Creato da anonimo.sabino il 06/09/2006

L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi di Gennaio 2016

ARRIVANO I NOSTRI - 5

Post n°2080 pubblicato il 29 Gennaio 2016 da anonimo.sabino
 

 

Con ignobile meschinità il parafrancescano stilò contro di me una viscida denuncia di assenteismo dall’ufficio. E trovò un procuratore regionale della Corte dei Conti, certo Sfregola, che, chiusi gli occhi sul precedente bivacco, si gettò addosso a me con tale livore da fare due irruzioni nella sovrintendenza, per il sequestro di atti che bastava richiedere, con un ufficiale dei carabinieri che annunciava che mi avrebbero “spezzato la schiena”. Seppi poi che erano entrambi di destra, come si dice accomunando carogne fasciste e conservatori.

 

Mi vedevo accusato di essere il ladro e il lavativo, io che da supplente (non reggente in missione come il predecessore) ci rimettevo di tasca mia. Quella parodia di magistrato ignorò la nuova norma contrattuale che rendeva libero il dirigente da una presenza obbligata; basò l’accusa su norme abrogate da anni, come un preteso obbligo di residenza nella sede di servizio; pur avendo attivato una ispezione che aveva appurato il perfetto funzionamento (neanche una pratica arretrata) e la totale correttezza degli atti della Sovrintendenza, mi perseguitò per sei anni, anche dopo che avrei lasciato l’Umbria, sottraendo alla mia famiglia un bel po’ di soldi, impugnando la stessa ingarbugliata condanna amministrativa (immagino estorta ai colleghi) per avere una sanzione più “esemplare” e vendicandosi del suo rigetto col promuovere il giudizio penale.

 

Vedendomi particolarmente turbato dall’incredibile persecuzione, che quanto meno mi distoglieva da pensieri più degni, la stessa Antonietta giunse a suggerirmi:

 

“Non potresti interessare qualcuno dei tanti amici che hai tra i magistrati, magari qualche tuo vecchio collega?”

 

“Chiederò qualche consiglio. Ma non cercherò intercessioni”.

 

Sei anni per tre sentenze su una questione di lana caprina, due di condanna e una di assoluzione, che mi resero nauseato da una casta giudicante impegnata più ad erigersi sulla società civile che ad evitare la  prescrizione di processi più utili: altro non piccolo problema di formazione (e di non infrequente deformazione) professionale, attorno al quale gira tutto il blaterare di riforma della magistratura, animato solo dai conflittuali interessi di guardie e ladri e quindi sfasato in partenza.

 

“La gente cattiva ne va”, ripeteva la mia Onne.

 

Il Ministero, che se ne era lavato le mani limitandosi a ignorare l’accusa, dopo più di “qualche mese” mi trasferì. Dal 1° febbraio 1998 fui assegnato in sede definitiva a L’Aquila (non a Roma) come sovrintendente scolastico regionale dell’Abruzzo.

 

 
 
 

ARRIVANO I NOSTRI - 4

Post n°2079 pubblicato il 28 Gennaio 2016 da anonimo.sabino
 

 

Le mie funzioni più importanti sarebbero state il coordinamento dei provveditori agli studi (era affidato al sovrintendente come primus inter pares) e quello degli ispettori scolastici. Ma i titolari delle due sole province della regione umbra preferivano ignorarsi, mentre gli ispettori assegnati alla sovrintendenza avevano già un’ottima coordinatrice, la signora Fournier.

 

Solo dopo qualche giorno mi accorsi che si era insediata a Perugia una “Segreteria operativa del Gruppo Interministeriale per l’educazione ambientale”. Era una delle perle distribuite dai D’Amore per l’Italia: il Gruppo Interministeriale, previsto da una circolare a carico del Ministro dell’Ambiente, che l’aveva firmata su iniziativa di qualche interessato, doveva essere istituito con successivo decreto e operare in uno degli uffici dei due ministeri nella capitale; ma la sua segreteria stava in una sovrintendenza regionale. Ancora più incredibile dictu, il “Gruppo Ambiente” non si era più costituito, la sua segreteria sì; e funzionò o finse di funzionare per due anni, costituita dal reggente mio predecessore e da un ispettore periferico di Assisi, che essendo titolari altrove vi lucravano le indennità di missione.

 

L’ispettore operava anche per collette benefiche attraverso una sua associazione parafrancescana (Sorella Natura) presieduta dall’ex presidente perugino della Corte Costituzionale. Ideatore e factotum della situazione, avendo vinto il concorso per la Lombardia, riusciva così a farsi pagare per restarsene vicino al grande santo compaesano.

 

Trovai agli atti una lettera riservata, arrivata prima di me, con la quale il nuovo direttore generale aveva comunicato che quell’attività doveva intendersi riassorbita nella competenza istituzionale dell’Ufficio Studi del Ministero e la liquidava con tanto di ringraziamenti come velo pietoso. Ecco perché non vi avevo trovato l’ispettore che in precedenza, mi dissero, vi spadroneggiava.

