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Messaggi del 13/12/2018

DAL CONTE DI CARMAGNOLA....

Post n°1781 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

 

DA "IL CONTE DI CARMAGNOLA" TRAGEDIA SCRITTA DA A.MANZONI

atto 1, scena 1

IL DOGE

È giunto il fin de' lunghi dubbi, è giunto,
nobiluomini, il dì che statuito
fu a risolver da voi. Su questa lega,
a cui Firenze con sì caldi preghi
incontro il Duca di Milan c'invita, 5
oggi il partito si porrà. Ma pria,
se alcuno è qui cui non sia noto ancora
che vile opra di tenebre e di sangue
sugli occhi nostri fu tentata, in questa
stessa Venezia, inviolato asilo 10
di giustizia e di pace, odami: al nostro
deliberar rileva assai che' alcuno
qui non l'ignori. Un fuoruscito al Conte
di Carmagnola insidiò la vita;
fallito è il colpo, e l'assassino è in ceppi. 15
Mandato egli era; e quei che a ciò mandollo
ei l'ha nomato, ed è... quel Duca istesso
di cui qui abbiam gli ambasciatori ancora
a chieder pace, a cui più nulla preme
che la nostra amistà. Tale arra intanto 20
ei ci dà della sua. Taccio la vile
perfidia della trama, e l'onta aperta
che in un nostro soldato a noi vien fatta.
Due sole cose avverto: egli odia dunque
veracemente il Conte; ella è fra loro 25
chiusa ogni via di pace; il sangue ha stretto
tra lor d'eterna inimicizia un patto.
L'odia... e lo teme: ei sa che il può dal trono
quella mano sbalzar che in trono il pose;
e disperando che più a lungo in questa 30
inonorata, improvida, tradita
pace restar noi consentiamo, ei sente
che sia per noi quest'uom; questo tra i primi
guerrier d'Italia il primo, e, ciò che meno
16
forse non è, delle sue forze istrutto 35
come dell'arti sue; questo che il lato
saprà tosto trovargli ove più certa,
e più mortal sia la ferita. Ei volle
spezzar quest'arme in nostra mano; e noi
adoperiamla, e tosto. Onde possiamo 40
un più fedele e saggio avviso in questo,
che dal Conte aspettarci? Io l'invitai;
piacevi udirlo?
(segni di adesione)
S'introduca il Conte.
SCENA II

 
 
 

I Neanderthal.....

Post n°1780 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: citazioni riportate integralmente dall'Internet.

Ben 152 varianti geniche che ci proteggono

da molti virus sono un'eredità dell'incrocio

tra Neanderthal ed esseri umani moderni.

Arrivati in Eurasia centinaia di migliaia di

anni prima degli Homo sapiens, i Neanderthal

avevano avuto il tempo di evolvere difese

contro virus presenti in Europa e in Asia ma

non in Africa, un vantaggio adattativo che

ha assicurato la permanenza di quelle

varianti nel nostro genoma.

I Neanderthal ci hanno lasciato un'eredità

genetica positiva: un cospicuo numero di

mutazioni in alcuni geni che offrono

protezione da molti virus a RNA.

La scoperta - fatta dai biologi evoluzionisti

David Enard, dell'Università dell'Arizona

a Tucson, e Dmitri A. Petrov, della Stanford

University, e illustrata su "Cell" - è

un'ulteriore conferma dell'importanza del

patrimonio genetico che abbiamo ereditato

dai nostri cugini estinti.

I Neanderthal sono scomparsi fra 30.000 e

40.000 anni fa, ma hanno fatto in tempo a

incrociarsi con la nostra specie, che aveva

da poco iniziato a diffondersi in tutto il mondo.

Le tracce di questo incrocio sono presenti in

buona parte delle popolazioni non africane,

e rappresentano in media circa il 2 per cento

del genoma. Alcune di queste tracce, inoltre,

sono molto più diffuse di altre, tanto da

suggerire che la loro persistenza sia legata

a un vantaggio evolutivo.

L'eredità Neanderthal che ci protegge dai virus


I Neanderthal probabilmente contagiarono

i primi esseri umani moderni giunti in Eurasia

con i virus a RNA tipici del continente, ma

grazie al mescolamento delle popolazioni

trasmisero loro anche le difese genetiche

che avevano sviluppato, secondo un

modello detto "veleno-antidoto"

Analizzando i circa 4500 geni che negli

esseri umani moderni interagiscono con

i virus attraverso le proteine che producono,

e confrontandoli con il database dei geni

neanderthaliani identificati finora, Enard e

Petrov hanno individuato 152 sequenze di

DNA tipiche dei Neanderthal.

