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L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi del 07/07/2015

CAMINO MONFERRATO - 4

Post n°1939 pubblicato il 07 Luglio 2015 da anonimo.sabino
 

Franco, concluso il corso di avviamento al lavoro, cercava di recuperare un po’ d’istruzione frequentando l’istituto professionale. Noi chierici non subivamo più il controllo della posta. Almeno credo.

E c’era un’altra cosa che nessuno avrebbe potuto controllare, la fantasia. Non che fosse una mia prerogativa. Avvertivo anzi fin da Pescia e da Somasca quando i compagni spiccavano il volo con me. C’erano passaggi della giornata in cui tutti eravamo completamente assenti, come contagiati l’uno dall’altro. E a svegliarci era il solito somaro ossequiente, che guardandosi attorno con aria di rimprovero, rispondeva puntualmente all’oremus o alla domanda del superiore.

Quel castello, poi, sembrava la sede ideale di tutte le fantasticherie. Fatta eccezione per le brevi ricreazioni a passeggio nel parco, o a scalciare nella piccola radura che avevamo anche lì ricavato tra le piante della parte superiore, o nell’atrio se il tempo era brutto, nei momenti di stasi, specialmente durante le meditazioni, volavo subito dai suoi merli ai Monti Sabini o per mondi sconosciuti; andavo a vivere in isole semideserte, paradisiache; o in luoghi a me noti ma in compagnia di alieni. Tra i miei sogni c’erano anche quelli di carattere religioso: a volte conversavo con la Madonna o convertivo da solo la Russia. Ma più spesso mi abbandonavo a folli avventure tra i paladini dell’Ariosto e affrontavo eroicamente i pericoli necessari per la salvezza e la conquista della mia Angelica. Mi facevo vezzeggiare da una Nausica e mi scopavo con ardore una maga Circe.

Fantasticherie e masturbazioni erano un’esigenza fisica irreprimibile. Tranne il tempo di studio, nella mente era un alternarsi sfrenato e continuo di fantasie, a letto, in chiesa, a spasso, dovunque. L’immagine delle mondine che avevo visto attraversare in bicicletta il ponte di Trino con le gambe al vento era un pezzo fisso del repertorio. Ma nobili o popolane, non badavo al sottile, purché fossero donne. Facevo il cascamorto con le contessine e mi scopavo tutta l’area femminile della corte e della servitù. Contemplavo a lungo, come sdraiata nella nivea cinta alpina dominata da un radioso Monte Rosa, perfino la grande valle solcata da un maestoso Po, come se fossi io stesso a penetrare la Val Padana. Cercavo con lo sguardo tra le ombre del parco un vestigio di vita terrestre; e nel volgerlo alle campagne d’intorno, mi soffermavo su qualunque straccio o cespuglio colorato che vedevo lontano, a domandarmi se per caso non fosse una donna.

Che sofferenza, Biotto! Potrai mai uscirne? E che cosa sarai diventato, quando infine ne uscissi? 

 
 
 


 

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