guanella di Lecco e il presidente della Cooperativa sociale Cascina don Guanella, e ha un sacro rispetto per la bicicletta: «In bici si prega e si espia, ci si confessa e ci si purifica, si condivide la strada e si cerca la via. E se qualche volta capita di perderla, poi con l’aiuto delle mappe, o degli amici, o eventualmente di Dio o chi per Lui, la si ritrova».

Fiato infinito («La capacità polmonare, a forza di prediche, non si perde mai») e gambe potenti («Senza offendere nessuno, si può passare dal benedettino «ora et labora» al guanelliano ora et pedala, e il risultato è questo »), “don Bicicletta” – come lo ha allegramente ribattezzato qualcuno dei suoi discepoli a due ruote – si dedica all’educazione, qualche volta alla rieducazione, altre volte alla riabilitazione di senza tetto, senza famiglia e anche senza bicicletta. «Un tetto è facile da dare, una famiglia no, ma una comunità come la nostra sì, e quanto alla bicicletta, se ne trova sempre qualcuna in prestito o in eredità». E con la bicicletta, ecco la libertà e, a sprazzi, la felicità. «Avevo scoperto che, quando mi giravano, non c’era niente di meglio che far girare anche le gambe. Tornavo più tranquillo, obbediente e comprensivo, come un po’ sedato. E lo stesso effetto si produce anche sui ragazzi: a forza di pedali si combattono malinconia, nostalgia, solitudine, lontananza, distanza. In bici si fa gruppo, in tutti i sensi. In bici si fa scuola, un po’ di geografia e di italiano, un po’ di educazione civica e molto fisica, un po’ anche di religione».

D’estate, Covid-19 permettendo, il giro classico è quello del Lago di Lecco, 144 km, «una faticaccia». Altrimenti si azzarda o s’improvvisa, come la salita al Santuario della Madonna del Ghisallo. «Siamo fortunati: come dicono i nostri amici, qui in Lombardia è pieno di salite della... Madonna». Più programmati sono incontri e cene: «Qui gli ospiti d’onore sono campioni e gregari. Da noi, prima a ricordare e chiacchierare, poi a mangiare e bere, sono venuti Cadel E. e Marzio B., Gianni B. e Claudio C., Alessandro B. e Alessandro V.. Le cene sono una fonte di allegria per lo spirito e di respiro per il bilancio». Porte spalancate e tavole apparecchiate anche per alcune “pecorelle smarrite”, ma ritrovate, come Luca Paolini e Mauro Santambrogio, beccati per doping e redenti in Cascina.

Adesso don Agostino punta proprio sulla Cascina di Valmadrera: «È un agriturismo. Si mangia quello che si produce. È soprattutto una forma di agricoltura sociale per accoglienza, cura, formazione e inserimento di minorenni a rischio di emarginazione. Il nostro mercato di frutta e verdura è raddoppiato: non più solo a Valmadrera, ma anche nella casa madre di Lecco. E abbiamo sempre pronte le ceste speciali per la colazione e il Natale». Nel nome del Padre, del Figlio e della “Bici Santa”.

 
 
 

Morte bella

Post n°3469 pubblicato il 03 Dicembre 2020 da namy0000
 

2020, Maurizio Praticiello, Avvenire 28 novembre.

Fratelli napoletani e argentini grazie per esservi ribellati alla morte

Diego Armando Maradona, la tua morte, accompagnata dal pianto e dalla preghiera di milioni di persone sparse per il mondo è veramente una “morte bella”. Riposa in pace, campione

Permettetemi, amici napoletani e argentini, di accostarmi a voi in punta di piedi per dirvi “grazie”. Vi ho visto singhiozzare e piangere come bambini, vincendo quel ritegno umano che, in genere, le lacrime ce le fa ingoiare, per la morte di un uomo che non era vostro figlio né vostro padre.

