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Messaggi di Luglio 2019

Antica Storia economica

Post n°2309 pubblicato il 31 Luglio 2019 da blogtecaolivelli

  Fonte: le Scienze

La storia economica dell'Impero Romano

è scritta nei ghiacci della Groenlandia

I livelli di piombo nelle carote di ghiaccio

riflettono le fluttuazioni economiche

dell'Urbe più fedelmente di qualunque

altro indicatore.

Guerre, carestie, periodi di pace e di

conquista hanno lasciato tracce riconoscibili

nella calotta glaciale.

shutterstock_475938013Un libro aperto (o quasi).|SHUTTERSTOCK

Un resoconto dettagliato, anno per anno,

della fortuna economica dell'antica Roma 

è stato ricavato dall'analisi di una fonte

inaspettata: non antichi documenti, ma antichi

ghiacci estratti dalla calotta della Groenlandia.

Duemila anni fa i Romani fondevano preziosi

minerali nelle fornaci, estraendo argento per

le monete e immettendo piombo in atmosfera.

Ora un gruppo di scienziati ha studiato i

depositi annuali di queste particelle inquinanti,

e ha scoperto che picchi e cali nella loro

quantità corrispondono con assoluta precisione

a periodi più o meno prosperi della storia di Roma.

La ricerca è stata pubblicata su Proceedings of

the National Academy of Sciences.

MAGGIORE DETTAGLIO. 

Gli antichi Romani usavano il piombo per le

tubature dei loro acquedotti e per rivestire

gli scafi delle loro navi.

Ma questo metallo, si diceva, è anche un fedele

indicatore della salute della loro economia

perché per produrre il denario, una piccola e

assai diffusa moneta in argento dell'epoca,

era necessario un processo metallurgico che

liberava in atmosfera particelle di piombo.

Che in parte sono finite imprigionate nei

ghiacci artici dove, tutt'ora, vengono ricercate

da alcune missioni scientifiche.

Le misurazioni sono iniziate negli anni '90, ma

finora avevano fornito valori riferiti a intervalli

di tempo di almeno due anni, con la possibilità

dunque di ricostruire l'evoluzione delle

concentrazioni di piombo in modo abbastanza

approssimato.

Andrew Wilson, archeologo dell'Università di

Oxford, e Joseph R. McConnell, esperto in analisi

di carote di ghiaccio del Desert Research Institute

di Reno, Nevada, hanno tentato un approccio più

preciso.

I due hanno misurato le concentrazioni di piombo

in una carota di ghiaccio lunga 423 metri già

estratta per un altro progetto di ricerca, il North

Greenland Ice Core Project.

Il campione corrispondeva a un periodo compreso

tra il 1100 a. C. e l'800 d. C.

Gli scienziati hanno fuso il ghiaccio poco a poco,

trasferendo di volta in volta i campioni in spettrometri

di massa, per analizzare la quantità di piombo con

una precisione corrispondente a un miliardesimo

di grammo.

Il lavoro certosino ha permesso di ottenere la ricostru-

zione di 1.900 anni di storia economica di Roma,

con 12 rilevazioni di piombo per ogni anno: una misura

incredibilmente puntuale e dettagliata dei picchi

e dei cali di inquinamento, che è stata confrontata

con i dati su eventuali emissioni non antropiche,

come quelle dovute ad eruzioni vulcaniche (che

sono state sottratte dal totale).

CRONACA FEDELE. 

Le fluttuazioni di piombo sono parse allineate con

i momenti più salienti della storia dell'Impero.

Salivano nei periodi di pace e prosperità economica,

come durante la Pax Romana (27 a. C-180 d. C.) e

calavano in corrispondenza delle guerre civili (come

quelle che precedettero la Pax e che portarono

all'ascesa dell'Imperatore Augusto). Bruschi cali delle

particelle coincidono anche con il periodo della

peste antonina (165-180 d. C.) - forse un'epidemia

di vaiolo, che uccise milioni di persone - e con le

guerre in Spagna (un'importante area di conio di 

monete) degli ultimi secoli prima dell'anno zero.

Minori quantità di piombo furono immesse in atmosfera,

naturalmente, durante il collasso dell'Impero

Romano d'Occidente nel 476 d. C. e, prima, sotto

l'imperatore Nerone, (64 d. C.) quando la proporzione

di argento nelle monete fu ridotta all'80%, e se ne

estrasse di meno perché si riciclava quello già usato.

