blogtecaolivelli
blog informazione e cultura della biblioteca Olivelli
TAG
TAG
Messaggi del 07/05/2020
Post n°2885 pubblicato il 07 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet. Sotto i ghiacci in Norvegia, un passo di montagna usato dai Vichinghi Il ritiro di un ghiacciaio ha lasciato esposta un'antica rotta commerciale usata dai Vichinghi 1.000 anni fa, con un tesoro di resti archeologici. Un "morso" in legno di ginepro che veniva dato agli agnelli per limitare il loro consumo di latte (da destinare al consumo umano): è uno dei reperti lasciati scoperti dalla fusione dei ghiacci sulle Jotunheim Mountains, in Norvegia. | PILØ ET AL., 2020, ANTIQUITY Il ritiro di un ghiacciaio sulle montagne della Norvegia ha permesso la scoperta di una rotta commerciale d'altura, usata dai Vichinghi oltre 1.000 anni fa. Prima che la Peste Nera dilagasse in Europa e prima della costruzione di strade larghe e comode a valle, il passo montano di Lendbreen, a 1.900 metri di quota, fu uno snodo importante degli scambi economici scandinavi. La scoperta è descritta su Antiquity.
UMANI DI PASSAGGIO. Un indizio dell'importanza di questo passo era arrivato già nel 2011, quando un'estate particolarmente calda aveva lasciato scoperta, nei ghiacci ritirati di Lendbreen, una tunica di lana di 1.700 anni fa perfettamente conservata . Con il tempo e complice la fusione dei ghiacci nelle estati più calde di sempre sono emersi altre centinaia di reperti: antiche testimonianze di viaggio come pezzi di slitte, ferri di cavallo, bastoni da camminata, calzari di pelle, persino guanti. Il nuovo articolo dell'Università di Cambridge (Regno Unito) e del NTNU University Museum in Norvegia ne analizza una sessantina: la datazione dei reperti al radiocarbonio rivela che il passo fu frequentato a partire dall'Età del Ferro dei Romani, dal 300 d.C., fino al 1500 d.C., anche se il periodo di maggiore traffico fu quello attorno all'anno 1000. All'epoca i Vichinghi erano in piena espansione nella Penisola Scandinava e nel resto d'Europa, attraverso guerre e traffici commerciali. L'eco della loro fortuna è visibile persino in questa remota località di montagna. Secondo gli archeologi il passo era uno snodo importante per gli spostamenti locali tra le fattorie permanenti a valle e gli alpeggi estivi; ma era anche una via per trasportare merci rare come pellame, burro, corna animali in altre parti della Norvegia e dell'Europa. Ghiacci e neve rendevano il cammino più facile e rapido rispetto ad altre vie più basse ma rocciose e pericolose. Una veduta del passo di Lendbreen con quel che resta dei suoi ghiacci. L'OMBRA DELLA PESTE. Tra i manufatti più curiosi restituiti dai ghiacci ci sono una conocchia per filare, un coltello con un manico di legno e un morso che veniva dato ai cuccioli degli animali allevati per evitare che fossero allattati e serbare il latte per il consumo umano; ma sono emersi anche letame e ossa di cavallo e tumuli di pietra disposti da valle quasi come a segnare il sentiero. A partire dall'undicesimo secolo, il numero di reperti diminuisce. Il passo cadde progressivamente in disuso, per una serie di contingenze economiche e sociali, non ultima la Peste Nera che in Norvegia arrivò tra il 1348 e il 1349. La riduzione della popolazione e il declino della domanda dei prodotti di montagna segnarono il progressivo abbandono di questa via commerciale. Quando l'Europa si riprese dalla pandemia, si optò per nuove rotte e quelle antiche furono dimenticate. |
Post n°2884 pubblicato il 07 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato sull'Internet Antibiotico-resistenza: i batteri cambiano forma per sfuggire alle cure In presenza di antibiotici nell'organismo, alcuni patogeni perdono la parete cellulare per assumere un aspetto difficilmente riconoscibile, capace di eludere i farmaci e il sistema immunitario. Terminate le cure, indossano il vecchio abito e tornano a colpire. Una colonia di batteri Escherichia coli nella loro configurazione originale. | SHUTTERSTOCK I batteri possono cambiare forma per evitare di essere presi di mira dagli antibiotici introdotti nel corpo umano. La conferma arriva da uno studio