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Messaggi di Maggio 2020
Post n°2991 pubblicato il 29 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Le geometrie nascoste del tempio più antico del mondo Undicimila anni fa, un gruppo di cacciatori raccoglitori della Turchia eresse il tempio di Göbekli Tepe seguendo un piano architettonico ben preciso. Il sito archeologico di Göbekli Tepe si trova nell'odierna Turchia, al confine con la Siria. | WIKIMEDIA COMMONS Il tempio in pietra più antico del mondo, nel sito archeologico di Göbekli Tepe (Turchia) potrebbe essere stato eretto seguendo un preciso piano architettonico basato su motivi geometrici. Di per sé non sarebbe un fatto così sorprendente, se non fosse che il complesso megalitico fu costruito circa 11.500 anni fa, prima che agricoltura e allevamento diventassero attività economiche stabili: a progettarlo fu probabilmente una popolazione di cacciatori- accoglitori, molto più avanzata di quanto si credesse. SIGNIFICATO RELIGIOSO. Il tempio di Göbekli Tepe, da molti considerato il più antico santuario costruito dall'uomo, precede Stonehenge di 6.000 anni. Consiste in una serie di recinti circolari in pietra grezza delimitati da enormi pilastri calcarei e da una quarantina di pietre assemblate a forma di T, alcune delle quali alte anche cinque metri e pesanti 50 tonnellate. Parte di questo materiale è decorato con incisioni e sculture di ispirazione animale, prodotte tra 9.600 e 8.200 anni prima di Cristo. Poiché attorno al sito non c'è traccia di insediamenti umani, si pensa che Göbekli Tepe ("collina tondeggiante", in turco, "sacre rovine", in curdo) fosse una sorta di cattedrale sopraelevata, un luogo sacro su una collina. I recinti principali del sito di Göbekli Tepe sono disposti a formare un triangolo equilatero. | GIL HAKLAY/AFTAU GEOMETRIE INATTESE. Un gruppo di archeologi dell'Università di Tel Aviv e dell'Israel Antiquities Authority ha sfruttato una tecnica di analisi basata su algoritmi spaziali per misurare il piano architettonico di Göbekli Tepe. È emerso che le tre strutture principali del complesso, i recinti B, C, D, sono "legate" da un motivo geometrico preciso: i loro centri formano un triangolo equilatero praticamente perfetto, nonostante dimensioni e posizioni dei recinti s iano apparentemente causali. Muretti e pilastri sarebbero stati disposti secondo un progetto unitario e - al contrario di quel che si pensava - sarebbero stati eretti nella stessa epoca. Nessuno tra gli archeologi si aspettava questo livello di pianificazione in una cultura distante millenni dalle invenzioni della scrittura. Perseguire forme così precise implicava una conoscenza almeno rudimentale dei sistemi di calcolo e della geometria, e la possibilità di tracciare mappe geometriche sul suolo. IL RIFLESSO DI UN CAMBIAMENTO? L'edificazione contemporanea dei tre recinti "portanti" implica anche un maggiore apporto di manodopera e forza lavoro: un livello di organizzazione sociale più gerarchico e stratificato di quello che attribuiremmo a una popola- zione di cacciatori-raccoglitori. Letta in questa chiave, la costruzione del tempio di Göbekli Tepe potrebbe testimoniare un primo tentativo di esercizio del potere da parte di una figura centrale, e la nascita di una società più disuguale. |
Post n°2990 pubblicato il 29 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Il ritratto genetico più completo delle civiltà precolombiane La più ampia analisi di antichi DNA dei popoli delle Ande aiuta a ricostruire storia e migrazioni delle civiltà precolombiane. Il sito Inca di Machu Picchu, in Perù. | SHUTTERSTOCK Un gruppo internazionale di ricercatori ha condotto e pubblicato un importante studio genetico sulle civiltà precolombiane, il più completo svolto finora per arco di tempo analizzato ed estensione geografica. La ricerca, consultabile su Cell, rivela particolari interessanti sulla storia delle popolazioni delle Ande prima dell'incontro con gli europei: dettagli sui loro spostamenti e contatti, sul modo in cui scomparvero o furono conquistate e sulle caratteristiche delle loro città, che in alcuni casi somigliavano alle odierne metropoli cosmopolite. NUOVE INFORMAZIONI. I ricercatori coordinati da antropologi e genetisti della Harvard Medical School e dell'Università della California a Santa Cruz hanno analizzato i dati sulle sequenze di DNA di 89 individui appartenuti a civiltà precolombiane e vissuti tra i 500 e i 9000 anni fa. Tra questi, 25 genomi erano stati sequenziati in studi precedenti, e 64 - risalenti a un arco di tempo compreso tra 500 e 4500 anni fa - sono invece del tutto nuovi. Finalmente, è stato possibile analizzare il DNA di importantissime civiltà precolombiane mai incluse in studi di questo tipo, ma che hanno lasciato note testimonianze archeologiche: i Moche con i loro murales e le sculture a sfondo sessuale, i Nazca, i Wari dei terrazzamenti agricoli e dei capolavori tessili, i Tiwanaku delle cerimonie rituali sul Lago Titicaca, e gli Inca. Un patrimonio genetico di valore inestimabile, se si pensa che la maggior parte degli studi genetici finora si era concentrata sulle popolazioni euroasiatiche occidentali.