Ora si lavorerà per capire se sia possibile risalire

alla provenienza geografica del piombo liberato,

e stabilire quali aree dell'Imperofossero

economicamente più floride.

 
 
 

Nuove foreste per rallentare il cambiamento climatico

Post n°2308 pubblicato il 31 Luglio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: le Scienze

Piantare gli alberi giusti nei posti giusti

potrebbe immagazzinare 205 gigaton-

nellate di anidride carbonica in 40-100 anni.

Si è detto per anni che piantare alberi può

aiutare a salvare il mondo dal riscaldamento

globale.

Quel mantra, però, era per lo più una

professione di fede.

Ora finalmente sono disponibili i dati per

dimostrare che, se le giuste specie di alberi

sono piantate nei giusti tipi di suolo in tutto

il pianeta, le foreste emergenti potrebbero

catturare 205 gigatonnellate di anidride

carbonica nei prossimi 40-100 anni.

Sono due terzi di tutta l'anidride carbonica

che gli esseri umani hanno generato a

partire dalla rivoluzione industriale.

"Il recupero delle foreste è di gran lunga la

nostra soluzione più potente oggi su scala

planetaria", dice Tom Crowther, professore

di ecologia dell'ecosistema globale presso

l'Istituto federale svizzero di tecnologia

(ETH) di Zurigo, autore di uno studio pubblicato

su "Science" che ha generato questo

numero sorprendente.

Il gruppo ha analizzato quasi 80.000

misurazioni fotografiche satellitari di coperture

arboree in tutto il mondo e le ha combinate

con enormi banche dati globali sulle

condizioni del suolo e del clima, valutando

un ettaro alla volta.

L'esercizio ha generato una stima dettagliata

di quanti alberi la Terra potrebbe sostenere

naturalmente, e una mappa di dove le foreste

crescono ora e dove potrebbero crescere, al

di fuori di aree come deserti e savane che

possono sostenere pochissimi alberi o

nessuno.

Il gruppo ha poi sottratto le foreste esistenti,

nonché le aree urbane e i terreni usati per

l'agricoltura, arrivando a 0,9 miliardi di ettari

che potrebbero essere coperti da foreste ma

non lo sono.

Se quegli spazi fossero pieni degli alberi che

già crescono nelle vicinanze, la nuova crescita

potrebbe immagazzinare 205 gigatonellate

di carbonio, quando le foreste saranno cresciute.

 La mappa elaborata nello studio: in alto, le

foreste attuali (in blu quelle più dense);

in basso gli 0,9 miliardi di ettari potenzial-

mente interessati dalla riforestazione

(in verde; in grigio le aree desertiche)

(Jean-Francois Bastin et al. in Science, Vol.

365, issue 6448, July 5, 2019)
Dopo 40 o 100 anni, naturalmente, il tasso

di crescita della cattura si appiattirebbe, via

via che la crescita delle foreste si livellerà,

ma i ricercatori sostengono che le 205 gigaton-

nellate si manterrebbero via via che vecchi

alberi moriranno e ne cresceranno di nuovi.

Ci sarebbe "un deposito di carbonio in eccesso

che non è più nell'atmosfera", dice Crowther.


Il gruppo ha anche creato uno strumento di

pianificazione collegato alla mappa, aperto al

pubblico dal 5 luglio. Individui e organizzazioni

possono ingrandire qualsiasi posizione per

vedere dove si possono far crescere nuove foreste.

Crowther non ha studiato altre tecniche di

cattura del carbonio che sono state molto

discusse ultimamente, come la fertilizzazione

oceanica (far crescere alghe per assorbire il

carbonio) o la cattura diretta dall'aria (con

macchine che estraggono CO2 dall'atmosfera),

ma pensa che sarebbero molto più costose che

far crescere gli alberi.

Egli stima che piantare alberi su 0,9 miliardi

di ettari potrebbe costare al mondo 300

miliardi di dollari.

E le nuove foreste forniscono un altro grande

vantaggio: ripristinano la biodiversità, che

è cruciale, perché molte specie vegetali e

animali stanno scomparendo.

Crowther dice di aver iniziato a studiare la

riforestazione perché stava davvero cercando

modi per fermare la perdita di specie. I benefici

enormi oltre il sequestro del carbonio "derivano

dalla biodiversità, poiché forniscono cibo,

medicine, acqua pulita e ogni sorta di beni

per gli esseri umani", afferma.