Una serie di test ha permesso di concludere

che le proteine espresse da quei geni di origine

neanderthaliana offrono una certa protezione

dalle infezioni dovute a diversi tipi di virus a RNA.

In particolare, le proteine prodotte dalle varianti

neanderthaliane interferiscono con il ciclo di r

eplicazione del virus all'interno della cellula i

nfettata, impedendone quindi la riproduzione

e la capacità di infettare a cascata sempre più cellule.

I Neanderthal - osservano i ricercatori - hanno

vissuto fuori dall'Africa per centinaia di migliaia di

anni, un tempo sufficiente perché il loro sistema

immunitario evolvesse delle difese contro virus

presenti in Europa e in Asia ma non in Africa.

"Gli esseri umani moderni - ha detto Enard -

hanno 'preso in prestito' le difese genetiche

già presenti nei Neanderthal senza dover

aspettare che si sviluppassero le loro mutazioni

adattative, che avrebbero richiesto molto più tempo."

 
 
 

LA VITA DEI NEANDERTHAL.....

Post n°1779 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: LE SCIENZE.

CITAZIONI RIPORTATE INTEGRALMENTE.

I Neanderthal sono spesso presentati

come una specie che viveva un'esistenza

violenta e piena di pericoli. Ma un confronto

tra i crani di Neanderthal e quelli di esseri

umani moderni vissuti in Eurasia in epoca

preistorica non rivela alcuna prova che fra

di essi vi fosse un tasso di traumi maggiore

rispetto ai nostri diretti antenatidi Marta

Mirazón Lahr / Nature

paleontologiaantropologiaLe lesioni fanno

parte della vita quotidiana, da un graffio

sulla pelle a un osso rotto fino a un trauma

fatale. E anche se molte lesioni sono

accidentali, altre possono essere una

conseguenza del comportamento, dell'attività

o delle norme sociali di un individuo o di un

gruppo, caratteristiche che ci parlano delle

società, delle tensioni e dei rischi presenti

all'interno e tra i diversi gruppi.

In un articolo su "Nature", Beier e colleghi

forniscono ora una serie di dati che sfidano         

la diffusa opinione che tra le popolazioni                       

Le storie di feriti e di morti sono sempre al

centro dei notiziari. Ma al di là della nostra

attrazione per le vicende di singoli individui,

queste informazioni sono interessanti anche

per ciò che ci dicono sulle nostre società.

Tuttavia, per capire appieno cosa potrebbe

determinare l'attuale grado di violenza,

dobbiamo gu  essi che modellano le

tendenze e le capacità comportamentali,

sociali e cognitive.

Gli antropologi studiano i resti scheletrici

per ricostruire aspetti di vite antiche,

costruendo una "osteobiografia" che mette

in luce una parte della storia della vita di un

individuo. Gli scheletri conservano - sotto

forma di fori, superfici deformate,

disallineamenti ossei e fratture secondarie

che si irradiano da un punto d'impatto -

una firma dei traumi che hanno portato alla

frattura, al taglio o alla perforazione delle

ossa anche dopo che le ferite sono guarite.

I Neanderthal con un'evidente lesione cranica

(© Science Photo Library / AGF)Nei fossili di

Neanderthal sono state spesso identificate

delle lesioni traumatiche, in particolare alla

testa e al collo, e questo ha fatto ritenere

che nelle popolazioni neanderthaliane le

lesioni scheletriche fossero più frequenti

che nelle popolazioni umane moderne.

Ma non è così, secondo Beier e colleghi,

che hanno analizzato le descrizioni pubblicate

di Neanderthal e di crani fossili umani moderni

trovati in Eurasia fra 80.000 a 20.000 anni fa

circa. Confrontando il numero di crani con

ferite e non nei reperti di Neanderthal e di

umani moderni, gli autori riferiscono livelli

di trauma cranico simili in entrambi i gruppi.

La forza delle analisi di Beier e dei colleghi

sta nella progettazione dello studio.

Invece di confrontare i dati dei Neanderthal

con quelli di popolazioni umane più recenti o

viventi, come hanno fatto studi precedenti,

gli autori hanno basato i loro confronti su

esseri umani che non solo hanno condiviso

con i Neanderthal aspetti dell'ambiente in

cui vivevano, ma la cui documentazione

fossile avesse anche un livello di conservazione

simile.

