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SVEGLIARSI POETA - 7
Nell’Ufficio Studi affiancai inizialmente Beppe Fiori nel settore della Ricerca Educativa.Tranne quella sulla dispersione scolastica (ripetenze e abbandoni), curata dal nostro Ufficio Statistico, tutte le ricerche erano affidate a centri privati, quasi tutte su loro iniziativa; e quasi tutti i centri di ricerca facevano capo ad associazioni cattoliche. I ricercatori ai quali l’affidavamo erano felicemente sorpresi di vedermi propenso a partecipare alla impostazione della ricerca e alla valutazione del suo esito. Raramente interessati sindacati e forze politiche di sinistra, fatta eccezione per il barbuto compagno Silvino Grussu, che ne traeva qualche elaborazione personale per l’Ufficio Scuola del Partito. Come io ne trassi nuovi argomenti che Aldo Lo Schiavo mi sollecitava per gli Annali.
Intanto alcuni tra i più vecchi e maturi compagni, che si sentivano come me estraniati dalle sezioni del sindacato e del partito, presero a frequentare di preferenza la mia casa trasteverina.
Primo fra loro Antonio Piromalli, ancora ispettore centrale e professore di letteratura all’università di Cassino, particolarmente affezionato alle fettuccine fatte in casa e alla polenta dura alla sabina, con salsicce e fegatelli, che Antonietta affettava lesta lesta con il filo di refe. Egli partecipava alle festicciole domestiche, seguendo me e la mia chitarra nei canti partigiani. Lo riaccompagnavo io stesso in macchina (lui non guidava), tanto avevo a cuore la sua amicizia e la sua conversazione.
Un giorno gli capitarono tra le mani i miei sonetti.
“Sono belli. Perché non li fai pubblicare?” Si offrì lui stesso di inserirli nella collana Altracultura che l’editore D’Anna gli aveva affidato.
Li riordinai attorno alla figura e alla storia di un mandolinista scarparo di Monteflavio, che poteva impersonare il ritratto del paese. Piromalli mi chiese di anteporvi qualche cenno storico sul luogo; cosa che feci, per la verità, in modo un po’ affrettato e senza verificare personalmente taluni suggerimenti. Così, presentando me stesso poeta come Anonimo Sabino, allestii per le stampe di D’Anna La storia burina d’Aristide d’Er Vù, direi la mia modesta Vita Nova, a fronte della Divina Tragedia.
Oggi forse scriverei i sonetti in italiano. Non rinuncerei al sonetto. Né rinuncerei al bel verso con tanto di metro e di rima che ho appreso dai miei casarecci poeti a braccio prima che dai nostri poeti classici, pur essendo io stesso insofferente del confinamento della poesia in un suo arcaico codice linguistico particolare. |
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