Creato da anonimo.sabino il 06/09/2006

L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi di Agosto 2015

MADONNA DELLA TRADA - 1

Post n°1968 pubblicato il 24 Agosto 2015 da anonimo.sabino
 

 

IL CORAGGIO DI SAPERE

 

seconda parte:

 

IL CORAGGIO DEL SORRISO

 

 

9. MADONNA DELLA STRADA

 

 Mi restava da superare un’ultima paura; sì, mi trovavo ancora alle prese con una questione di coraggio: era la paura di sentirti in colpa verso coloro che per tanti  anni sono vissuti al tuo posto e per te, quando la tua scelta autonoma smentisce la loro; e si trattava di un coraggio diverso come diversa era la paura. Come l’avrebbe presa Padre Temofonte? Quali conseguenze avrebbero subito Padre Filippetto e gli altri miei educatori presso i superiori? Mi sentivo un disertore, pur sapendo di essere nel mio pieno diritto. La tentazione era di sparire senza dare spiegazioni ai destinatari dello smacco che mi sarei lasciato dietro. Ma sarebbe stato da vigliacchi.

 

Vincendo quella paura, che mi dava un’angoscia mortale, manifestai al Padre Maestro la determinazione di lasciare la vita religiosa, non avendo né vocazione né fede.

 

Padre Mariani, viceversa, sembrava che se l’aspettasse, pur recitando ancora la speranza che superassi la “crisi”. Ne parlava sicuramente con il Padre Rettore.

 

“Non vuoi finire l’ultimo anno di liceo?” mi disse: “Sarebbe un suicidio”.

 

“Certo,che vorrei finirlo e dare gli esami di maturità. Ma non mi sembra onesto continuare a inginocchiarmi, a pregare, a simulare una fede che non ho più”.

 

Furono loro a convincermi, anche nel mio interesse, a vivere ancora per un paio di mesi come avevo vissuto per anni:

 

“…Fino ai prossimi esercizi spirituali, che quest’anno affideremo a un teologo di fama, il domenicano Padre Balzaretti. Parlerai con lui e gli esporrai i tuoi dubbi, prima di prendere una decisione definitiva…” Il Padre Mariani mi conosceva troppo bene per credere che la mia decisione non fosse definitiva: in quelle parole vedevo la mano generosa e amica del Padre Filippetto che, professore e rettore, mi guardava con simpatia e forse con una certa ammirazione.

 

Per qualche mese tenni per me la mia decisione. Ma la precedente inquietudine si trasformò in un disagio evidente: il disagio di vivere una vita che non era più la mia. E più di un confratello se ne accorse. Ma soltanto l’amletico Enrico mi avvicinava cercando di carpire ulteriori confidenze.

 

Mi immersi nella preparazione agli esami di maturità, riponendo finalmente nella biblioteca tutti i libri estranei al programma scolastico.

 

 
 
 

VENERABILIS BARBA - 15

Post n°1967 pubblicato il 21 Agosto 2015 da anonimo.sabino
 

 

Monteflavio 23.3.59 Figlio mio carissimo, come puoi dirlo se ho bisogno di vederti? … Anche che ci abbia tutto, mi sembra che non ci abbia niente e che mi manchi tutto… Quando torni per le vacanze Monteflavio non lo riconosci: la chiesa parrocchiale stanno buttandola giù … Poi altre cosette si stanno facendo, insomma sta migliorando assai, a paragone come l’hai lasciato. Adesso però non ti fai venire la nostalgia per venirlo a vedere, non fai come me che fino adesso ho contato i mesi, invece mo comincio già a contare i giorni…

 

La mamma (terza elementare, quante erano ai suoi tempi le classi nel paese) si cimentava perfino con i congiuntivi per dirmi quanto agognava il mio rientro, se non a casa, almeno nella Provincia Romana dell’Ordine.

 

Decisi che la paura doveva essere vinta. E fu durante una notte insonne che presi il coraggio a due braccia: avrei pregato per l’ultima volta.

 

Tutto lo Studentato era immerso nel sonno, quando m’infilai la veste, mi alzai dal letto e discesi silenziosamente la scala di servizio del castello fino alla cappella. Il tepore della nottata e la mia insonnia già sapevano di primavera e il lumino sempre acceso davanti al Santissimo mi diceva che Cristo era là. Ebbi paura. Stavo per inginocchiarmi, come al solito, in fondo alla chiesa. “No! Ora o mai più”. Accesi una luce: tante volte avevo detto a me stesso che la paura delle tenebre si combatte accendendo il lume della ragione.

