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Guardo oltre la collina che sta davanti alla mia casa
 

 

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Chentuchinbantunu Rezimentu (151° Regimento)

Post n°30 pubblicato il 21 Luglio 2013 da zancarlo2010

 

Passando per le strade della mia città mi fermo sempre a guardare il monumento ai caduti della grande guerra sono tanti e tanto giovani. Il ricordo di mio nonno da vivo e lo vedo ancora che si sposta nel cortile con un bastone per andare a sedersi su una sedia esposta al sole. Appena sposato con mia nonna che aveva sedici anni venne portato in trincea a combattere. Lei tanto giovane e lui venticinquenne. Immagino il viaggio e i canti dei tenores e tanto vino e abbardente a mettere allegria , il ritrovarsi tra diversi paesi e diventare amici e lo scoprire la fraternità che distingue i sardi, specialmente quando sono fuori dalla loro isola si sentono parte di una stessa famiglia

Arrivò notizia che era morto ma mia nonna alla messa della mattina non andò a sedersi tra le vedove in sogno le era stato detto: "Pera non est mortu ma torrada". Mia nonna aveva il dono della profezia. Pera (Pietro)ritornò a casa qualche tempo dopo ed era gravemente ferito le sue condizioni erano talmente gravi che il ministero aveva chiesto ai parenti di scegliere tra riportarlo a casa o lasciarlo in una casa di cura che, in quegli anni e negli anni dopo la guerra, ospitavano i reduci gravemente menomati e che non potevano più essere riportati nella vita civile. Nel libro di F. Enst Guerra alla guerra tante fotografie mostrano i volti spaventosi di uomini che potrebbero dare lezione ai produttori dei film dell'orrore. Ho riposto il libro nella libreria ed evito di leggerne anche il titolo, aprirlo e guardarne le immagini mi fa stare male.  

Nonno, dei  luoghi dove viaggiò e soggiornò, ricordava le belle ragazze bionde, dalle belle guance rosse  color del sangue e della pelle colore del latte. Certamente tanto diverse dalle contadine sarde dai capelli scuri e dalla pelle bruciata dal sole. Non so quale fosse il suo stato d'animo quando arrivò in prima linea e si accorse di essere arrivato in una macelleria per uomini simile a quella in cui si macellavano gli agnelli a natale. Certamente tanta rassegnazione come tutti i contadini che avevano ancora impresso nella loro coscienza il ricordo del mondo feudale scomparso da pochi decenni.

L'antico testamento vietava agli ebrei di cuocere il capretto nel latte di sua madre, forse perché parte di un rito pagano cananeo. Da quanto ne so il sangue e il latte sono due elementi che non si mescolano insieme, non  vanno d'accordo e non si uniscono per cucinarci o altro. Ma in quei luoghi verso i quali viaggiava non vi era legge, se non quella della sopravvivenza ed era morto ogni principio morale che distinguesse, nel creato,  gli uomini quali esseri fatti a somiglianza di Dio dalle altre creature. La nave il treno lo portarono in quelle valli tanto lontane dalle sue e dalle capre e dal loro latte dal latte che avrebbe nutrito i suoi bambini. Quando uccideva una delle sue capre raccoglieva il sangue in una pentola per poi essere cucinato nello stomaco dell'animale condito con un'erba aromatica su pureu,  il panecarasau e sas gherdas. E un'usanza quasi scomparsa.

Ma nei monti di Trento il sangue e il latte si mescolavano nella terra e tante volte era mescolato agli escrementi in un rito crudele nel quale la misericordia aveva perso significato  e cessato di esistere. Quel sangue  faceva paura .

A Caporetto quando gli austriaci ruppero il fronte e  si avviarono verso Milano i fanti  della Brigata Sassari e, permettetemi,  anche  gli Alpini non fuggirono, si ritirarono armati e non si fecero massacrare dalle mazze chiodate  degli inseguitori. A caro prezzo dimostrarono che non siamo un popolo di vigliacchi e di commedianti.

Sono la  fermo davanti al monumento per leggere i nomi scritti sul travertino e scorgo cognomi uguali sicuramente di fratelli morti in date diverse. E' veramente un destino crudele permettere che la paura per la propria morte imminente  sia preceduta dal dolore per la perdita  del fratello. Vorrei dire loro che non sono stati dimenticati e che questo è un  paese tanto migliore da quello in cui hanno vissuto loro e, anche, che loro stessi hanno contribuito ad edificare.

Forse dovrei trovarmi la nel mese di novembre con la bandiera tricolore e partecipare alla cerimonia in cui viene ricordata la fine della guerra, e magari cantare a tenore la canzone: " sezis bois chi azzes mantesu su trinzeramentu", con quel ritmo tribale che ci fa sentire uniti e coraggiosi.

Non so cosa farò a novembre,  ma ogni volta che passo, penso che siano la seduti sulla gradinata e che mi guardino, dedico una preghiera a quei ragazzi che sono morti tanto giovani. Vorrei farlo anche per quelli della seconda guerra che sono stati dimenticati o si trovano nascosti in qualche angolo del cimitero comunale.

Anche loro non sono arrivati a cinquant'anni.

 
 
 
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