L'ultima speranzadi Richard Conniff
Sottrarre tutto quel carbonio dall'atmosfera,

però, potrebbe richiedere più tempo del

previsto.

Le foreste potrebbero impiegare più di

70 o 100 anni per raggiungere la piena

maturità, dice Robin Chazdon, ecologa e

biologa evolutiva dell'Università del

Connecticut, che non era coinvolta nello

studio.

Tuttavia, Chazdon afferma che qualsiasi

ripiantamento dovrebbe iniziare il prima

possibile, perché i cambiamenti climatici

possono compromettere la capacità di

crescita delle foreste.

Le temperature più alte aumentano la

traspirazione degli alberi, che causa loro

uno stress. E la siccità si diffonderà,

riducendo la crescita degli alberi.

Crowther aggiunge che, se anche i cambiamenti

climatici pemetteranno a più alberi di crescere

alle latitudini settentrionali, renderanno più

secche le latitudini tropicali.

Le perdite di alberi nei tropici, dice, supereran-

no i guadagni nell'estremo nord.

Chazdon sottolinea anche che il ripiantamento

potrebbe non essere così semplice come sembra,

e si chiede se potrà riguardare 0,9 miliardi di

nuovi ettari, date le priorità sul campo.

Più alberi consumano più acqua e questo potrebbe

minacciare l'agricoltura o altre attività umane in

aree aride.

E le popolazioni locali potrebbero non volere

foreste, se hanno bisogno di generare reddito

dalla terra, per esempio dall'agricoltura o dalla

pastorizia.

Alcuni importanti programmi di riforestazione,

come quelli nelle Filippine, hanno fallito "perché

non c'era alcun coinvolgimento locale", dice.

I posti migliori per iniziare la riforestazione sono

quelli in cui è possibile ottenere facilmente più

benefici.

In un articolo su "Science Advances" del 3 luglio,

Chazdon e colleghi hanno identificato una serie

di località nei tropici che presentano un potenziale

beneficio superiore alla media e una facilità di avvio.

Tutto il nuovo lavoro sugli alberi, dice Chazdon,

segnala che "stiamo entrando nella fase

dell'applicazione pratica" della riforestazione

intelligente. "Siamo in grado di portare tanta scienza

interdisciplinare a supporto, spero che ci sarà più

interazione tra scienziati e politici, una volta

capito che gli strumenti ora disponibili possono

guidare la riforestazione che è la più vantaggiosa

dal punto di vista economico, e ha molteplici

benefici e meno compromessi".

(L'originale di questo articolo è stato pubblicato

su "Scientific American" il 4 luglio 2019.

Traduzione ed editing a cura di Le Scienze.

Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.) 

 
 
 

Il ritiro dei ghiacciai italiani delle Alpi dei Tauri occidentali

Post n°2307 pubblicato il 31 Luglio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

Fonte: Cnr-Ismar/Cnr-Isac

© Angelo Cavalli/AGF

  Un nuovo studio degli Istituti di scienze

marine e di scienze dell'atmosfera e del

clima CNR pubblicato sul "Journal of Glaciology"

stima una forte riduzione di lunghezza,

entro il 2100, dei ghiacciai del settore più

settentrionale delle Alpi italiane.

In quest'area, daI 1982 ad oggi, registrano

una diminuzione complessiva di superficie

del 40% ed entro il 2100 le proiezioni del

modello indicano una riduzione di lunghezza

dei ghiacciai montani superiore al 35% con

una riduzione della superficie maggiore

del 60%

Un nuovo studio del Consiglio nazionale

delle ricerche - Istituti di scienze marine

(Cnr-Ismar) e Istituto di scienze

dell'atmosfera e del clima (Cnr-Isac) -

pubblicato sul "Journal of Glaciology" stima

una forte riduzione di lunghezza, entro

il 2100, dei ghiacciai del settore più set-

tentrionale delle Alpi italiane (versante

italiano dei Tauri occidentali), a cavallo

con l'Austria. "Si tratta di 46 ghiacciai,

di cui solo sette con una superficie

maggiore di un km2, prevalentemente di

tipo montano (Fig.1), condizionati dalla

morfologia dei versanti su cui giacciono

e privi di una lingua valliva. E, in misura

minore, di ghiacciai di tipo vallivo (Figg. 2 e 3),

caratterizzati da una zona di accumulo definita

e da una lingua di ghiaccio che si allunga

verso il fondovalle" spiega Rossana Serandrei-

Barbero, che insieme a Sandra Donnici ha

analizzato i dati glaciologici.

