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Messaggi del 19/05/2020
Post n°2949 pubblicato il 19 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 12 MAG 2020 UNA PULSAR MICIDIALE IN M92 Posted at 16:04h in Astronews, GRB, pulsar, stelle di neutroni, Fast Radio Bursts e fenomeni estremi by Barbara Bubbi . È uno degli oggetti più estremi e terrificanti del cosmo ed è stata individuata all'interno dell'ammasso globulare Messier 92, situato a circa 26.000 anni luce da noi. Si tratta di una pulsar redback, una stella di neutroni in rapidissima rotazione che cannibalizza una stella compagna, tanto da portarla alla totale distruzione. Utilizzando dati del telescopio FAST (Five-hundred-meter Aperture Spherical radio Telescope), un team guidato da PAN Zhichen e LI Di del National Astronomical Observatories of the Chinese Academy of Sciences (NAOC) ha scoperto una pulsar millisecondo in un sistema binario a eclisse, situato nell'ammasso stellare M92. Da quando, nel 1967, è stata scoperta la prima pulsar, gli astronomi ne hanno individuate centinaia nella nostra galassia. In particolare sono state scoperte fino ad oggi 157 pulsar in una trentina di ammassi globulari, raggruppamenti sferoidali di antiche stelle in orbita attorno alla Via Lattea. La pulsar, chiamata PSR J1717+4307A o M92A, è il primo oggetto di questo genere individuato nell'ammasso globulare M92 e ha un periodo di rotazione di 3,16 millisecondi. La stella compagna ha una massa 0,18 volte quella solare e il sistema binario ha un periodo orbitale di appena 0,2 giorni. M92A è stata individuata per la prima volta il 9 Ottobre 2017 da FAST, attualmente il radiotelescopio ad antenna singola più grande al mondo, tre volte più sensibile rispetto a quello dell'Osservatorio di Arecibo. Un sistema binario a eclisse è costituito da due stelle in orbita l'una attorno all'altra che, viste dalla Terra, si vengono a trovare periodicamente una davanti all'altra, eclissandosi. Nel caso specifico, questa binaria a eclisse è formata da una pulsar e da una piccola stella, la cui massa si sta riducendo notevolmente per la presenza della scomoda e implacabile vicina. Le pulsar derivano dalla morte esplosiva di stelle massicce: sono dense stelle di neutroni in rapida rotazione, la cui radiazione elettromagnetica in fasci ristretti, simili a quelli di un faro, è osservata come impulsi emessi ad intervalli molto regolari. Tra questi oggetti così straordinari, le pulsar millisecondo sono quelle che ruotano con eccezionale rapidità, centinaia di volte al secondo. Si ritiene che aumentino il loro tasso di rotazione sottraendo materiale da una stella compagna. In effetti, dal momento che l'orbita è così stretta, la pulsar divora via via materia dalla malcapitata stella vicina. Un sistema binario di questo tipo viene chiamato redback, dal nome del velenosissimo ragno dalla schiena rossa, la cui femmina tende a divorare il compagno dopo l'accoppiamento. La pulsar, in effetti, cannibalizza la sua compagna, sottraendole massa fin quasi a farla scomparire. Inoltre, ad ogni rotazione, la temibile stella di neutroni rotante dirige il suo fascio di radiazioni ad alta energia verso la compagna, quasi fosse un raggio mortale che disgrega via via la sventurata vicina. Lo studio è pubblicato su Astrophysical Journal Letters. Nell'immagine impressione artistica di una pulsar binaria |
Post n°2948 pubblicato il 19 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 03 MAG 2020 UN SOLE MITE PER LA NOSTRA TERRA Posted at 17:12h in Astronews, Sistema Solare, Sole by Barbara Bubbi Analizzando l'attività di centinaia di altre stelle analoghe alla nostra, gli astronomi hanno scoperto che il Sole, per gli standard cosmici, è sorprendente- mente tranquillo: le sue variazioni in luminosità sono decisamente inferiori rispetto a quelle dei suoi compagni stellari. Sono i risultati di un nuovo studio presentato dai ricercatori del Max Planck Institute for Solar System Research (MPS), Germania, in via di pubblicazione su Science. Per la prima volta gli scienziati hanno confrontato il comportamento del Sole con quello di centinaia di altre stelle con analogo periodo di rotazione e proprietà fondamentali