 

Avanzai verso l’altare. Un riflesso condizionato mi spingeva di nuovo a fare la genuflessione. Riuscii a mantenermi ritto davanti all’altare; e con le mani appoggiate sulla pietra pregai per l’ultima volta, più o meno così:

 

“Mi hanno detto che tu stai là dentro, vivo e vero. Ma questa può essere la mia ultima preghiera, perché io non ci credo più. Se ci sei e se vuoi che io ti dedichi la mia vita, sono pronto a farlo. Ma questo è il momento di venire fuori… Vieni fuori, Gesù! Fatti vedere! Parlami… Altrimenti sei soltanto un’ostia fatta dalle scuffie”.

 

Non venne fuori. Ed io cessai di tremare. Nel riattraversare la chiesa semibuia, sperai e temetti di sentirlo alle mie spalle. Giunto in fondo, mi voltai brevemente; e senza segnarmi, senza genuflessioni, spensi la luce e lasciai la chiesa. Per sempre. Non avevo più paura; lo sguardo della mia mente aveva perforato, con il coraggio della ragione, il mostro che incombeva dall’alto; e ora non mi restava che scoprire l’universo, caro Lucrezio Caro

 

----- ° -----

 

 
 
 

VENERABILIS BARBA - 14

Post n°1966 pubblicato il 20 Agosto 2015 da anonimo.sabino
 

 

Trani 22/XII/58 Caro Fabio, è da circa un anno che non ci facciamo vivi… Fa molto male vedersi diversi dagli altri. Sai, ho scoperto che mi attacco molto facilmente ai luoghi, per cui ti chiedo il favore di parlarmi di questi nostri, di costà: se la rotonda non abbia subito qualche modificazione… se la nebbia sia ancora la stessa o vi conceda più frequentemente quelle frizzanti e limpide mattine che permettevano di vedere lontano…Vivi di più. Non ti auguro molta felicità, ti verrebbe a noia… Scrivimi presto e porgi i miei auguri a chi mi ricorda ancora.

 

M’impensierì la strana nostalgia natalizia di Vittorio, non che mi sorprendesse il suo pessimismo. Ma la mia decisione era matura.

 

No, non era più soltanto la nostalgia opposta a quella di Vittorio, la nostalgia della libertà: ad onta di un preteso “consenso universale” millenario e di un esercito d’illustri teologi, non avevo più un briciolo di fede. Credo che prima della fine dell’inverno fossi giunto alla conclusione che la mia esperienza religiosa era finita. Mi trattenevano il pensiero di deludere le speranze riposte in me e la paura che mi era stata inculcata: paura di tradire una vocazione…dei castighi tremendi che mi prospettavano i miei educatori… dell’inferno, sì, con le sue pene eterne.

 

Mi sostenne la mia indomabile ragione critica: il deludere le speranze altrui non era un tradimento, ma stava nei patti. “Ricordati”, mi dicevo, “che si sono prese in cambio tutta la tua adolescenza e la tua prima giovinezza”. Quanto alla paura di Dio e dell’inferno, sì, ero portato come tutti a pensare che all’inferno fosse meglio crederci che andarci; eppure non riuscivo a crederci.

 

Camino 17-II-’59 Cara mamma, dopo un inverno che veramente è stato abbastanza mite, qui c’è un tempo di primavera. In quei tre o quattro giorni di freddo ha fatto tutto di colpo tanta neve che il sole non riesce ancora a scioglierla tutta; ma l’aria è tiepida …  

 

Non le dicevo tutto. Né avrei potuto spiegare in una lettera un travaglio che, ruminato per anni, giungeva in quei giorni ad una non inattesa conclusione. Era il Padre Temofonte, messo evidentemente al corrente, a scrivermi lettere accorate: …Lo dirò a tua madre…

 

Io mi limitavo a prepararla all’idea chiedendole scherzosamente se sarebbe stata felice di riavermi con sé, pur sapendo bene che si trattava di una domanda retorica...

 

 
 
 

VENERABILIS BARBA -13

Post n°1965 pubblicato il 19 Agosto 2015 da anonimo.sabino
 

 

Nel luglio del ’58 ci fu un fatto per me importante: partito fratel Capra, fui designato a succedergli come maestro della schola cantorum. Affidando l’armonium o il piano a Pacioni, io dirigevo i cori. Dovevo quindi prepararli, scegliendoli e avendo l’autorità di distrarre per questo i cantori dallo studio o dalla ricreazione. E già il 20luglio, allora festa di S. Girolamo Emiliani, diressi la prima messa polifonica…

 

Avevo più tempo, avendo superato alla fine del triennio summa cum laude gli esami finali e la tesi de universa philosofia.

 

Al ritorno dalla breve vacanza a Ponzate, ricevetti da Vanda la fotografia della neonata. La piazzai sul mio banco, facendo adesso delle boccacce di Ottavia la mia finestra sul mondo perduto. 