 

Ma il tenace ispettore non si era dato per vinto. E mentre corteggiava invano il vice ministro delegato, la senatrice Carla Rocchi (“Abbiamo un problema incomune”, mi disse lei), da una insegnante comandata che usava come segretaria personale fece convocare nella sovrintendenza di Perugia, scavalcandomi, i “referenti” che era riuscito ad agganciare in alcuni provveditorati.

 

Non potendo , tra l’altro, pagare quelle trasferte, feci revocare la convocazione. Alla irosa reazione epistolare dell’ispettore risposi diffidandolo e facendolo diffidare dal suo sovrintendente lombardo dall’usare per le sue personali attività il nome, le strutture o il personale della sovrintendenza di Perugia.

 

E subii una rivalsa feroce.

 

 
 
 

ARRIVANO I NOSTRI - 3

Post n°2078 pubblicato il 27 Gennaio 2016 da anonimo.sabino
 

 

Ma dovevo tornare a viaggiare, non potendo permettermi né l’albergo, né una casa in affitto a Perugia per viverci da solo, dato che la famiglia non poteva di certo seguirmi. Mi domandai costernato chi avesse potuto mettermi in così cattiva luce agli occhi del mio ministro. Non lo seppi mai. Forse perché non era stato nessuno.

 

Appresi intanto un’altra verità che non avrebbe mutato il mio orientamento politico, ma mi avrebbe reso cosciente del mio abnorme rapporto con il potere: i compagni sono necessari per la lotta, ma per la gestione del potere tornano più utili i ruffiani.

 

Solo quando mi giunse l’assegnazione ufficiale seppi che a Perugia non andavo neanche come titolare, ma come vicario supplente del titolare in aspettativa parlamentare. Il nuovo direttore del personale, che ben mi conosceva, ritenne di incoraggiarmi dicendomi anche che in quell’ufficio non c’era nulla da fare, non perché mi sapesse spaventato dal lavoro, ma come autorizzandomi a una presenza discontinua, consentita del resto dal primo contratto nazionale dei dirigenti appena entrato in vigore: staccato dalla Sovrintendenza Interregionale per il Lazio e l’Umbria nel 94, quell’ufficio non aveva da gestire né vecchi strascichi né nuove attività di reclutamento e di formazione, dato il lungo blocco del turn over.

 

Non mi disse che una cosa c’era, da fare, e che poteva farla soltanto una persona retta e decisa come me: estirpare dall’ambiente un bubbone che vi si era annidato.

 

E viaggiai per Perugia, dove rimasi assegnato dal novembre del 96 a tutto il 97, andandovi una volta o due a settimana e dormendo, per accoppiare qualche presenza, presso il Convitto Nazionale di Assisi: duecento chilometri di viaggio tra autostrada e superstrada, altrettanti per il ritorno. Non dico quanti sacrifici e quanti quattrini avrei risparmiato, restando a vegetare nella cella ministeriale, anziché fare tanta strada per andare, per lo stesso trattamento economico, dove sarei servito ugualmente ben poco.

 

Mi proposi di attivarmi come capo delle scuole della regione, anziché addormentarmi nel ruolo di capo di quel piccolo ufficio.

 

Come il trasferimento a Rieti, anche quello in Umbria coincise con l’anno del terremoto. E arrivato a Perugia, facevo poi ancora tanti chilometri, per lo più il secondo giorno, per recarmi in visita alle scuole traslocate in tende o prefabbricati, oltre che a incontri di lavoro e convegni, sempre con la mia vecchia Alfasud. I due impiegati abilitati a portare la macchina di servizio in mancanza di autista si prestavano solo per sortite limitate all’orario di servizio, nella mattinata, non essendovi fondi per lo straordinario.

 

 
 
 

ARRIVANO I NOSTRI - 2

Post n°2077 pubblicato il 26 Gennaio 2016 da anonimo.sabino
 

 

Il segretario e consigliere che il nuovo ministro si era portato dietro dall’esterno, certo Campione, al quale avevo consegnato la mia lettera, aveva di fatto occupato la Direzione del Personale mettendo mano a una rotazione completa dei dirigenti; cosa che inizialmente mi sembrò salutare; non più tanto quando lo vidi proseguire su quella strada per tutto il corso della legislatura e senza tenere alcun conto delle esigenze e delle aspettative, anzi senza sentire mai gli interessati, sulla base di impulsi di vario genere, se non di pettegolezzi: una sorta di castigapopolo, o meglio di castigadirigenti.