simili. Gran parte delle stelle prese in esame sfoggiano un'attività molto più potente. Non è chiaro se questa pacatezza del Sole sia un tratto caratteristico della nostra stella o se riveli un fase quieta cui è andato soggetto il Sole soltanto degli ultimi millenni. La variabilità dell'attività solare, e di conseguenza il numero di macchie solari e la luminosità solare, può essere ricostruita utilizzando vari metodi, almeno lungo un certo periodo temporale. Disponiamo, ad esempio, di registrazioni storiche delle macchie solari fin dai primi anni del XVII secolo; inoltre la distribuzione di elementi radioattivi negli anelli degli alberi e nei carotaggi del ghiaccio ci consente di trarre conclusioni sul livello di attività solare negli ultimi 9.000 anni. Per quanto riguarda questo periodo di tempo, gli scienziati hanno individuato fluttua- zioni che ricorrono regolarmente di forza comparabile, come durante gli ultimi decenni. "Tuttavia, paragonati all'intera durata di vita del Sole, 9.000 anni valgono quanto un battito di ciglia", afferma Timo Reinhold, primo autore dello studio. "È plausibile che il Sole sia andato incontro a una fase quieta per migliaia di anni e che pertanto abbiamo una visione distorta della nostra stella". Dal momento che non c'è modo di scoprire quanto fosse attivo il Sole nei precedenti milioni di anni, gli scienziati hanno bisogno di rivolgere la loro attenzione ad altre stelle simili, per verificare se il comportamento del Sole sia più o meno "normale". Gli astronomi hanno selezionato stelle candidate che assomigliano al Sole per quanto riguarda alcune proprietà significative, come la temperatura superficiale, l'età, la proporzione di elementi più pesanti di elio e idrogeno, il periodo di rotazione. "La velocità a cui una stella ruota attorno al proprio asse è una variabile fondamentale", spiega Sami Solanki, coautore dello studio. La rotazione di una stella contribuisce alla creazione del suo campo magnetico grazie ai processi che si vengono a creare nel suo interno. "Il campo magnetico è la forza motrice responsabile di tutte le fluttuazioni nell'attività", continua Solanki. Lo stato del campo magnetico determina quanto spesso il Sole emetta radiazione energetica e spedisca particelle ad alta velocità nello spazio durante violente eruzioni, quanto siano numerose le macchie solari e le regioni luminose sulla superficie solare. Dal 2009 al 2013 il telescopio Kepler della NASA ha registrato le fluttuazioni in luminosità di circa 15.000 stelle di sequenza principale. I ricercatori hanno analizzato questo vasto campione, selezionando quelle stelle il cui anno dura tra 20 e 30 giorni. Utilizzando dati del telescopio Gaia dell'ESA, il campione è stato ulteriormente ridotto, fino ad arrivare a un totale di 369 stelle che assomigliano al Sole anche per quanto riguarda altre proprietà fondamentali. L'analisi precisa delle variazioni in luminosità di queste stelle dal 2009 al 2013 rivela un quadro piuttosto chiaro. Mentre l'irraggiamento solare tra fasi attive e inattive oscilla in media di appena lo 0,07 percento, le altre stelle presentano variazioni molto più ampie, tipicamente 5 volte più incisive. "Siamo rimasti molto sorpresi del fatto che gran parte delle stelle simili al Sole siano così tanto più attive rispetto alla nostra stella", spiega Alexander Shapiro, tra gli autori dello studio. Tuttavia, non è possibile determinare il periodo di rotazione per tutte le stelle osservate dal telescopio Kepler. Per ottenere questo risultato, gli scienziati devono scoprire certi cali di luminosità periodici nella curva di luce stellare, che possono essere ricondotti al passaggio periodico di macchie stellari dal punto di vista del telescopio. "Per molte stelle simili cali di luminosità periodici non possono essere rilevati; vengono perduti nel rumore dei dati e in fluttuazioni di luce sovrastante", spiega Reinhold. I ricercatori, pertanto, hanno anche studiato oltre 2.500 stelle simili al Sole con periodi di rotazione ignoti, le cui fluttuazioni in luminosità sono risultate molto inferiori rispetto a quelle dell'altro gruppo. È possibile che esista una differenza ancora inspiegabile tra i due gruppi di stelle presi in esame. Oppure può essere che la nostra stella sia rimasta insolitamente tranquilla negli ultimi 9.000 anni e che, su scale temporali molto più vaste, sia andata soggetta a fluttuazioni di luminosità ben più ampie. Nell'immagine il Sole ripreso nell'estremo ultravioletto dalla sonda SDO della NASA Credits: NASA/SDO https://www.mps.mpg.de/6541879/news_publication_14769465_ |