su campioni batterici di pazienti anziani affetti da infezioni urinarie ricorrenti. In presenza di antibiotici, i patogeni rinunciano alla rigida struttura offerta dalla loro parete cellulare per assumere un aspetto più disordinato, che sfugge al mirino dei medicinali; e anche in questa conformazione più fragile, riescono a sopravvivere. La ricerca dell'Università di Newcastle (Regno Unito) è stata pubblicata Spiega Katarzyna Mickiewicz, autrice dello studio: «Immaginiamo che la parete cellulare dei batteri sia come una giacca catarifrangente. Essa conferisce loro una forma regolare (per esempio a bastoncello, o a sfera) e li protegge rendendoli resistenti. Ma allo stesso tempo fa in modo che siano altamente visibili - in particolare per il sistema immunitario umano e per gli antibiotici come le penicilline». E. coli fotografati mentre assumono la forma L. | NEWCASTLE UNIVERSITY, UK IL MANTELLO DELL'INVISIBILITÀ. Insieme ai colleghi, Mickiewicz ha osservato i batteri sotto attacco antibiotico cambiare forma, rinunciando alla rigida parete cellulare per assumere una conformazione più fluida e disordinata: come se avessero lasciato da parte la giacca di emergenza, per indossare una tuta mimetica. I batteri che assumono questo tipo di organizzazione cellulare più emplice e irregolare sono chiamati "forme L". Sotto queste mentite spoglie passano inosservati al corpo ospite, e ai farmaci introdotti per debellarli: spesso infatti è proprio la loro parete cellulare, il target preferito degli antibiotici. Studi precedenti avevano dimostrato che anche l'azione del sistema immunitario umano può indurre le forme L, benché l'effetto innescato dagli antibiotici sia molto più evidente. Nella nuova analisi, le forme L di varie specie batteriche associate alle infezioni urinarie ricorrenti, come E. coli, Enterococchi, Enterobacter e stafilococco, sono state rintracciate in 29 dei 30 campioni studiati. I pazienti avevano assunto penicillina o altri tipi di antibiotici che prendono di mira la parete cellulare. A VOLTE RITORNANO. In questa conformazione, i batteri risultano più fragili, ma sembrano comunque resistere ai momenti più difficili: terminata la cura antibiotica, ricostruiscono la vecchia parete cellulare in poche ore (i ricercatori sono riusciti a filmarne uno che ha riconquistato in 5 ore l'aspetto originario). In un paziente anziano o debilitato, la resistenza delle forme L e il loro successivo ritorno alla configurazione "classica" può significare il riacutiz- zarsi di un'infezione solo apparentemente curata. Un approccio terapeutico più efficace potrebbe prevedere l'assunzione combinata di diversi tipi di antibiotici: per esempio, uno che prenda di mira la parete cellulare, e un altro che punti al DNA o all'RNA dei batteri |
Post n°2883 pubblicato il 07 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Otto domande sulla biodiversità Il termine biodiversità è abbastanza nuovo (fu coniato nel 1988) e molto utilizzato. Ma che cos'è la biodiversità? Perché è importante? Ecco le risposte di Focus alle domande più frequenti sulla biodiversità. La foresta di nubi in Ecuador, uno degli ambienti più ricchi di specie del mondo. © Tui De Roy/Minden Pictures/contrasto | Per una descrizione ancora più completa e recente di biodiversità vedi l'articolo aggiornato Che cos'è la biodiversità. La ricchezza di specie e di ecosistemi è una delle più importanti caratteristiche del nostro pianeta, e contribuisce alla stabilità degli ambienti. Anche di quelli fuori dalla porta di casa. Tanto che la Convenzione sulla diversità biologica (un organismo dell'Onu) ha proclamato la giornata della biodiversità, ogni anno il 22 maggio. Ma cos'è di preciso la biodiversità, e come influenza la vita di tutti giorni? Perché gli scienziati la ritengono uno dei principali aspetti da tutelare? Cerchiamo di rispondere a queste domande. biodiversità) ma il più semplice è: il numero di specie in un ambiente. In un ecosistema molto ricco e biodiverso vivono molte specie. In un altro più povero, le specie sono in numero inferiore. CI SONO PIÙ TIPI DI BIODIVERSITÀ? Sì. Gli ecologi e i biologi descrivono almeno tre tipi di biodiversità. La prima è proprio la ricchezza di specie (vedi sopra); La seconda sono le differenze tra ambienti diversi, come la foresta tropicale e le coltivazioni di soia che ne sono state ricavate; La terza invece è la ricchezza totale delle specie nei vari ecosistemi di una regione o di una nazione. L'Italia, per esempio, è per varie ragioni più ricca di specie della Norvegia. 