 

Tra l’esame di uno spartito e i primi (ed unici) tentativi di leggere qualche brano in russo, giunse, nell’ottobre piovoso del ’58, la notizia della morte vera (c’era stato un precedente tentativo di apoteosi) di papa Pacelli. Per lui i miei cantori impararono in pochi giorni una messa funebre a tre voci. Gli successe il patriarca di Venezia: la svolta dall’aristocratico reazionario che incoraggiava quel rigore religioso da Controriforma e aveva benedetto la fede nazista a Giovanni XXIII, quel papa Roncalli che, figlio di contadini, apriva la stagione del dialogo e dell’attenzione ai problemi sociali, cominciando con lo sbarazzarsi di parecchi nobili parassiti della corte pontificia.

 

Avevo visto il futuro papa bergamasco nel santuario di Somasca e l’avevo conosciuto poi patriarca di Venezia nel corso di una visita al monumentale palazzo vescovile della Laguna, dove conversò bonariamente anche con me. 

 

Cara mamma, devo fare il tema su Ugo Foscolo… L’altra notte è venuto un temporale che alla mattina ci ha fatto trovare tutti gli alberi con quattro foglie gialle penzolanti, scheletriti come una illusione del Foscolo…

 

…Ti ho detto che non ci sono altre novità; ma mi dimenticavo di accennare al successo che ho riscosso come maestro di musica…

 

… Pensa che a Casale mi hanno preso per un “ragazzo prodigio” e domandavano ai miei compagni quanti diplomi avessi…

 

Sapevo di essere solo un dilettante della musica. Ma essa mi aveva sempre soccorso. E amavo tutta la musica, con preferenza, manco a dirlo, per la musica classica. Come sigla della schola, al posto del coro alpino Bombardano Cortina, bello musicalmente ma insulso nel testo, scelsi il giocoso Venerabilis barba capuccinorum, attribuito a Mozart ma forse del Pergolesi.

 

 

 

 
 
 

VENERABILIS BARBA - 12

Post n°1964 pubblicato il 18 Agosto 2015 da anonimo.sabino
 

 

Il mio primo esclusivo obiettivo di ricerca aveva riguardato il fondamento della religione cristiana, la rivelazione; ossia la possibilità che Dio fosse intervenuto nella storia umana, a insegnare la verità assoluta, a consacrare santi e profeti, a omologare le leggi, ad addrizzare le persone, ad eleggere fedeli, a pretendere atti di culto e, al fondo di tutto, a consacrare l’autorità almeno spirituale dei suoi ministri e dei suoi sedicenti testimoni. Non avevo messo in discussione quel teismo naturalista che, accettato perfino dagli illuministi, non aveva nulla a che fare né con la religione in generale, né con il cristianesimo in particolare.

 

Ora come Lucifero mi ribellavo all’idea che esistesse la Bontà infinita in un dio che aveva condannato i diavoli ad essere il male e aveva creato per loro e per i peccatori le pene eterne dell’inferno. Fuori del mito, mettevo in dubbio, come Giobbe, che ci fosse un dio buono e onnipotente, cristiano o no, a governare un mondo pieno di angustie e di sopraffazioni, dove i buoni vengono angariati e uccisi mentre ai prepotenti e agl’imbroglioni sembrano riservati i godimenti. 

 

Anche la mia la chiamavano superbia. E superbia non era. Forse presunzione. Ma questo non posso dirlo io, perché il nostro grado di presunzione possono misurarlo solo gli altri. Certo meno presuntuoso di chi si fa interprete del pensiero di Dio, ero e resto convinto che la  mia presunzione non fosse altro che il coraggio della ragione.

 

Proprio perché caratterizzato dal mio progressivo rifiuto, l’ultimo anno a Camino mi sembrò eterno. 

 

Salutati i vecchi che ci lasciavano per gli studi di teologia o per tornare alla spicciolata nel “mondo”, io continuavo a respirare il fascino malinconico del vecchio castello e a salutare la statuina bianca della Madonna che spiccava sulla facciata della chiesa di Camino, quando scendevamo in coppie casuali, con la rituale benedizione all’uscita e al rientro, a confessarci dal parroco.

 

Camino non raggiungeva, credo, i mille abitanti. Ma era un paesino evoluto e pulito, dove le donne, benché lavorassero per le colline del Monferrato e nelle risaie della sottostante pianura, apparivano, nelle rare processioni dei giorni di festa, truccate come cittadine. Dico apparivano a chi osava guardarle di sottecchi, essendo severamente proibito rivolgere uno sguardo o una parola ad alcun monferrino. Così il dialetto piemontese, come quello lombardo, non ha potuto contagiarmi; in piemontese so strapazzare solo Maria Giuanna, imparata da Figone.

 

 
 
 


 

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