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SVEGLIARSI POE£TA - 15
La nostra promozione per titoli fu accompagnata, come per contropartita, dal classico colpo di coda punitivo, ossia dalla nostra assegnazione alle più lontane province con la funzione di vice provveditori: “Avete voluto essere cooptati nella classe dirigente? Bene! Andate dove lo Stato ha più bisogno di voi”.
Avevano un gran bisogno di dirigenti (ma anched’impiegati) gli uffici del Nord, dove gli stipendi ministeriali non allettavano i nativi. E invece di adeguare gli stipendi, o di articolare per ruoli regionali i suoi reclutamenti, lo Stato ci deportava al Nord. Soluzione non solo accettata, ma ispirata dai rappresentanti sindacali nel Cda, per i quali, dogma ormai acquisito a sinistra, l’emigrazione è sradicamento per gli operai, “esigenza di servizio” per i nemici di classe. Salvo ad assistere poi impotenti e con il senso di colpa al fugone di rientro dei meridionali.
E io, non prima di avere disdetto l’iscrizione al sindacato, dove si discuteva perfino se i dirigenti fossero lavoratori che era lecito iscrivere o alieni da utilizzare come possibili alleati, andai ad assumere servizio a… Vercelli.
“Che lavoro fa sua moglie?” mi chiese subito il provveditore Provenzale: “Può farsi trasferire anche lei?”
“La mia famiglia vive del mio stipendio. Temo che Vercelli non potrà contare su di me”.
“Capisco: con trecentomila lire, quanto una mondina, qui ci paghereste solo l’affitto di casa”. C’era un notevole divario, tra il Nord e il resto d’Italia, nel tenore e nel costo della vita. “Finora me la sono cavata da solo”, continuò: “Se troverà una strada diversa, non si faccia scrupoli, dottor De Mico: la capisco benissimo”.
Salutai quel comprensivo provveditore e ripresi il treno per Roma dopo un’assunzione di servizio meramente formale. Il nuovo direttore generale del personale (Fazio era passato alla Direzione delle Università; ora Franco lavorava con lui) mi suggerì di tentare la richiesta di trasferimento a Rieti, dove il posto di vice provveditore era libero.
Eppure in quella specie di frittata lievitata tra le risaie una emozione particolare l’avevo ricevuta, tenendola gelosamente nascosta in me: là, per un giorno, ero rimasto sommerso in una bruma che avevo già visto dall’alto; il castello di Camino non era lontano; gli anni che vi avevo trascorso erano distanti non quattro lustri, ma quattro secoli. |
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