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Già l’ordinamento gentiliano dell’istruzione, con i suoi sbarramenti finalizzati a setacciare i “nati per lo studio” (poche le cooptazioni tra il ceto sociale subalterno), faceva sì che il 65% dei minori in età scolare fossero esclusi perfino dall’insegnamento medio e che circa la metà di quelli che vi erano ammessi fossero incanalati, come Franco, nel vicolo cieco dell’avviamento professionale precoce. I teppisti tipo Caccola si erano autoeletti a spalleggiare le finalità selettive della scuola di Gentile.
Le autorità accademiche sapevano. Tutti però tolleravano quelle scellerate angarie come giochi goliardici.
Ma la crescente industrializzazione, stimolando la fuga dalle campagne (e l’emigrazione dal Sud al Nord), incoraggiava l’avventura scolastica dei figli della campagna e degli operai; la donna usciva di casa; la televisione informava o comunque conformava; la motorizzazione favoriva la mobilità; e avevamo un governo di centro-sinistra. C’era soprattutto, a gassare l’irruzione dei favolosi anni sessanta, la prospettiva di un’alternativa possibile, se non imminente.
In quel clima stava nascendo il Movimento Studentesco, a contrastare e incavezzare i teppisti dell’Ateneo. Le sue rivendicazioni, in quei primi anni, erano molto concrete: i libri in prestito, la mensa, la Casa dello Studente, le tasse; e infine il presalario; in una parola il diritto allo studio. Col crescere, sempre in opposizione alle squadracce, si politicizzò, per una gestione più democratica dell’università; solidarizzò con le lotte operaie; entrò nella strategia dell’opposizione a guerre e imperialismo economico. Dopo la metà degli anni sessanta sarebbe caduto, come ben vide Pasolini e come succede a tutti i movimenti, nelle mani dei figli di papà, che sono sempre i più bravi e hanno sempre più tempo a disposizione e più mezzi; l’avrei visto comunque portare, se non altre conquiste concrete, una bella ventata libertaria, nella cultura e nel costume.
Frequentai un po’ di lezioni finché non cominciai a chiedermi a che cosa servissero, potendole trovare sui testi.
Poi il mio collegamento con l’Università fu sempre più rarefatto e sempre più rappresentato dall’impegnatissima studentessa che nel locale del Rettorato concesso al CAU gestiva il prestito dei testi, la loro acquisizione e la conservazione. La trovavo anche bella, benché la sua grazia fosse ammantata di una certa severità; per cui l’ammiravo, ma da una tale lontananza (non ero neanche in grado di invitarla al cinema, sempre alle prese con il problema del rientro) che non osai nemmeno chiederle il nome. |
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Quando Gandhi studiava diritto all’università di Londra aveva un professore, Peters, che non lo sopportava; Gandhi, però, non era il tipo da lasciarsi intimidire. Un giorno il professore stava mangiando nel refettorio e Gandhi gli si sedette accanto. Il professore disse: – Signor Gandhi, lei sa che un maiale e un uccello non possono mangiare insieme? – Ok Prof, sto volando via…rispose Gandhi, che andò a sedersi a un altro tavolo. Il professore, profondamente infastidito, decise di vendicarsi al prossimo esame, ma Gandhi rispose brillantemente a tutte le domande. Allora decise di fargli la domanda seguente: – Signor Gandhi, immagini di stare per strada e di notare una borsa; la apre e vi trova la saggezza e molto denaro. Quale delle due cose tiene per sé? – Certamente il denaro, Prof. – Ah, io invece al posto suo avrei scelto la saggezza. – Lei ha ragione Prof; in fondo, ciascuno sceglie quel che non ha! Il professore, furioso, scrisse sul libretto la parola IDIOTA e glielo restituì. Gandhi lesse il risultato della prova e tornò subito indietro. – Professore, Lei ha firmato l’esame ma si è dimenticato di mettere il voto!