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Compiaciuto, credo, di ridimensionare un vice troppo popolare, il Provveditore mi confinò in due stanzette con Alfonsina Cutri, già capo della mia segreteria e ancora mia fedele segretaria; moglie di un dirigente dell’Aviazione Civile, tanto delicata quanto ferma, non riusciva a capacitarsi che il dirigente più bravo e più onesto del mondo (sua l’esagerazione) fosse disattivato. Completamente. Sei mesi di inattività.
Ero rimasto sorpreso da un abuso d’autorità così smaccato. Ma più di quel forzato riposo, che forse arrivava involontariamente a proposito sulla mia stanchezza, mi angosciava il pensiero che l’esercizio del potere avrebbe potuto rendermi odioso quanto quel falso manager.
Io non ho mai cercato il potere; e ho sempre rifiutato di sentirmi in rapporto disudditanza o di superiorità con chicchessia. Credevo che la mia ostilità fosse rivolta non tanto all’uso del potere quanto al suo abuso. Ma ho constatato che chiunque sia investito di un minimo di potere (casi tipici gli arbitri di calcio e la varia sbirraglia nazionale e locale) è portato generalmente ad abusarne; anzi, di più chi di potere ne ha di meno: dalle scuffie, ai prefetti, alle guardie, ai nostri uscieri; i quali, ultimo gradino della scala burocratica, infierivano sugli utenti del servizio, trovando in essi un grado infimo da calpestare, un tappeto ai piedi della scala.
Denunciai il bluff e gli abusi di autorità del Provveditore con una relazione al Ministro. Per tutta risposta questi avrebbe chiamato il Provveditore nel suo Gabinetto e più tardi l’avrebbe fatto promuovere direttore generale del Tesoro. Quivi, come amministratore dei beni degli Istituti di Previdenza, il top manager avrebbe dimostrato quanto fosse stato giusto introdurre il ruolo unico dei dirigenti, facendosi anche lì protagonista: dello “scandalo dei palazzi d’oro”.
Intanto da quella situazione e da quella lotta fui sottratto dai vertici ministeriali, che prima mi inviarono di nuovo a Rieti come provveditore supplente, poi mi nominarono vice sovrintendente scolastico regionale per il Lazio e l’Umbria.
Fui felice del ritorno a Rieti e di fare in un ambiente che conoscevo ed amavo l’esperienza di Provveditore agli studi.
Cinque mesi di lavoro sereno e gratificante, tra collaboratori che mi pregavano di restare.
“Non dipende da me. Se un giorno diventerò titolare, magari, chissà…” |
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