I ricercatori hanno analizzato i dati relativi

a 114 crani di Neanderthal e 90 crani di umani

moderni, annotando i dati su 14 ossa craniche

(le principali) e raccogliendo informazioni che

andavano da quelle su un singolo osso, nei

fossili mal conservati, a quelle relative a tutte

e 14 le ossa nei fossili meglio conservati.

In totale, gli autori hanno registrato l'incidenza

dei traumi in 295 ossa di Neanderthal e 541

ossa di umani moderni. Hanno anche raccolto

altre informazioni, come la percentuale di ciascuna

delle 14 ossa conservatesi per ciascun individuo,

oltre a dettagli come il sesso, l'età alla morte e

la posizione geografica del fossile.

Beier e colleghi hanno condotto due serie

di analisi statistiche - una basata sulla presenza

o assenza di traumi in ciascuna delle ossa craniche,

l'altra sui singoli crani fossili considerati nel loro

complesso - per verificare se ci fossero differenze

statisticamente significative tra la prevalenza di

traumi nei fossili di Neanderthal e in quelli umani.

Hanno inoltre valutato se la prevalenza dei traumi

era legata al sesso o all'età, tenendo conto della

conservazione dei fossili, della posizione geografica

e dei possibili effetti di interazione tra le diverse

variabili. Le due analisi hanno dato risultati simili.

ne che i Neanderthal si siano affidati a

pericolose tecniche di caccia a distanza

ravvicinata, con armi come le lance qui raffigurate

(Cortesia Gleiver Prieto & Katerina Harvati)Più

completi sono i fossili, più è probabile che

abbiano conservato le prove di lesioni. Questo

potrebbe sembrare ovvio, ma è un problema

spesso ignorato in questi studi. Beier e colleghi

offrono così un modo per affrontare questo

tipo di distorsione nel materiale disponibile.

Una volta tenuto conto del grado di conservazione

dei fossili, la prevalenza di traumi prevista nei

Neanderthal e negli umani moderni è quasi la stessa.

Sia i maschi di Neanderthal che quelli umani

moderni mostrano una maggiore incidenza di

traumi rispetto alle femmine delle rispettive

specie, un andamento che rimane lo stesso

per gli esseri umani di oggi.

Un ultimo risultato intteressante è che,

sebbene le lesioni traumatiche fossero presenti

in tutte le fasce di età studiate, i Neanderthal

con un trauma alla testa avevano più probabilità

di morire prima dei 30 anni rispetto agli umani

moderni. Gli autori interpretano questo risultato

come una prova che, rispetto agli umani, da

giovani i Neanderthal riportavano più lesioni,

o che avevano più probabilità di morire dopo

essere stati feriti.

Lo studio di Beier e colleghi non invalida le

precedenti stime sui traumi tra i Neanderthal,

ma offre un nuovo quadro di riferimento per

l'interpretazione di questi dati, mostrando

che il livello dei traumi fra i Neanderthal non

era straordinariamente più elevato rispetto

a quello dei primi esseri umani vissuti in Eurasia.

Ciò implica che il tasso di traumi neanderthaliano

non richiede spiegazioni particolari e che il

rischio e il pericolo erano parte della vita dei

Neanderthal tanto quanto lo erano del nostro

passato evolutivo.

Lo studio si aggiunge al crescente numero

di prove che i Neanderthal avevano molto in

comune con i primi gruppi umani. Tuttavia,

la scoperta che i Neanderthal potrebbero

aver subito traumi in età più giovane rispetto

agli umani moderni, o che avevano un maggiore

rischio di morte in seguito alle lesioni, è

affascinante, e potrebbe essere una chiave

di lettura del perché la nostra specie ha avuto

un vantaggio demografico rispetto ai Neanderthal.

Questa è l'ultima parola sull'argomento?

La risposta è no. Beier e colleghi hanno

valutato solo i traumi cranici. E' possibile

che i Neanderthal subissero più lesioni in altre

parti del corpo rispetto agli umani moderni?

Ci sono dati che suggeriscono che potrebbe

essere così. Inoltre, sebbene le analisi degli

autori dimostrino la forza di uno studio ben

progettato basato su grandi campioni, i dati

usati sono stati registrati da molti ricercatori

e a vari livelli di dettaglio, aumentando la

possibilità di errori metodologici.