"Quelli presenti oggi costituiscono solo una

parte dei 63 ghiacciai censiti nel 1962 in

quest'area dove, daI 1982 ad oggi, registrano

una diminuzione complessiva di superficie

del 40%".

I ricercatori del Cnr hanno utilizzato un

modello matematico per stimare il comportamento

di questi ghiacciai nel caso di un aumento di

temperatura di 2,7 °C entro il 2100.

"Questo aumento di temperatura è compatibile

per l'area di studio con lo scenario di emissione

individuato dal Gruppo Intergovernativo sul

Cambiamento Climatico e noto con la sigla A1B,

che descrive un futuro con una crescita

economica molto rapida e un sistema energetico

caratterizzato da un sostanziale equilibrio tra

combustibili fossili e altre fonti", prosegue

Stefano Zecchetto, che ha curato la parte modellistica.

"Entro il 2100 le proiezioni del modello indicano

un comportamento diverso per i ghiacciai di

tipo montano o vallivo.

La riduzione di lunghezza dei ghiacciai montani

risulta superiore al 35% (Fig. 4) con una ridu-

zione della superficie maggiore del 60%.

Ma questa riduzione rappresenta un valore

limite oltre il quale i ghiacciai si frammenteran-

no in unità più piccole con un conseguente

aumento della velocità di fusione a parità

di condizioni climatiche".

"Nel settore italiano dei Tauri occidentali, i

ghiacciai montani rappresentano circa il 95%

dei ghiacciai", conclude Serandrei-Barbero:

"La grande riduzione delle loro dimensioni

indicata da questo studio, unita alla scomparsa

già in corso dei 26 ghiacciai più piccoli (e per

questo non trattati dal modello), significherebbe

l'estinzione di quasi la totalità degli esistenti

ghiacciai entro la fine di questo secolo, lasciando

sopravvivere forse solo i tre ghiacciai vallivi che

mostrano riduzioni più contenute rispetto

ai ghiacciai montani".

 
 
 

Polvere di meteore per le nubi di Marte

Post n°2306 pubblicato il 31 Luglio 2019 da blogtecaolivelli

fonte: Le Scienze

Nubi su Marte riprese nell'infrarosso

dalla missione MAVEN (NASA GSFC/

MAVEN/University of Colorado) 

Le polveri prodotte dalla disintegrazione

dei detriti che entrano nell'atmosfera del

Pianeta Rosso dallo spazio possono

servire da nuclei iniziali per la formazione

di nubi

I planetologi lo chiamano fumo meteorico.

È polvere ghiacciata, prodotta dai detriti

spaziali che possono entrare nelle atmosfere

dei pianeti, ed è l'anello mancante per

spiegare finalmente la formazione delle

nubi osservate su Marte a partire da 30

chilometri di quota, secondo quanto

riportato su "Nature Geoscience" da

Victoria Hartwick e colleghi dell'Università

del Colorado a Boulder, negli Stati Uniti.

"Siamo abituati a pensare alla Terra, a

Marte e ad altri pianeti simili come a corpi

che contengono tutti i fattori che

controllano il loro clima", ha spiegato

Hartwick. "Ma il clima dei pianeti non è i

ndipendente dal resto del sistema solare

circostante".

Per cominciare a condensarsi, le nubi

hanno bisogno di nuclei iniziali, cioè piccole

particelle su cui si aggregano le molecole

d'acqua fino a formare gocce più grandi.

Sulla Terra i nuclei sono costituiti da grani

di sale marino o di polvere trasportati

dall'aria.

Il problema è che questi nuclei iniziali non

possono esistere nell'atmosfera di Marte.

I ricercatori hanno quindi ipotizzato che

le polveri provengano dalle meteore:

ogni giorno su Marte arrivano 2-3 tonnellate

di detriti spaziali che, disintegrandosi,

immettono grande quantità di polveri

nell'atmosfera.

Sono sufficienti per spiegare le misteriose

nubi marziane? Per rispondere, Hartwick

e colleghi hanno effettuato simulazioni al

computer che riproducono flussi e turbolenza

dell'atmosfera del Pianeta Rosso.

E quando si includono le meteore nei calcoli,

ecco che fanno loro comparsa anche le nubi.