8-10 milioni Numero di specie che si pensa esistano sulla Terra PERCHÉ SI DICE CHE LA BIODIVERSITÀ PROTEGGE GLI ECOSISTEMI? È una legge dell'ecologia che un ecosistema molto biodiverso sia più stabile di altri poveri e resiliente, cioè in grado di tornare allo stato nativo anche dopo episodi di distruzione e attacchi da parte di parassiti. Un ecosistema stabile è anche in grado di mantenere nel tempo il numero di specie animali e vegetali presenti, e di fungere da "serbatoio" per le stesse specie. Anche se nel nostro Paese gli ambienti ricchi di biodiversità non sono molti, e quindi non ci rendiamo conto se perdiamo una parte della ricchezza di specie, la presenza di parecchie forme di vita sul pianeta contribuisce a rendere la Terra un ecosistema globale più stabile e meno soggetto a grandi fluttuazioni ambientali, come il cambiamento climatico. Inoltre anche in Italia gli ambienti più ricchi di natura e quindi di biodiversità sono importantissimi perché costituiscono aree in cui le persone possono "ricrearsi". È stato infatti dimostrato che l'immersione nella natura ha un effetto positivo per il morale e lo stato di salute. Ci sono molte occasioni in cui la biodiversità risulta utile alla nostra specie. Per esempio le specie selvatiche parenti di quelle domestiche costituiscono un serbatoio di geni che possono esser sfruttati per difendere le piante coltivate (che sono molto spesso geneticamente più povere di quelle da cui derivano) dai parassiti o da ondate di caldo o siccità. Moltissimi composti della moderna farmacopea sono poi derivate da molecole estratte da piante o animali selvatici, anche da specie da cui non ci si aspetterebbe che potessero essere ricche di composti utili, come le spugne. Anche la sfruttamento delle specie selvatiche, dalla caccia alla pesca alla raccolta di noci o frutti, è in fondo un utilizzo della biodiversità. Da ultimo, la biodiversità ha un altissimo valore spirituale per molte popolazioni della Terra, che ancora hanno un profondo legame anche religioso con il territorio. La biodiversità viene erosa dalle attività umane, direttamente o indirettamente. Per esempio con la caccia eccessiva (come quella alle balene o agli animali selvatici della foresta tropicale). Oppure la raccolta di specie rare per farne commercio. L'impatto più forte deriva però dalla distruzione diretta, come nel caso della deforestazione nelle aree tropicali, o dal cambiamento climatico, che minaccia di modificare totalmente gli ecosistemi, tanto da impedire alle specie di adattarsi ai cambiamenti e quindi estinguersi e impoverire il pianeta. Daenerys Targaryen, meglio nota come Madre dei Draghi, nella saga fantasy "Il trono di spade" ambientato in una terra ricca di specie "esotiche". | CHE COSA C'ENTRA LA BIODIVERSITÀ CON IL TRONO DI SPADE? Anche nelle opere di fantasia gli scrittori più attenti alle descrizioni cercano di ricreare un ambiente nella sua completezza, e quindi inseriscono specie animali e vegetali (come i draghi del Trono di Spade) che fanno parte della biodiversità degli ecosistemi "alieni" presenti nei libri. Nella maggior parte dei casi i film o i libri con una biodiversità maggiore piacciono di più. E sono più belli. I videogiochi sono interi universi in cui gli sceneggiatori possono permettersi di introdurre le specie più curiose (e pericolose). Alcune sono simili a quelle conosciute, altre invece sono creazioni di fantasia, che però in un modo o nell'altro obbediscono alle "leggi" della zoologia e dell'ecologia presenti sulla Terra. Tutti insieme, queste specie ricreano uno scenario molto ricco e affascinante, in cui l'eroe combatte contro questi "mostri". Più gli ecosistemi inventati dai creatori sono ricchi, più il gioco è coinvolgente e intricato. |