Infine, le cause delle lesioni potrebbero

fornire alcuni squarci sul comportamento,

sulle attività o sulle norme sociali del passato.

Dalla forma, dalla posizione e dall'estensione

delle lesioni traumatiche negli scheletri e da

caratteristiche quali l'affilatura dei bordi delle

fratture o il grado di guarigione delle lesioni,

talvolta è possibile stabilire la causa più

probabile di un trauma; per esempio, se la

lesione è dovuta a un incidente di caccia, a

violenze interpersonali o a conflitti tra gruppi.

Inoltre, la sopravvivenza dopo un grave

trauma potrebbe indicare che la persona

ferita è stata curata da membri della sua

società. Stabilire la probabilità di ciascuno

di questi scenari per i Neanderthal e per i

primi esseri umani moderni continuerà senza

dubbio a sfidare gli scienziati per molti anni.

--------------------------
Marta Mirazón Lahr insegna paleoantropologia

all'Università di Cambridge, dove dirige anche

il Duckworth Laboratory, che ospita importanti

collezioni di resti scheletrici di primati umani

e non umani.           

 
 
 

HOMO SAPIENS.....

Post n°1778 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

 

Fonte: citazioni riportate integralmente dall?Internet.

E' assai improbabile che un incrocio

tra Neanderthal ed esseri umani possa

aver dato origine all'attuale distribuzione

dei frammenti genetici neanderthaliani

nel nostro DNA. Lo afferma una nuova

analisi, effettuata anche grazie all'aiuto

dell'apprendimento automatico, che

supporta l'ipotesi di contatti e incroci

molteplici avvenuti in epoche diverse.

antropologiagenetica

Meno di 100.000 anni fa, Homo sapiens

viveva quasi esclusivamente nel continente

africano. I nostri antichi cugini - cioè le altre

specie di Homo, come i Neanderthal e i

Denisova - erano invece già sparpagliati

nel continente euroasiatico, rispettivamente

a occidente e a oriente. Poi però è cambiato

tutto. I nostri antenati sono emigrati

dall'Africa verso nord e si sono incrociati non

una ma più volte con i neanderthaliani.

È quanto emerge da uno studio pubblicato

su "Nature Ecology & Evolution" a firma di

Fernando Villanea e Joshua Schraiber della

Temple University a Philadelphia, negli Stati Uniti.

I tanti incroci di Neanderthal e Homo sapiens

Ricostruzione dell'aspetto dell'uomo di

Neanderthal. (Science Photo Library / AGF)
Il risultato probabilmente chiude in modo

definitivo un dibattito che dura da anni e

riguarda il possibile numero d'incontri tra

le due specie di Homo, cioè sapiens e

neanderthalensis. Il dato incontrovertibile

è che una percentuale variabile tra il 2 e il

6 per cento del genoma delle persone che

non sono di origine africana deriva dai

Neanderthal e dai Denisova.

Ma l'ipotesi più semplice per questo dato,

cioè che il mescolamento genetico sia

avvenuto come conseguenza di un unico

incontro, era già stata criticata perché

nelle popolazioni asiatiche, la percentuale

del DNA derivato dai Neanderthal è del 12-20

per cento più alta rispetto agli europei.

E questo secondo dato faceva ipotizzare

altri contatti che, nel corso della storia

remota delle due specie, avrebbero

potuto aumentare gli incroci genetici.

Per fornire una solida base sperimentale

all'ipotesi di più incontri, Villanea e Schraiber

hanno analizzato le banche dati più complete

sulla distribuzione dei geni neanderthaliani

nel DNA di soggetti asiatici ed europei.

Usando diversi modelli teorici e ricorrendo

anche alla tecnica di apprendimento automatico

nota come deep learning, gli autori hanno

concluso che il modello di un singolo evento

d'incrocio non è il più adatto a spiegare i

dati empirici. Quindi bisogna dedurre che

gli incroci sono stati più di uno.

Come sottolinea Fabrizio Mafessoni, del

Max-Planck-Institut per l'antropologia

evoluzionistica di Lipsia, in Germania, in un

articolo di commento pubblicato sullo stesso

numero di "Nature Ecology & Evolution",

lo scenario degli episodi multipli d'incrocio

tra esseri umani e neanderthaliani è in

accordo con un modello emergente di interazioni

frequenti e complesse tra i diversi gruppi di ominidi.

Recentemente, infatti, sono state scoperte

prove dirette di un incrocio tra Neanderthal e

Denisova, ed era già noto che gli stessi Denisova

si fossero incrociati sia con Homo sapiens sia con

altri ominidi.