"Prima d'ora il nostro modello non poteva

prevedere la formazione delle nubi a queste

quote", ha aggiunto Hartwick.

"Ora che abbiamo messo dentro tutti gli

ingredienti, le cose sembrano essere al

posto giusto".

Si tratta di nubi molto rarefatte, ma che

hanno comunque un effetto sulla dinamica

del clima.

Le simulazioni, per esempio, mostrano che

possono far oscillare le temperature nelle

zone alle alte latitudini anche di dieci gradi

Celsius.

Inoltre, il risultato della simulazione potrebbe

fare luce sul passato del pianeta.

"Sempre più modelli indicano che l'antico clima

di Marte è stato riscaldato dalla presenza di

nubi ad alta quota, permettendo la presenza

di fiumi di acqua liquida sulla superficie",

ha concluso Brian Toon, coautore dell'articolo.

"È possibile che il nostro risultato sostenga

queste ipotesi". (red)

 
 
 

La Letteratura post-moderna

Post n°2305 pubblicato il 31 Luglio 2019 da blogtecaolivelli

Letteratura postmoderna

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La tendenza letteraria che nasce come

una serie di stili e idee dopo la seconda

guerra mondiale in reazione alle

teorizzazioni del modernismo viene chiamato

 letteratura postmoderna, ed estende molte

delle tecniche e assunzioni fondamentali

della stessa letteratura modernista.

La letteratura postmoderna è caratterizzata

dalla dipendenza da tecniche narrative come

la frammentazione, il paradosso e il "narratore

inaffidabile" (unreliable narrator); e spesso è

(sebbene non esclusivamente) definita come

uno stile o una moda che emerse nel secondo

dopoguerra.

Le opere postmoderne sono viste come una

risposta al seguito dogmatico del pensiero

illuminista e agli approcci letterari modernisti.

Panoramica

La letteratura postmoderna, come il postmodernismo

nel suo insieme, tende a resistere a una

definizione o classificazione come "movimento".

Infatti, la convergenza della letteratura

postmoderna con varie modalità di teoria critica,

in particolare gli approcci reader-response e 

decostruzionista, e le sovversioni dell'implicito

contratto tra autore, testo e lettore

(caratteristiche delle opere postmoderne),

hanno portato alcuni romanzi premoderni come

il Don Chisciotte di Cervantes e ilTristram Shandy 

di Laurence Sterne, a essere considerate da

alcuni come primi esempi di letteratura postmoderna. 

Si può affermare che sia la letteratura

modernista sia quella postmodernista

rappresentano una rottura rispetto al realismo

 delXIX secolo, in cui una storia veniva raccontata

da un punto di vista oggettivo o onnisciente.

Eppure è stato rilevato che alcuni scrittori

postmoderni (per ad esempio Steven Millhauser 

o talvolta John Barth) riprendano idee, stili,

tecniche della letteratura ottocentesca.

Mentre c'è un minimo consenso sulle

precise caratteristiche, scopi, e importanza

della letteratura postmoderna (come spesso

capita con i movimenti artistici), essa è

comunemente definita in relazione a un

precursore. In particolare, gli scrittori

postmoderni sono visti come ribelli nei

confronti dei precetti del modernismo,

e spesso operano come dei "bricoleurs"

letterari, parodizzando forme e stili legati

a scrittori e artisti modernisti (e altri).

Le opere postmoderne inoltre tendono

a celebrare il caso sull'astuzia, oltre a

impiegare la metanarrazione per indebolire

l'autorità o autenticità del testo.

Un'altra caratteristica della letteratura

postmoderna è il domandarsi sulle distinzioni

tra cultura bassa e cultura alta, per mezzo

delpastiche, la combinazione di soggetti e

generi precedentemente non ritenuti adatti

per la letteratura.

 Certamente il citazionismo, l'imitazione e il

pastiche sono tratti caratteristici della

letteratura postmoderna più che di quella

modernista, quindi è facile ritrovare negli

scrittori postmoderni deliberate imitazioni

dello stile di scrittori nel passato.

Ne è un ottimo esempio il romanzo di Thomas

Pynchon Mason & Dixon, che imita il tono e

addirittura l'ortografia degli scrittori del

Settecento inglese (come Henry Fielding e

 Jonathan Swift).