Post n°2947 pubblicato il 19 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 03 MAG 2020 LA SUPERFICIE DI EUROPA AL MICROSCOPIO Posted at 15:28h in Astronews, Lune e satelliti, Sistema Solare by Barbara Bubbi La luna di Giove Europa è uno dei luoghi del Sistema Solare in cui con maggiore probabilità potrebbero prosperare forme di vita elementare, data la presenza di un vasto oceano sotto la crosta ghiacciata. Eppure le caratteristiche superficiali del satellite non sono meno interessanti: il paesaggio variegato delle formazioni include crepe, striature, cupole derivanti da moti di sollevamento, avvallamenti, regioni caotiche dovute forse alla solidificazione di acqua salata fuoriuscita attraverso i ghiacci della crosta. Tre immagini riprese dalla sonda Galileo oltre due decenni fa sono state riprocessate dagli scienziati, svelando così la movimentata superficie di Europa con straordinario dettaglio. Le immagini potranno tornare utili per programmare la futura missione Europa Clipper della NASA, il cui lancio è previsto nei prossimi anni. La missione studierà il satellite mediceo grazie ad una serie di fly-by durante la sua orbita intorno a Giove. "Abbiamo osservato soltanto una parte molto piccola della superficie di Europa con questa risoluzione. La sonda Europa Clipper aumenterà immensamente le aree osservate", afferma Cynthia Phillips del Jet Propulsion Laboratory della NASA. Tutte e tre le riprese sono state acquisite da Galileo durante un passaggio ravvicinato ad Europa, nel Settembre 1998. Le immagini rivelano formazioni estese fino a 460 metri e sono state riprese con un filtro in scala di grigio. Utilizzando immagini a colori a più bassa risoluzione della stessa regione, riprese durante un altro flyby, i tecnici hanno mappato i colori nelle immagini a maggiore risoluzione. Le riprese a colori arricchiti permettono agli scienziati di evidenziare le formazioni geologiche e le varie composizioni chimiche della superficie. Le aree che appaiono in azzurro chiaro o in bianco sono composte principalmente di ghiaccio d'acqua puro, mentre le aree rossastre rivelano la presenza di materiali differenti, come i sali. Studiare le riprese consente agli scienziati planetari di ricavare informazioni sull'età della superficie di Europa, molto più giovane rispetto alla luna stessa, che si è formata insieme al Sistema Solare circa 4,6 miliardi di anni fa. La superficie di Europa è, in effetti, tra le più giovani del nostro sistema, con età media tra 40 e 90 milioni di anni. Si ritiene che le creste e le bande lunghe e lineari che attraversano la superficie siano in relazione agli effetti della possente gravità di Giove, in grado di modificare la struttura della crosta ghiacciata. Le creste possono nascere quando si apre e si chiude ripetutamente una frattura superficiale, andando a formare una struttura tipicamente alta poche centinaia di metri ed estesa qualche chilometro. Le bande sono invece aree in cui le fratture continuano ad allargarsi orizzontal- mente, producendo formazioni ampie e relativamente piatte. Le cicatrici superficiali caratteristiche chiamate "chaos terrain" contengono blocchi di ghiaccio staccati, spostati e ricongelati in nuove posizioni. Proprio in queste zone le osservazioni del telescopio Hubble hanno rivelato la firma spettrale del cloruro di sodio. Simili regioni si sono formate più recentemente rispetto al resto della superficie di Europa, e l'individuazione di sali nella zona rappresenta un'ulteriore conferma della possibile risalita di liquidi sottostanti. La Terra e, probabilmente, la luna di Saturno Encelado presentano oceani contenenti sali di cloruri, e camini idrotermali nelle profondità oceaniche. Pertanto, se anche Europa vanta un oceano sotterraneo ricco di cloruro di sodio, forse ospita sorgenti idrotermali in cui potrebbero prosperare forme elementari di vita extraterrestre. Le immagini sono visibili qui https://go.nasa.gov/2WoHg0 |