CONTINUITÀ GENETICA. Dalle analisi è emerso che, 9000 anni fa, le civiltà precolombiane che vivevano negli altopiani andini divennero geneticamente ben distinguibili da quelle distribuite sulla costa del Pacifico. Gli effetti di questa prima differenziazione persistono ancora oggi, nonostante le trasformazioni culturali che, negli ultimi 2000 anni, hanno coinvolto le popolazioni circostanti e a differenza del miscuglio genetico avvenuto in Eurasia nello stesso arco di tempo. Gli scienziati hanno osservato una forte continuità genetica durante ascesa e caduta di importanti civiltà, come Moche, Wari e Nazca: la scomparsa di queste popolazioni non fu quindi dovuta alle massicce migrazioni di popolazioni esterne nelle aree assoggettate e alla loro "sostituzione", come per esempio avviene durante le invasioni militari. MOVIMENTI E CROCEVIA. "Firme" genetiche caratteristiche distinsero, fino a 5800 anni fa, le popolazioni del Centro America settentrionale da quello meridionale: dopo di ché, in tutte le regioni delle Ande ci fu un maggiore rimescolamento genetico, che persistette, per poi rallentare nettamente di nuovo, fino a 2000 anni fa. I geni raccontano anche di scambi tra le popolazioni andine e non andine, tra il Perù meridionale e le pianure argentine, tra la costa settentrionale del Perù e l'Amazzonia. Questi spostamenti avvennero quasi sempre evitando l'altopiano delle Ande. Comunque, le popolazioni dell'altopiano andino non erano immuni da contatti con l'esterno. Nelle maggiori città degli Inca e dei Tiwanaku vivevano fianco a fianco persone venute da ogni dove, un po' come avviene oggi nelle grandi città. Questi centri erano veri e propri melting-pot culturali di persone con discendenze molto diverse: gli autori dello studio li hanno paragonati alla New York di oggi. |
Post n°2989 pubblicato il 29 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Il muro del Neolitico contro l'innalzamento del livello del mare Una barriera anti inondazioni proteggeva un villaggio israeliano oggi sommerso: da 7000 anni lottiamo contro l'innalzamento del livello del mare. Innalzamento del livello dei mari: oggi ne siamo i diretti responsabili. | Anche nella preistoria, i popoli che abitavano vicino al mare dovevano fare i conti con il rischio inondazioni. I resti di quello che è stato interpretato come uno sbarramento di difesa costiera sono venuti alla luce al largo della costa israeliana: il muro che si estende per oltre 100 metri fu eretto a protezione di un piccolo villaggio neolitico, fiorito intorno a 7000 anni fa. Secondo gli archeologi dell'Università di Haifa (Israele), si tratta della più antica e imponente barriera marittima mai identificata: purtroppo però non servì ad evitare che l'insediamento finisse sott'acqua.