Post n°2882 pubblicato il 07 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Cinque pelli per Oetzi, nel Dna i segreti del suo guardaroba Dal cappello di orso bruno al cappotto patchwork fatto di brandelli diversi di pecora e capra cuciti insieme. Per saperne di più). Si può dire che Ötzi sia il primo uomo tatuato (almeno di cui abbamo testimonianza) Anche la mummia Oetzi (uomo del Similaun), ritrovata nel 1991, era tatuata: ma più che una funzione decorativa, per gli studiosi, i segni trovati sul suo corpo erano dovuti ad alcune terapie "mediche" che aveva subìto. Si può dire che Ötzi sia il primo uomo tatuato (almeno di cui abbiamo testimonianza). Cinque pelli per il guardaroba preistorico dell'Uomo dei ghiacci. Un outfit eclettico, un po' patchwork e "a chilometro zero", svelato dall'ultimo studio condotto su Oetzi e pubblicato su Scientific Reports. I segreti dell'armadio della mummia del Similaun sono emersi dall'analisi del Dna di vestiti e accessori indossati dall'uomo più famoso dell'Età del Rame, rinvenuto nel 1991 sulle Alpi Venoste da due escursionisti tedeschi e oggi "ospite d'onore" in una teca del Museo archeologico dell'Alto Adige di Bolzano. Gli scienziati sono risaliti alle specie animali da cui è stato ricavato il suo abbigliamento attraverso le tracce di Dna mitocondriale estratte dagli effetti personali. GUARDAROBA ECLETTICO. Accanto alla mummia di oltre 5.300 anni è stato trovato un cappello di pelliccia con delle cinghie, ricavato da pelle di orso bruno, gambali di pelle di capra, un perizoma di pelle di pecora, una stringa di pelle di mucca, una faretra di capriolo. I risultati - spiegano i ricercatori - rivelano un mix di animali selvatici ottenuti con la caccia e domestici, come a indicare che le persone vissute nell'Età del Rame sceglievano con cura i materiali per realizzare i loro vestiti. Nel guardaroba di Oetzi c'è anche un cappotto realizzato cucendo insieme brandelli di almeno 4 diverse pelli di capra e pecora, il che potrebbe anche suggerire l'approccio più casuale e 'disperato' di cucire insieme tutti i frammenti di pelli disponibili. CONFERME Questo ultimo studio «chiarisce quello che già sapevamo», sottolinea il primo autore Niall O'Sullivan, ricercatore dell'University College Dublin di stanza all'Istituto per le mummie e l'Iceman dell'Eurac, Accademia europea di Bolzano. E cioè che l'Uomo venuto dal ghiaccio era dedito ad attività agro-pastorali e che «la maggior parte del cibo e le risorse che ha usato erano di origine nazionale. Ma sappiamo anche, da esperimenti precedenti, che Oetzi si è nutrito con cibo proveniente da fonti selvatiche. Il suo ultimo pasto era composto da carne di cervo rosso e stambecco. Questo studio mostra che, così come per il cibo, anche per la produzione di pelle Oetzi ha utilizzato sia animali domestici che selvatici». Quando Oetzi fu scoperto, ben conservato nel ghiaccio delle Alpi italiane, il tipo di analisi del Dna antico utilizzata dagli esperti per svelare diversi segreti della mummia era impossibile. Queste tecniche «erano agli albori», spiega lo scienziato alla Bbc online. Ora però gli esperti hanno «analizzato 9 campioni e per ciascuno di essi - aggiunge O'Sullivan - siamo stati in grado di ricostruire il mitogenoma o intero o parziale. E siamo molto soddisfatti». |
Post n°2881 pubblicato il 07 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 06 maggio 2020Comunicato stampa I ricercatori dell'azoto perduto (nel pianeta Terra?) Fonte: INGV© A.Caracausi L'atmosfera terrestre è composta per il 78% di azoto e il 21% di ossigeno, una miscela unica nel sistema solare. L'ossigeno è stato prodotto da alcuni dei primi organismi viventi. Ma da dove viene l'azoto? È fuggito dal mantello terrestre attraverso l'attività vulcanica? Per cercare di rispondere a queste domande, un team internazionale di ricercatori anche dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), ha raccolto e studiato campioni di gas da diversi sistemi vulcanici sul nostro pianeta, tra cui lo Yellowstone, l'Islanda, il rift continentale Africano. Il loro studio "Hydrothermal 15N15N abundances constrain the origins of mantle nitrogen", recentemente pubblicato sulla rivista