Post n°2946 pubblicato il 19 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall' Internet 01 MAG 2020 ANTICA ABITABILITÀ MARZIANA RIVELATA DA UN METEORITE Posted at 18:01h in Astronews, Pianeti, Sistema Solare by Barbara Bubbi Un team di astronomi giapponesi, utilizzando tecniche avanzate, ha individuato composti organici contenenti azoto in un meteorite marziano risalente a circa 4 miliardi di anni fa. La scoperta suggerisce un ambiente umido e ricco di molecole organiche per l'antico Marte, che in quella remota epoca potrebbe essere stato adatto ad ospitare forme di vita. Il team, guidato da Atsuko Kobayashi del Tokyo Institute of Technology e da Mizuho Koike della Japan Aerospace Exploration Agency, ha scoperto il materiale organico in minerali carbonati all'interno di un meteorite marziano, parte di una roccia spaziale che è precipitata sulla Terra circa 15 milioni di anni fa. Le tracce di composti organici si sono preservate intatte e risalgono all'era Noachiana del Pianeta Rosso. Il Noachiano, compreso tra 3,7 e 4,1 miliardi di anni fa, è stato caratterizzato da un'elevata frequenza di impatti di meteoriti e asteroidi e dalla probabile presenza di abbondante acqua sulla superficie marziana. La scoperta, in effetti, suggerisce un ambiente umido e ricco di materiali organici sull'antico Marte, che in quella lontana epoca potrebbe essere stato adatto a ospitare forme di vita. Anche se recenti studi basati sulle esplorazioni dei rover che hanno esplorato la superficie marziana suggeriscono forti evidenze della presenza di composti organici, si san ben poco della loro provenienza, della loro età e della loro possibile relazione con attività biochimica. Le meteoriti marziane rappresentano pezzi della superficie di Marte che sono stati espulsi nello spazio in seguito a impatti meteorici, e che infine hanno raggiunto la Terra. Simili materiali possono fornire indizi fondamentali sulla storia del pianeta. Un meteorite in particolare, chiamato Allan Hills (ALH) 84001 dalla zona dell'Antartide in cui è stato scoperto nel 1984, si è rivelato particolarmente importante: contiene minerali carbonati color arancio, derivanti dalla precipitazione di acqua salata sulla zona sub-superficiale di Marte avvenuta 4 miliardi di anni fa. L'azoto è un componente fondamentale delle molecole organiche più importanti dal punto di vista biochimico, ed è presente anche nel DNA, nell'RNA e nelle proteine. Non era mai stato individuato prima in ALH84001. Analisi precedenti di questo meteorite presentavano, in effetti, l'inconveniente della possibile contaminazione di materiale terrestre dovuto alla presenza di nevi e ghiacci antartici. Per evitare questo problema, il team ha sviluppato una combinazione di tecniche innovative di preparazione dei campioni in laborarorio. Un procedimento chiamato Nitrogen K-edge micro X-ray Absorption Near Edge Structure (μ-XANES) ha poi permesso agli scienziati di rilevare azoto presente in quantità molto piccole nei minuscoli granelli di carbonato estratti dal meteorite. L'attuale suolo marziano è troppo estremo perché possano sopravvivere gran parte dei composti organici. Tuttavia, secondo gli scienziati simili molecole si sono preservate nei pressi della superficie per miliardi di anni. Ma quale potrebbe essere l'origine di questi composti fondamentali per la vita che conosciamo? "Ci sono due principali possibilità: provengono da Marte o sono arrivati dall'esterno sul Pianeta Rosso. Nel periodo del Sistema Solare primordiale Marte subì una pioggia di asteroidi e comete,in grado di portare con sè quantità significative di materiale organico. Parte di questo materiale potrebbe essere rimasto intrappolato all'interno dei carbonati",spiega Kobayashi. Ma l'altra possibilità è che i composti organici contenenti azoto siano stati prodotti in situ. Qualsiasi sia la spiegazione, le scoperte evidenziano la presenza di azoto organico su Marte prima che diventasse il pianeta arido e inospitale che conosciamo oggi. E suggeriscono quindi, insieme alle altre evidenze trovate dagli scienziati analizzando la composizione chimica marziana, che il Pianeta Rosso fosse in un tempo lontano molto più simile alla Terra di quanto possiamo immaginare. Nell'immagine impressione artistica di come Marte potrebbe essere stato oltre 3 miliardi di anni fa Credit: ESO/M. Kornmesser/N. Risinger (skysurvey.org) https://eurekalert.org/pub_releases/2020-04/tiot-4no042720.php |