Heracleion, la città egizia sommersa: la storia può ripetersi? | ARGINE DI MARE. Il muro di protezione si trova oggi a circa 200 metri al largo della costa di Carmel, nel nord dell'attuale Israele, in un'area in cui sono stati scoperti almeno 15 villaggi neolitici sommersi. Il sito archeologico noto da decenni è protetto da vari strati di sabbia, ma occasionalmente una tempesta più intensa delle altre ne lascia esposte nuove parti. Due burrasche invernali nel 2012 e nel 2015 lasciarono scoperte lunghe porzioni di una strana struttura allungata, composta da grossi massi di un metro di diametro per oltre una tonnellata di peso. Sub e archeologi si affrettarono a fotografarne i resti prima che sparissero di nuovo nel fondale. La barriera sorgeva a difesa del lato occidentale del villaggio di Tel Hreiz, quello esposto verso il mare: nel Neolitico, l'insediamento ospitava poche centinaia di persone che vivevano di agricoltura. I resti della barriera anti inondazioni di Tel Hreiz e di alcuni reperti archeologici rinvenuti nel villaggio. | E. GALILI / V. ESHED ESPOSTI AL DISASTRO. Il nucleo abitato risentì del progressivo innalzamento del livello del mare dovuto alla fine dell'Era glaciale. Quando fu costruita, 7000 anni fa, Tel Hreiz si trovava a 2-3 metri sopra il livello del mare. Ma la fusione dei ghiacci con il progressivo apporto di acqua e l'espansione termica dei mari fece salire il livello del Mediterraneo di 70 cm nell'arco di un secolo: una crescita persino più rapida di quella a cui assistiamo oggi (e della quale però siamo, a differenza di allora, anche la causa). Gli abitanti di Tel Hreiz erano consapevoli di questi cambiamenti: l'innalzamento del livello del mare non era sufficiente da solo a sommergere l'abitato, ma rese estremamente più frequente il rischio di inondazioni costiere. Queste informazioni, insieme alla particolare posizione del muro (che scherma solo la parte del villaggio rivolta verso il mare) hanno fatto propendere per l'ipotesi di una barriera frangionde.
TUTTO INUTILE. Nonostante le energie spese nella sua costruzione, il muro da solo non riuscì ad evitare il peggio. La datazione al radiocarbonio suggerisce che dopo un centinaio di anni, 250 al massimo, di occupazione stabile il villaggio fu definitivamente abbandonato, prima che il mare lo inghiottisse del tutto. Il destino di Tel Hreiz ricorda quello di molti insediamenti costieri oggi esposti all'innalzamento del livello del mare. Entro tre decenni soltanto, se i tagli alle emissioni serra seguiranno un andamento "moderato", oltre 300 milioni di persone correranno un rischio annuale di inondazioni costiere. |
Post n°2988 pubblicato il 29 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 5 cose che hai in comune con gli uomini e le donne della preistoria e (forse) non lo saiLa dieta alimentare, l'amore per gli animali domestici, le droghe, la birra e persino... l'uso di sex toys. Strano ma vero, sono tutte cose che abbiamo ereditato dai nostri antenati. Nella foto: un'illustrazione di Walter Haskell Hinton, che ritrae una coppia preistorica con un cane. | Quello che sappiamo della vita ai tempi delle caverne lo dobbiamo al lavoro certosino di archeologi e ricercatori: con i loro ritrovamenti ci permettono di saperne sempre di più sui nostri antenati preistorici. I quali, avendo vissuto prima dell'invenzione della scrittura, non ci hanno lasciato molti indizi sul loro passaggio. Ma per fortuna i ritrovamenti di alcuni oggetti allo stato attuale sono in grado di rivelarci verità sorprendenti. Proprio come noi, le donne e gli uomini delle caverne... Ci sono varie evidenze archeologiche che alcuni gruppi di individui vivevano assieme ad animali simili agli odierni cani. Secondo uno studio pubblicato su PLoS ONE, in Siberia orientale sono stati scoperti fossili di cani in vasi funerari appositamente realizzati per loro. In alcuni casi, i proprietari li avevano seppelliti anche con alcuni oggetti "preziosi" (ornamenti, utensili, pietre, ecc). I cani, dunque, non erano utilizzati solo per la caccia, ma erano considerati membri a tutti gli effetti del gruppo. I ricercatori asseriscono che la maggior parte delle sepolture canine in questa zona si è verificato durante il Neolitico antico, 7.000-8.000 anni fa. Nel 2005, in una grotta in Germania è stato ritrovato un fallo composto da 14 frammenti di siltite, che può essere considerato una delle prime rappresentazioni della sessualità maschile della storia. Per i professori del dipartimento studi preistorici dell'Università di Tübingen, potrebbe essere stato usato come un aiutino sessuale dai suoi creatori nell'Era Glaciale. Il ritrovamento è avvenuto a Hohle Fels, nella valle del fiume Ach, un sito archeologico che fino ad oggi ci ha restituito migliaia di oggetti del Paleolitico Superiore.