Nello sviluppo dei personaggi, sia la letteratura 

moderna che quella postmoderna esplorano

il soggettivismo metafisico, passando dalla

realtà esterna per esaminare gli stati

interni della coscienza, in molti casi

appoggiandosi ad esempi della letteratura

moderna come il flusso di coscienza di 

Virginia Woolf e James Joyce.

Ma alcuni narratori postmoderni rifuggono

dai personaggi a tutto tondo, privilegiando

personaggi monodimensionali, spesso

ripresi in modo più o meno esplicito da altre

opere letterarie (come il Marco Polo di 

Italo Calvino ne Le città invisibili).

Inoltre sia la letteratura moderna che

quella postmoderna esplorano la fram-

mentarietà nella narrativa e nella costruzione

del personaggio, che riflette i lavori del dram-

maturgo svedese August Strindberg e

dell'italiano Luigi Pirandello.

I personaggi della letteratura postmoderna

spesso non ambiscono ad essere ritratti

approfonditi di psicologie analizzate in estremo

dettaglio: spesso sono personaggi piatti, o

allegorici, che non pretendono di avere una 

profondità psicologica.

In questo possono ricordare certe figure che

s'incontrano nelle opere di Franz Kafka, scrittore

ceco assimilabile al modernismo, ma che ha

influito potentemente sulla letteratura post-

moderna.

Esempi di questa tendenza si possono trovare

nei racconti diDonald Barthelme o nei romanzi

di John Barth.

Riguardo alle modalità di rappresentazione,

mentre la letteratura modernista cercava nuovi

modi di raccontare una realtà che comunque

era ritenuta conoscibile (anche se i modi di rap-

presentazione sperimentali di autori come Joyce 

Ford Madox Ford o Virginia Woolf possono

spiazzare il lettore abituato alla narrativa tradizionale),

la letteratura postmoderna si pone il problema

di raccontare una "realtà" che non è più data,

oggettiva, solida come quella postulata dal 

positivismo delXIX secolo.

Questo può portare l'accento su una serie di

fenomeni socioculturali che hanno ripetutamente

attratto la narrativa postmoderna:

le realtà simulazionali e virtuali (dal mondo artificiale

creato dai massmedia alla realtà virtuale);

gli inganni e le trappole della narrazione e

della letteratura in generale (il concetto di

 fiction o finzione);

i complotti, gli intrighi, i segreti, le messe in

scena della storia;

i limiti alla nostra capacità di conoscere

decretati anche dalle scienze (principio di

indeterminazione di Heisenberg, entropia,

teoria della probabilità, teorie del caos, ecc.)

la società dei consumi con la sua spettacolariz-

zazione delle merci;

i simulacri nel senso previsto da Jean Baudrillard,

cioè di significanti privi di un vero significato;

l'impossibilità di ricomprendere la complessità

del reale con un unico discorso conoscitivo (o

"grande narrazione" nel senso di Jean-François

Lyotard).

Origine e sviluppo della letteratura postmoderna

È come al solito difficile individuare il punto

esatto in cui cessa una stagione letteraria e se

ne apre un'altra.

Nel caso della letteratura postmoderna il problema

è complicato dal fatto che essa trova il suo nome

e la sua teorizzazione negli Stati Uniti, ma accoglie

al suo interno scrittori di altri paesi "adottati" dal

movimento nordamericano (i nomi più significativi

in questo caso sono quelli di Borges, Calvino,

García Márquez, Nabokov).

È comunque possibile indicare come momento

di transizione tra modernismo e postmoderno

quello che va dal 1940 al 1960.

In questo periodo si situano opere chiave come

The Recognitions (Le perizie) di William Gaddis,

del 1955; The Cannibal di John Hawkes, del 1949; 

Il giardino dei sentieri che si biforcano di Jorge

Luis Borges, del 1941; Lolita di Vladimir Nabokov,

del 1955.

La piena "fioritura" della letteratura postmoderna

si ha però negli anni Sessanta, a partire dalla

pubblicazione di The Sot-Weed Factor di John Barth 

(1960), del capolavoro di Joseph HellerComma 22,

del 1961, e del primo romanzo di Thomas Pynchon,

 V., nel 1963. Soprattutto il successo commerciale

di Comma 22 ha aperto la strada alla narrativa

postmoderna che troverà la sua consacrazione

nel 1973, con la pubblicazione del capolavoro di

Pynchon, L'arcobaleno della gravità, vincitore del

premio National Book Award.

 
 
 

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