Post n°2945 pubblicato il 19 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 24 APR 2020 INCIDENTE QUASI MORTALE CON UN BUCO NERO Posted at 22:37h in Astronews, Buchi neri, Chandra, Stelle by Barbara Bubbi Una stella gigante rossa si avvicina pericolosamente a un buco nero con massa 40.000 volte quella solare, tanto da vedersi strappare via gli strati gassosi esterni. Nonostante il devastante incontro ravvicinato, il nucleo stellare è sopravvissuto e continua ad orbitare attorno all'oscuro oggetto, soltanto per essere divorato molto lentamente. È l'insolito scenario scoperto dagli astronomi nel cuore della galassia GSN 069, situata a circa 250 milioni di anni luce di distanza da noi. La straordinaria accoppiata è stata scoperta grazie ai dati dell'osservatorio a raggi X Chandra e del telescopio XMM-Newton dell'ESA. Quando la nana bianca è stata catturata dalla stretta gravitazionale del buco nero, il temibile divoratore cosmico ha strappato via gli strati esterni della stella contenenti idrogeno, trascinandoli nelle sue fauci e riducendo la stella a un nucleo compatto, una densa nana bianca. "In base alla mia interpretazione dei dati in banda X, la nana bianca è sopravvissuta, ma non è riuscita a sfuggire", spiega Andrew King dell'University of Leicester, che ha realizzato lo studio. "Ora è rimasta catturata in un'orbita ellittica attorno al buco nero, compiendo un giro completo ogni nove ore, più o meno". Ogni volta che la nana bianca raggiunge il punto dell'orbita più vicino al buco nero (arrivando fino ad una distanza non oltre 15 volte il raggio dell'orizzonte degli eventi), il buco nero sottrae materiale alla povera stella. I detriti stellari entrano a far parte di un disco che circonda il temibile oggetto ed emettono lampi di raggi X che possono essere rilevati da telescopi come Chandra e XMM-Newton. Secondo King, inoltre, durante la danza ravvicinata dei due oggetti vengono emesse onde gravitazionali. L'effetto combinato dell'emissione di onde gravitazionali edella variazione in dimensione della stella, man mano che perde massa, dovrebbe far sì che l'orbita diventi più circolare e più larga. Il tasso di massa che va perduta dalla stella diminuisce, via via che aumenta la distanza tra la nana bianca e il buco nero. "La stella cercherà di sfuggire al suo destino, ma non c'è scampo. Il buco nero la divorerà sempre più lentamente, ma non smetterà di cibarsi", afferma King. "In linea di massima questa perdita di massa dovrebbe continuare fino a che la nana bianca non si ridurrà a una perfino inferiore a quella di Giove, nel giro di centinaia di miliardi di anni. È davvero un modo estremamente lento e contorto perché l'Universo crei un pianeta!". Gli astronomi hanno scoperto molte stelle che sono andate incontro a una completa distruzione dopo essersi avvicinate troppo a un buco nero, ma sono ben pochi i casi riportati di incidenti mortali sfiorati, in cui la stella probabilmente è sopravvissuta. Incontri radenti come questo potrebbero essere più comuni rispetto alle collisioni dirette, ma potrebbero essere difficili da individuare per una serie di ragioni. In primo luogo, le stelle coinvolte devono essere massicce e sopravvivere a lungo per completare orbite attorno a un buco nero, in modo che gli astronomi possano rilevare ripetuti lampi in banda X. Inoltre i buchi neri giganti, molto più massicci di quello che si annida nella galassia GSN 069, solitamente divorano del tutto una stella, piuttosto che indurla a percorrere orbite in cui è costretta a perdere ripetutamente massa. "In termini astronomici, questo evento è visibile con i nostri attuali telescopi soltanto per un tempo ridotto, diciamo per duemila anni", afferma King. "Pertanto, anche se siamo stati straordinariamente fortunati ad aver catturato questo evento, potrebbero