 

Lo stupore per non avere avuto alcuna risposta alla mia lettera si trasformò in incredulità quando seppi da voci ufficiose di essere stato destinato alla sovrintendenza dell’Umbria; mentre a quella di Roma andava prima un democristiano di destra, l’amico Norcia, e subito dopo, nominato Norcia provveditore di Roma, il solito socialista. Erano scelte politiche, che non potevo contestare  , non avendo più la tessera del partito; ma quei colleghi non avevano certo maggiori benemerenze. Il direttore generale del personale mi assicurò che sarebbe stato solo per pochi mesi. E il nostro Campione (Campione, Grande e tutti gli altri sono cognomi reali, pur essendo motu proprio emblematici), al quale andai a chiedere personalmente una spiegazione, prima mi rifilò il discorso strategico dalemiano (D’Alema era diventato, grazie alle sue doti “strategiche”, capo del Governo) di chi deve patteggiare con alleati esigenti, poi mi spiegò quel “reinserimento nel giro” come l’unico modo di predispormi, “forse”, alla nomina alla qualifica di direttore generale regionale, di prossima istituzione.

 

Non fui il solo a rimanere sbalordito da quella espulsione che nessun ministro democristiano aveva osato nei miei confronti. Tutto il Palazzo era sorpreso (e i simpatizzanti disorientati) che proprio per la bandiera rossa del Ministero non solo non ci fosse posto in un’Amministrazione Centrale dove restavano, al fianco del ministro di sinistra, ruffiani e vecchi arnesi di ogni risma; ma neanche negli uffici periferici dove per anni avevo svolto onorevolmente le funzioni vicarie e dove molti, nella sovrintendenza del Lazio come nei provveditorati di Roma e di Rieti, mi invocavano come titolare, con richieste dirette allo stesso ministro, ora che l’anzianità di carriera me lo consentiva.

 

Avrei potuto piantare una grana sul piano giuridico. Proprio al ministro di sinistra appena arrivato? L’antico senso di disciplina m’indusse a inghiottire il rospo e a reprimere la ormai acquisita convinzione della scarsa considerazione in cui la Sinistra aveva i suoi utili idioti. Sempre meglio che restare inattivo.

 

 
 
 

ARRIVANO I NOSTRI - 1

Post n°2076 pubblicato il 25 Gennaio 2016 da anonimo.sabino
 

 

16.ARRIVANO I NOSTRI

Quando la vecchia sinistra disperava ormai di vedere spuntare il sol dell’avvenire, i partiti di governo del centro-sinistra furono travolti dalla sfiducia popolare e dagli scandali delle tangenti. Nel 1996, con il primo governo di sinistra, giunse inaspettato il primo ministro comunista, Luigi Berlinguer; ma per correttezza nei suoi confronti bisognava chiamarlo post-comunista: il P.C.I. era stato liquidato anche nominalmente e il grosso dell’organizzazione era diventata il Partito Democratico della Sinistra (P.D.S.) o dei Democratici di Sinistra (D.S.), come si definì via via la cosa di Occhetto, quello che al funerale di Togliatti declamava “nel tuo nome l’Italia sarà socialista”.

 

A me la novità del sabato libero dava ora la possibilità di dedicarmi corpo e anima al “Colle dell’Avvocato”. Già lo chiamavano così, il lotto sorteggiato dal suocero in una macchia scoscesa, concessa dal Comune perché fosse disboscata e messa a coltivazione in cooperativa. Lui vi aveva già piantato gli ulivelli. Riprendendo il suo lavoro, mi cimentai nell’antica impresa di creare una piantagione, cioccando gli arbusti e terrazzando con muri a secco (le macere) la balza montuosa, per poi spianare attorno alle piante la breccia e il terriccio scavato dalla parte superiore del terrazzo; dal continuo riavanzare della macchia difendevo gli ulivi ormai grandini usando di frequente accetta e marraccio; e per le macchie attorno mi dimenavo anche per far legna, respirando l’ombra fresca dei boschi, raccogliendovi asparagi e funghi e cantando a voce spiegata per la infinita popolazione strisciante e pennuta.

 

Una fatica ingrata. Ma mi manteneva in perfetta forma e mi faceva sentire produttivo, ad onta di chi mi voleva uccidere rendendomi inutile.

 

All’arrivo del ministro di sinistra, ritenni di doverlo premunire da compagno sulle difficoltà che avrebbe incontrato e perché conoscesse un poco l’ambiente nel quale stava per avventurarsi. Lo salutai con una lettera, nella quale, presentandomi come il più vecchio comunista del ministero, gli segnalavo tra l’altro l’ostracismo di cui io ero oggetto in quegli ultimi anni, come tutti i dirigenti comunisti prima di me. Speravo che lui mi cercasse, per chiedermi non dico qualche consiglio, ma un po’ di collaborazione o semplicemente qualche notizia; me lo fece credere il fatto che il D’Amore fosse stato subito confinato nella Direzione della scuola non statale, amministrativamente insignificante.

 

 

 

 
 
 


 

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