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Capii solo allora che cosa comportasse il fatto di catalogare marxianamente la burocrazia come la scuola e come la religione fra le sovrastrutture, rinnovabili quasi automaticamente dopo l’abbattimento della società classista. In quel palazzaccio, nell’assenza progettuale e fisica della sinistra, imperversava l’egemonia cattolica, più ancora di quanto questa non catechizzasse la classe docente con le sue associazioni; più di quanto non monopolizzasse le riviste pedagogiche, l’editoria dei testi scolastici, le attività parascolastiche. Era stupida la Chiesa, a garantirsi la sovranità di una sovrastruttura!
Lo “schematismo” marxista mi si rivelò sempre più come indifferenza nei confronti delle discriminazioni che quel sistema mi aveva fatto sperimentare sulla mia pelle. Dal 1957 era nata, per la verità, la rivista Riforma della Scuola, ad opera di un gruppo isolato ma battagliero di intellettuali e di uomini di scuola. E la successiva nascita della CGIL-Scuola apriva alla sinistra orizzonti inesplorati. O dava almeno l’illusione che lo schema si potesse superare.
Con un collega anch’egli di prima nomina, Roberto Sabatini (in seguito i meno informati ci scambiavano l’uno per l’altro), prendemmo nelle nostre mani l’iniziativa sindacale. Roberto era un gran parlatore, di stile tribunizio, estroverso, attivissimo. L’anno seguente gli iscritti alla CGIL P.I. erano quattrocento e il sindacato ottenne la bacheca nell’atrio; vi apparivano con gli annunci e i proclami sindacali i manifesti contro la guerra nel Vietnam. Il nuovo direttore generale Mazzeo li faceva togliere dagli uscieri e noi li riaffiggevamo.
Al “qui non si fa politica”, paravento di una ipocrita imparzialità, rispondevamo “qui fate la vostra politica e noi vogliamo fare la nostra”. Venuto a sapere che era esistita anche una cellula del Partito Comunista, radunai i vecchi compagni che ne facevano parte e alcuni nuovi simpatizzanti nella sezione territoriale di Trastevere e la ricostituimmo. Così sparì il mio tempo libero, ma ebbi la soddisfazione di vedere quel tetro edificio aprirsi al vento degli anni sessanta.
Era fortissimo, tra i dipendenti del Ministero, il sindacato autonomo, arroccato, come altri nei vari settori, attorno alla rivendicazione di quei compensi speciali che determinavano da un settore all’altro una vera giungla retributiva. Il vecchio SNADAS era soprattutto ben radicato nei provveditorati. Dovevamo conquistare gli uffici provinciali. E in quella direzione lavorai, portandomi il lavoro a casa, durante tutto il tempo che fui coordinatore della segreteria nazionale della CGIL-PI. |
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