essercene molti altri che non riusciamo a individuare. Simili incontri devastanti potrebbero rappresentare uno dei vari meccanismi per cui i buchi neri di queste dimensioni riescono a crescere". Secondo King la massa della nana bianca è pari ad appena due decimi di masse solari. Se la nana bianca è il nucleo residuo di una stella gigante che ha perso completamente i suoi strati esterni di idrogeno, dovrebbe essere ricca di elio, creato dalla fusione di atomi di idrogeno nel cuore della gigante rossa. "È straordinario pensare che possiamo dedurre l'orbita, la massa e la composizione di una piccola stella distante 250 milioni di anni luce da noi". Lo studio è riportato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Nell'immagine rappresentazione artistica del buco nero e della nana bianca Illustration: NASA/CXC/M. Weiss https://chandra.harvard.edu/press/20_releases/press_042320.html |
Post n°2944 pubblicato il 19 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 19 APR 2020 IL RITMO DI UN SESTETTO PLANETARIO Posted at 15:32h in Astronews, Esopianeti by Barbara Bubbi Un team internazionale guidato da ricercatori dell'Università di Ginevra ha scoperto un sistema planetario composto da sei pianeti in orbita attorno alla stella HD 158259, situata a 88 anni luce da noi. La caratteristica insolita del sistema è la particolare danza orbitale condivisa dalla famigliola planetaria: mentre uno dei pianeti percorre tre orbite, il suo compagno più vicino ne completa circa due. La stella HD 158259, quasi invisibile ad occhio nudo, è stata osservata dagli astronomi negli ultimi 7 anni, utilizzando lo spettrografo SOPHIE, installato al Haute-Provence Observatory nel Sud della Francia. Un team internazionale di ricercatori guidato dall'Università di Ginevra ha analizzato centinaia di dati, riuscendo a scoprire che attorno alla stella orbitano ben sei pianeti: una super-Terra e cinque mini-Nettuno. I mondi alieni sono distanziati uno dall'altro in modo sorprendentemente regolare, offrendo indizi sui meccanismi della loro formazione. Lo studio, pubblicato su Astronomy & Astrophysics, utilizza anche osservazioni del telescopio spaziale TESS, che hanno permesso di rivelare la densità del pianeta più interno. Grazie ai dati di SOPHIE la velocità radiale della stella è stata misurata con precisione estrema. "La scoperta di questo sistema eccezionale è stata resa possibile grazie all'acquisizione di un gran numero di misurazioni, così come al miglioramento delle capacità dello strumento e delle nostre tecniche di processamento del segnale", spiega François Bouchy dell'UNIGE. "Questo è un gran lavoro e dimostra l'importanza che rivestono i telescopi più piccoli nel raggiungere progressi nel campo astronomico grazie a ricerche di elevata qualità, utilizzando vecchi, ma ben equipaggiati osservatori", aggiunge Paul A. Wilson dell'University of Warwick, tra gli autori dello studio. I dati hanno rivelato che il pianeta più vicino alla stella e i cinque pianeti esterni presentano masse di due e sei volte quella terrestre, rispettivamente. Il sistema è assai compatto, nel senso che la distanza del pianeta più esterno dalla sua stella è 2,6 inferiore rispetto alla distanza tra Mercurio e il Sole. Abbiamo scoperto centinaia di sistemi con molteplici pianeti, ma soltanto una decina di questi contengono sei o più esopianeti. La presenza del sestetto planetario attorno a HD 158259 rende particolarmente interessante il sistema, ma non è l'unica caratteristica di rilievo. Infatti, ciò che rende eccezionale il sistema è la sua regolarità: il rapporto tra i periodi di due pianeti successivi è prossimo a 3:2. Questo significa che, quando il primo pianeta, quello più vicino alla stella, completa tre orbite, il secondo ne compie circa due. E così via, a due a due, per tutti gli altri pianeti successivi del sistema. In pratica, i pianeti sono coinvolti in una risonanza orbitale. Il sistema è particolarmente interessante perché può fornire indizi sui meccanismi di formazione dei pianeti a partire dal disco di gas e polveri che circonda una giovane stella. Non sappiamo ancora con certezza, in effetti, se i pianeti si formino vicino alla loro posizione finale o se migrino attraverso il sistema dopo la formazione. Questo secondo scenario, chiamato migrazione planetaria, potrebbe spiegare la struttura dei sei pianeti iorbia attorno a HD 158259. Nell'immagine rappresentazione artistica di un sistema multiplanetario https://www.unige.ch/communication/communiques/en/2020/un-systeme -de-six-planetes-presque-en-rythme/ |