Piange chi ama, voi, quindi, sapete amare. E in questo nostro povero, e tante volte triste mondo, non c’è niente di più bello, santo e duraturo dell’amore. Dio è amore. Permettetemi, amici napoletani e argentini, di confessarvi che mi avete commosso nel profondo. Vi ho guardato nei tanti servizi in onda sulle varie reti televisive e nei video che si rincorrevano sui social, cercando di capire. Un fenomeno di portata mondiale come questo non può non portare in sé un insegnamento, un monito. Ne ero già certo prima, ma il vostro dolore, sincero, schietto, palese, per la morte di Maradona, mi ha confermato che l’uomo non basta a se stesso; che per vivere ha bisogno di giocare, di amare, di sognare. Vi siete radunati in tanti nei pressi dello stadio a Fuorigrotta, nei vicoli stretti della nostra vecchia Napoli, a Buenos Aires, in tante città del mondo. Per fare che cosa? Niente e tutto. Sentivate forte il bisogno di stare insieme e lo avete fatto, anche correndo qualche rischio in questo tempo di pandemia. E a me, prete, è ritornato in mente Gesù che insiste nel raccomandarci a rimanere uniti. Soli si muore. Avete poggiato gli uni il peso che vi accasciava sulle spalle del vicino, ed io anche questo trovo nel Vangelo. Ne sono certo: se fosse stato possibile, voi napoletani sareste volati in Argentina a sfilare davanti al corpo senza vita di Maradona, dando fondo ai vostri risparmi.

Lo avete ricordato, gli avete parlato, lo avete proiettato in cielo, il vostro campione. Qualcuno addirittura lo ha definito un dio. Non m’interessa - almeno per adesso non mi interessa - sottolineare le esagerazioni vostre o sue, o emettere giudizi sulla sua vita privata. Gli uomini sono uomini, con vizi e virtù che non sta a me giudicare, e non lo faccio, non lo voglio fare, non mi interessa farlo. Almeno in queste ore. Quello che mi interessa, invece, e che faccio volentieri è prendere nota che anche voi, come me, come ogni essere umano nel profondo del suo cuore, vi ribellate alla morte. La subìte come una frattura che si interpone e schiaccia per sempre lo scorrere bello della vita e degli affetti. E - contro ogni umana evidenza ed esperienza - avete detto: no, la morte non esiste, la morte è una menzogna.

Tu, Diego, vivi. Devi vivere per sempre. Ma questo è il Vangelo. E voi – senza volerlo? Senza saperlo? – in questi giorni lo avete annunciato al mondo. «Oh morte dov’è la tua vittoria? Oh morte dov’è il tuo pungiglione?» si chiedeva san Paolo. La morte va guardata negli occhi, va sfidata; non ha, non può avere, non deve avere l’ultima parola. Qualcuno dice che questo modo di fare e di pensare sia solo la proiezione nei cieli del bisogno dell’uomo di essere immortale. Può darsi, e la cosa non mi spaventa per niente. Sarebbe un bisogno, questo, che non ci siamo scelti, non ci siamo dati, ma che ci siamo ritrovati dentro, e che pretende di essere soddisfatto, come il bisogno di mangiare, di bere, di amare. Grazie, fratelli napoletani e argentini per aver gridato al mondo che più forte della morte è l’amore, e che il cuore dell’uomo è talmente vasto da abbracciare la terra, e non una volta sola. E adesso una pensiero per te, campione. Sai, alla scuola elementare, tanti anni fa, la maestra mi fece imparare a memoria una poesiola. Non l’ho più dimenticata. A un bambino, Tita, è morto il cardellino. Tita piange tutte le sue lacrime mentre con le manine fredde lo seppellisce in giardino. La nonna tenta di consolarlo ma non ci riesce. Commossa e intenerita da quella scena, la vecchia si ritrova a mormorare: «Ben io vorrei sentire sulla fossa della mia pace il pianto di quel bimbo. Piccolo morto la tua morte è bella». Ecco, Diego Armando Maradona, la tua morte, accompagnata dal pianto e dalla preghiera di milioni di persone sparse per il mondo è veramente una “morte bella”. Riposa in pace, campione.

 
 
 

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