Nature, mostra che l'azoto del mantello terrestre non ha la stessa composizione isotopica dell'azoto atmosferico, il che implica che quest'ultimo non proviene dal degassamento del mantello. "È stato scoperto che la contaminazione dell'aria stava mascherando la 'firma originale' di molti campioni di gas vulcanici", afferma Antonio Caracausi, ricercatore dell'INGV e coautore della ricerca. di rispondere a domande di base come: l'azoto è rimasto dalla formazione terrestre o è stato consegnato al pianeta in seguito? In che modo l'azoto dell'atmosfera è collegato all'azoto che esce dai vulcani? per studiare gli isotopi dell'azoto. Questo metodo ha fornito un modo unico per identificare le molecole di azoto che provengono dall'aria, ed ha permesso ai ricercatori di individuare la composizione di gas in profondità all'interno del mantello terrestre. Questo alla fine ha rivelato la prova che l'azoto nel mantello è molto probabilmente presente da quando il nostro pianeta si è inizialmente formato. Quindi, "una volta presa in considerazione la contaminazione dell'aria, abbiamo acquisito nuove e preziose informazioni sull'origine dell'azoto e sull'evoluzione del nostro pianeta", afferma lo scienziato. nei geyser, nelle fumarole e nelle altre manifestazioni naturali di gas vulcanici, il contributo dell'atmosfera (sotto forma di acqua piovana riscaldata) da quello del mantello terrestre (gas magmatico). Ad esempio, quantità di gas magmatico sono state riconosciute nei geyser nel Parco Nazionale di Yellowstone indicando una rinnovata attività del sistema vulcanico. anche contribuire ad una più approfondita comprensione dei processi magmatici potenzialmente capaci di generare eruzioni vulcaniche. I campioni continuano a essere raccolti a Yellowstone e in altri sistemi vulcanici attivi nel mondo, tra cui l'Etna che è il vulcano più attivo d'Europa. mistero... per ora. |
Post n°2880 pubblicato il 07 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet 10 marzo 2020Comunicato stampa Il paradosso di Anak Krakatau, il vulcano indonesiano che ha congelato l'atmosfera Fonte: Ingv Fotografie aeree dell'eruzione di Anak Krakatau, 23 dicembre 2018 (Prata et al. Sci. Rep. 2020, copyright delle figure: Dicky Adam Sidiq / kumparan). Le temperature misurate alla sommità della nube vulcanica generata dall'eruzione del vulcano indonesiano Anak Krakatau, nel dicembre 2018, per sei giorni hanno raggiunto i - 80 °C ad un'altezza di circa 18 km, generando fino a dieci milioni di tonnellate di ghiaccio e innescando circa 100.000 fulmini Il 22 dicembre 2018 una violenta eruzione esplosiva ha interessato il vulcano indonesiano Anak Krakatau. L'eruzione ha generato enormi quantità di ghiaccio e fulmini e causa del parziale collasso dell'edificio vulcanico in mare si è verificato uno tsunami. triggers volcanic freezer in the upper troposphere, condotto da un team internazionale di cui fanno parte i ricercatori dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e pubblicato sulla rivista "Nature Scientific Reports". Utilizzando dati satellitari, osservazioni da terra e un modello di colonna eruttiva, è stata per la prima volta messa in relazione l'altezza della nube vulcanica con la frequenza della generazione dei fulmini. dell'INGV, "la tempesta, alimentata dal calore generato dall'attività vulcanica ha portato la colonna eruttiva a raggiungere altezze comprese tra sedici e diciotto chilometri con temperature alla sommità fino a -80 °C". L'attività vulcanica che si verifica in atmosfere umide tropicali può favorire il trasferimento di calore e innescare temporali vulcanici. Tuttavia, questi fenomeni raramente durano per più di un giorno. Corradini, "ha generato fino a dieci milioni di tonnellate di ghiaccio. Questa imponente quantità di ghiaccio mantenuta nell'alta troposfera per giorni, assieme alle rapide correnti ascensionali, ha provocato la generazione di un numero enorme di fulmini, fino a 72 al minuto. Eventi simili sono estremamente rari anche per i temporali meteorologici", conclude il ricercatore. |
AREA PERSONALE
MENU
CHI PUÒ SCRIVERE SUL BLOG
I messaggi e i commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.