Post n°2943 pubblicato il 19 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 21 APR 2020 SCONTRO CATASTROFICO ATTORNO A FOMALHAUT Posted at 18:47h in Astronews, Comete, asteroidi e oggetti minori, Stelle by Barbara Bubbi ShareSecondo uno studio basato sui dati del telescopio Hubble, la collisione titanica tra due corpi ghiacciati in orbita attorno alla giovane stella Fomalhaut, a 25 anni luce di distanza da noi, ha prodotto una brillante nube in espansione formata da fini particelle di polveri. Fomalhaut è un sistema stellare piuttosto vicino a noi, nella costellazione del Pesce Australe, con un'età di appena 440 milioni di anni, pertanto dieci volte più giovane rispetto al nostro Sistema Solare. Un disco di polveri e corpi ghiacciati ampio circa 2 miliardi di chilometri si è formato a oltre 20 miliardi di chilometri dalla stella. Simili anelli di detriti sono formazioni comuni attorno a giovani stelle e rappresentano un periodo molto dinamico e caotico nella storia di un sistema stellare. Si ritiene che la loro formazione sia dovuta alla collisione tra comete, planetesimi e detriti rocciosi nelle regioni esterne di un giovane sistema planetario. "Il sistema Fomalhaut rappresenta un ottimo laboratorio di prova per tutte le nostre teorie sull'evoluzione degli esopianeti e dei sistemi stellari", afferma George Rieke dell'University of Arizona. "Abbiamo evidenze di simili collisioni in altri sistemi, ma non ne è mai stata osservata alcuna con una simile luminosità. È un esempio delle conseguenze della distruzione reciproca tra protopianeti". dal 2004 al 2013 Credit: NASA, ESA, and A. Gáspár and G. Rieke (University of Arizona) Nel 2008 venne annunciata per prima volta la presenza di un oggetto in orbita attorno alla stella, scoperto sulla base di dati ripresi nel 2004 e nel 2006. Venne scambiato per un pianeta e catalogato come Fomalhaut b, poiché era chiaramente visibile in molte osservazioni di Hubble come un puntino in movimento. Tuttavia, rimanevano alcune questioni aperte da risolvere. L'oggetto era insolitamente brillante in luce visibile, ma non presentava tracce termiche nell'infrarosso. Gli astronomi ipotizzarono che la luminosità derivasse da un enorme anello di polvere che circondava l'oggetto, dovuto a una precedente collisione. Ben presto, le osservazioni di Hubble rivelarono che probabilmente l'oggetto non percorreva un'orbita ellittica, come fanno di solito i pianeti. Immagini del telescopio Hubble del 2014 hanno dimostrato che l'oggetto era sparito dalla vista, mentre le riprese precedenti evidenziavano che l'oggetto perdeva progressivamente luminosità. Gli scienziati hanno dedotto pertanto che Fomalhaut b non era affatto un pianeta, ma una nube in lenta espansione espulsa nello spazio a seguito di una collisione tra due grandi corpi celesti. È stato possibile osservare chiaramente la nube nel 2014, ma attualmente, essendo formata da minuscole particelle di circa un micron, la nube non è più visibile perché al di sotto del limite di rilevamento di Hubble. Si ritiene che la nube si sia già espansa fino a una dimensione maggiore dell'orbita terrestre attorno al Sole. "Queste collisioni sono eccezionalmente rare, pertanto è stato un bel colpo riuscire a vederne una", spiega András Gáspár dell'University of Arizona. "Il nostro studio, che ha analizzato tutti i dati di archivio di Hubble, incluse le immagini più recenti, ha rivelato varie caratteristiche che, prese insieme, suggeriscono che non sia mai esistito l'oggetto di dimensioni planetarie ipotizzato inizialmente". Dal momento che Fomalhaut b si trova attualmente all'interno di un vasto anello di detriti ghiacciati che circonda la stella, i corpi che hanno colliso erano composti probabilmente da un insieme di ghiaccio e polveri, come gli oggetti cometari che esistono nella Fascia di Kuiper del nostro Sistema Solare. Secondo i ricercatori, ognuno di questi corpi simili a comete misurava circa 200 chilometri e il sistema di Fomalhaut potrebbe sperimentare una collisione di questo tipo ogni 200.000 anni. Nell'immagine la giovane stella Fomalhaut, molto più calda del nostro Sole e 15 volte più brillante (ESA/Hubble) https://www.spacetelescope.org/news/heic2006/ |