Rimane tuttavia da spiegare una differenza:

l'impronta sul nostro DNA lasciata dai Denisova

ha due componenti distinte, invece nel caso

dell'impronta neanderthaliana non si osservano

componenti distinte e chiaramente riconoscibili.

La prima ipotesi è che all'epoca in cui H. sapiens

iniziò la sua diaspora nel continente euroasiatico,

la popolazione dei Neanderthal era molto

omogenea, come peraltro confermato sperimentalmente

dalla limitata variabilità degli antichi DNA

neanderthaliani prelevati in Europa occidentale

e in Siberia. L'alternativa è che i primi incontri

siano avvenuti in una regione geograficamente

ristretta, e che altri siano seguiti in epoca

successiva, quando le popolazioni di H. sapiens

europei e asiatici già si erano separate.

 
 
 

Le sorprese del nostro sistema solare.

Post n°1777 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

 

Fonte: citazioni riportate integralmente dall' Internet.

Scoperta una nuova luna nel nostro sistema solare

Ci sono voluti tre diversi telescopi spaziali per

trovare la nuova luna. Secondo gli scienziati è una

scoperta rivoluzionaria

La NASA e l'Esa (Agenzia Spaziale Europea) hanno

raccolto le prove dell'esistenza di una nuova luna

all'interno del nostro sistema solare. Grazie allo sforzo

combinato dei telescopi spaziali Hubble, Herschel e Kepler

gli scienziati sono riusciti a confermare la presenza di un

lontanissimo satellite.

Questa luna orbita attorno al pianeta nano 2007 OR10, i

l terzo per grandezza dopo Plutoneed Eris, in una delle

regioni più periferiche del sistema solare - la fascia di Kuiper.

Questa importantissima scoperta permetterà agli scienziati

di fare luce sull'origine dalla nostra galassia e sulla formazione

dei corpi celesti quando il nostro sistema planetario era appena nato.

La "nuova" luna, dal nome ancora sconosciuto, dimostra

che quasi tutti i pianeti nani più grandi possiedono dei

satelliti, con l'eccezione di Sedna che non ne possiede

nessuno. La scoperta, coordinata dall'Osservatorio

Konkoly di Budapest e pubblicata sulla rivista "

The Astrophysical Journal Letters", illustra la formazione

dei pianeti nani sulla fascia di Kuiper. "In principio ci

doveva essere una grande densità di oggetti. L'attrazione

gravitazionale deve aver causato un aumento della

velocità dei corpi e, inevitabilmente, ha provocato delle

collisioni", spiega il documento, "E questo significa che

quando questi corpi sono nati, miliardi di anni fa, gli

scontri dovevano essere molto frequenti, facilitando la

formazione di lune. Questa scoperta ci fa mettere in

discussione gli attuali modelli di formazione del sistema

solare".

Perché si formino delle lune e dei pianeti, la velocità

di collisione non dev'essere né troppo alta, né troppo bassa.

Nel primo caso il risultato non sarebbero che detriti,

mentre nel secondo si formerebbero dei crateri.

La ricerca, coordinata da Csaba Kiss, apre infinite possibilità

sui modelli di creazione del nostro sistema solare e punta a 

rivoluzionare il nostro modo di guardare il cielo.

I ricercatori hanno dato alla stampa questa ricerca dopo una

verifica incrociata di vari centri spaziali. Hubble ha confermato

l'esistenza della luna senza nome dopo che il telescopio Kepler

aveva suscitato il dubbio della sua esistenza. Kepler ha osservato

che il pianeta 2007 OR10 ha un periodo di rotazione molto lento,

di circa 45 ore, e gli scienziati avevano ipotizzato che ci fosse

un rallentamento dovuto ad un satellite ancora invisibile.

È stato il telescopio spaziale Herschel (dell'ESA) ad analizzare

il pianeta e la sua luna all'infrarosso per calcolarne le dimensioni.

Che cos'è un pianeta nano? Il termine è stato coniato nel 2006,

quando un enorme corpo celeste è stato scoperto oltre i confini

di Plutone, quello che pensavamo essere "il pianeta più periferico"

del sistema solare. Questi pianeti nani hanno una massa sufficiente

ad acquisire una forma sferica, ma non forte abbastanza da ripulire

l'orbita circostante da tutti i detriti.

 
 
 

Un altro pianeta abitabile....