Alcuni archeologi a Cipro hanno portato alla luce i resti di quella che potrebbe essere stata una fabbrica di birra di 3500 anni fa, nel sito di Kissonerga-Skalia. Ma altri loro colleghi, come Brian Hayden della Simon Fraser University in Canada, ritengono che la prima produzione di birra risalga ad almeno 11.500 anni fa, e veniva usata durante le feste. "Queste erano essenziali nelle società tradizionali per l'economia e la creazione di legami tra le persone e di reti di sostegno, tutte cose fondamentali per lo sviluppo di una società", ha spiegato Hayden. "E da che mondo è mondo, nelle feste sono tre gli ingredienti presenti quasi sempre: la carne, i cereali in forma di pane o polenta e l'alcol, usato per impressionare gli ospiti, renderli felici e... più favorevoli nei confronti padroni di casa". Credevate che i nostri antenati preistorici fossero esenti da tentazioni? Non è proprio così: anche loro apprezzavano le droghe ricreative. Lo ha rivelato uno scavo archeologico nell'isola caraibica di Carriacou, dove sono state scoperte ciotole in ceramica e tubi usati per inalare fumi allucinogeni e polveri. Gli archeologi Quetta Kaye (University College di Londra) e Scott Fitzpatrick (North Carolina State University) ritengono che si utilizzassero le droghe per raggiungere uno stato di trance per scopi spirituali. La sostanza in questione è il cohoba, un allucinogeno derivato da una specie di mimosa. Secondo l'antropologo Glynn L. Isaac che ha dedicato parte della sua vita alle ricerche sul cibo nella preistoria, anche senza consultare riviste di salute, i nostri antenati preferivano seguire una dieta equilibrata a base di carne e verdure, simile alla nostra. Isaac il suo team hanno infatti scoperto che gli uomini preistorici avevano una serie di strumenti per tagliare la carne e un altro set di utensili da taglio per la raccolta di frutta a guscio e altre piante commestibili. Sarebbe la prova che si nutrivano di entrambi. 24 DICEMBRE 2013 | EUGENIO SPAGNUOLO |
Post n°2987 pubblicato il 29 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Giornata mondiale delle api amara: il maltempo azzera la raccolta di miele Le piogge e il maltempo hanno ostacolato il lavoro delle api, che per sopravvivere consumano le scorte di miele già negli alveari. Il miele: un regalo che, in tempi di ristrettezze, le api non possono farci. Vedi anche: miele, come si fa e si sceglie. | SHUTTERSTOCK Come se non bastasse la minaccia di pesticidi e parassiti, a funestare la Giornata mondiale delle api, istituita dall'ONU il 20 maggio (per la prima volta nel 2018), in riconoscimento del ruolo fondamentale di questi impollinatori, ci si è messo il maltempo. Secondo Coldiretti, le piogge e le basse temperature dei mesi di aprile e maggio, dopo la siccità e le giornate estive del mese di marzo, non hanno permesso alle api di raccogliere il nettare necessario alla loro sussistenza. Per sopravvivere, gli insetti stanno consumando le esigue scorte di miele che erano riuscite a mettere da parte: di conseguenza, la raccolta di miele quest'anno sarà compromessa, forse addirittura azzerata. PRIMAVERA PERDUTA. Quanto sta accadendo è una prova tangibile degli effetti dei cambiamenti climatici sull'andamento regolare delle stagioni. Con buona pace di chi ancora non distingue tra clima e meteo, e coglie nelle temperature "autunnali" di questi giorni il pretesto per esporre posizioni negazioniste, il global warming si manifesta anche con rapidi passaggi da giornate di sole a intense precipitazioni tropicali, fluttuazioni a cui le api sono Il tuo supermercato, se sparissero le api. | CJONELC LE CONSEGUENZE SULLA PRODUZIONE DI CIBO. A rimetterci non è soltanto il settore dell'apicoltura, importante per l'economia italiana, con 50 mila addetti e un giro d'affari di 70 milioni di euro. In gioco c'è la sopravvivenza degli alveari stessi, e con essa la resa di gran parte delle coltivazioni agricole nostrane. Se le condizioni meteo non miglioreranno sensibilmente, saranno a rischio, per Coldiretti, le colture di "mele, pere, mandorle, agrumi, pesche, kiwi, castagne, ciliegie, albicocche, susine, meloni, cocomeri, pomodori, zucchine, soia, girasole e colza", che dipendono del tutto o in buona parte dall'attività delle api e di altri impollinatori. In pericolo sono anche le coltivazioni foraggere destinate agli animali da pascolo: la carestia che le api stanno fronteggiando potrebbe mettere in crisi anche il settore della produzione di carne. |
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