Post n°2942 pubblicato il 19 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 24 APR 2020 STELLE NATE DALL'ESPLOSIONE DI ALTRE STELLE Posted at 22:39h in Astronews, Stelle, Supernove e Novae by Barbara Bubbi Secondo un nuovo studio una serie di esplosioni di supernova può provocare la nascita di nuove stelle nelle regioni esterne di galassie come la Via Lattea, allontanando e comprimendo il gas necessario, materia prima per la loro formazione. "Le nostre simulazioni numeriche particolarmente accurate ci hanno dimostrato che probabilmente la Via Lattea ha diffuso stelle nello spazio intergalattico grazie a deflussi gassosi innescati da esplosioni di supernova", spiega James Bullock dell'University of California, Irvine, tra gli autori dello studio. "È davvero affascinante, perché quando muoiono molteplici stelle massicce, l'energia risultante può provocare l'espulsione del gas dalla galassia, gas che poi si raffredda, permettendo la nascita di nuove stelle". La distribuzione diffusa di stelle nell'alone stellare che si estende ben al di là del disco galattico è il luogo in cui cercare le "registrazioni archeologiche" della galassia. Per lungo tempo gli astronomi hanno ipotizzato che le galassie si assemblino nel corso di lunghi periodi di tempo, man mano che raggruppamenti stellari più piccoli si avvicinano e vengono inglobati nel sistema più grande, un processo che provoca l'espulsione di alcune stelle lungo orbite più distanti. Il team, invece, propone un modello innovativo, ipotizzando un meccanismo detto "supernova feedback", in base al quale l'espulsione di gas dovuta a molteplici esplosioni stellari è la sorgente da cui si sono formate circa il 40 percento delle stelle dell'alone esterno. Secondo la prima autrice dello studio, Sijie Yu, le scoperte sono state rese possibili dalla disponibilità di un nuovo insieme di strumenti. "Le simulazioni del progetto FIRE-2 (Feedback in Realistic Environments 2) ci permettono di generare moti che riproducono le osservazioni di una galassia reale", afferma Yu. "Ci dimostrano che, man mano che la galassia ruota, si sviluppa una bolla creata dal meccanismo di feedback delle supernove, con stelle in formazione nei suoi bordi. Sembra quasi che le stelle vengano espulse fuori dal centro". Ma quella che viene espulsa in realtà è una gran quantità di gas, che si raffredda e va a formare stelle mentre si dirige verso le regioni esterne. Le stelle morenti possono emettere venti poderosi, in grado di spazzare via nello spazio gas e polveri per centinaia di anni luce. Secondo gli scienziati le conclusioni delle simulazioni sono confermate da una serie di evidenze osservative del satellite Gaia dell'ESA, dalle quali si ricava che possono nascere stelle lungo i deflussi gassosi espulsi dal centro galattico. Il team ritiene inoltre che le stelle formate da questo processo fossero molto più numerose nei remoti periodi in cui la galassia ha sperimentato episodi molto attivi di formazione stellare: forse il 20 percento di quelle antiche stelle si formarono grazie alle bolle gassose prodotte dall'esplosione di molteplici supernove. Lo studio è pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Nell'immagine una sezione della bella galassia a spirale NGC 891, osservata di taglio. La galassia presenta filamenti di polvere e gas che si estendono per centinaia di anni luce dal piano della galassia verso l'alone, chiaramente visibili contro lo sfondo luminoso dell'alone galattico stesso. Gli astronomi ritengono che questi filamenti derivino dall'espulsione di materiale dovuta a esplosioni di supernova o a intensa attività di formazione stellare. https://news.uci.edu/2020/04/19/milky-way-could-be-catapulting-stars-into- its-outer-halo-uci-astronomers-say/ |
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