Post n°1776 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: citazioni riportate integralmente dall?Internet.

Trovata "sorella" della Terra, potrebbe avere acqua

in superficieGli scienziati hanno trovato una "sorella"

della Terra che potrebbe avere dell'acqua sulla sua superficie

Gli astronomi hanno scoperto una "sorella" della

Terra che potrebbe avere dell'acqua in superficie.

Il nostro Pianeta ha diversi "gemelli" sparsi per l'Universo.

L'ultimo studio realizzato dagli esperti riguarda due "sorelle" 

situate a 111 anni luce da noi nella costellazione del Leone.

Uno dei due corpi celesti, che orbitano intorno ad una nana

rossa, potrebbe ospitare dell'acqua, un elemento fondamentale

per la formazione della vita.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Astronomy and

Astrophysics, è stata realizzata dall'astrofisico Ryan

Cloutier dell'Università di Toronto, grazie ai dati raccolti

tramite l'European Southern Observatory (ESO).

Il pianeta K2-18b è stato scoperto nel 2015 e da subito

gli astronomi si sono resi conto che aveva molte particolarità

interessanti. Solo oggi però degli studi approfonditi hanno

consentito di scoprire qualcosa di più sulla "sorella" della Terra.

Innanzitutto la sua massa è maggiore di quella del nostro

Pianeta e la superficie è rocciosa. Secondo le ipotesi degli

scienziati potrebbe avere un'atmosfera gassosa oppure

essere ricoperta da uno spesso strato di ghiaccio.

"Con i dati che abbiamo a disposizione, non possiamo

distinguere tra queste due possibilità" ha spiegato Cloutier.

La speranza dei ricercatori è a disposizione di avere molte

più informazioni grazie alle osservazioni del James Webb

Space Telescope (JWST) che nel 2019 verrà lanciato in

orbita per raccogliere dati utili allo studio dell'Universo

primordiale, degli esopianeti e del Sistema Solare.

"Con il James Webb Space Telescope (JWST) - ha rivelato

Cloutier - potremo sondare l'atmosfera del pianeta e vedere

se ha un'atmosfera estesa o + un pianeta ricoperto d'acqua".

Ma c'è di più: durante le sue osservazioni di K2-18b,

Cloutier ha notato la presenza di alcuni segnali. Il primo

si verifica ogni 39 giorni ed è provocato dalla rotazione

della stella K2-18, il secondo viene avvertito ogni 33 giorni

ed è frutto dell'orbita dello stesso pianeta, il terzo invece

viene registrato ogni nove giorni. Il lancio del Telescopio

Spaziale consentirà di risolvere anche quest'ultimo mistero.

 
 
 

GLI ULTIMI STUDI SU VENEZIA...

Post n°1775 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: citazioni riportate integralmente dall' internet.
Secondo una ricerca,
Venezia potrebbe essere
più antica di quel che si
pensaVenezia potrebbe
essere più vecchia di
quasi duecento anni.
A testimoniarlo, il
ritrovamento sorprendente
fatto da un team di archeologi
americaniSecondo una ricerca, Venezia potrebbe essere più antica di quel che si pensa

Venezia potrebbe essere più "vecchia" di quel

che credevamo e avere quasi 200 anni in più.
La rivelazione sorprendente arriva dagli archeologi

della Colgate University di Hamilton, a New York,

che avrebbero spostato indietro di circa 180 anni

 la data della costruzione della città.

La nascita del primitivo insediamento, chiamato Rivoaltus,

è tradizionalmente posta al 25 marzo del 421, con la

consacrazione della chiesa di San Giacometo, sulle rive

dell'attuale Canal Grande. La ricerca a stelle e strisce,

coordinata dal professor Albert Ammerman e pubblicata

sulla rivista "Antiquity", andrebbe però a ribaltare ciò che

finora attestava Chronicon Altinate. Secondo gli archeologi

americani, la storia di Venezia sarebbe in realtà iniziata nel

nono secolo, mentre l'edificazione della chiesa situata nel

sestiere di San Polo sarebbe avvenuta solo nel 1100, dopo

quella della Basilica di San Marco, consacrata nell'832 d.C..

A testimoniarlo, è stato il ritrovamento di due noccioli di pesca, 

rinvenuti a 4,2 metri di profondità sotto il pavimento

a mosaico della Basilica di San Marco, che risalgono fra

il 650 e il 770 dopo Cristo. Ciò significa che sono di quasi

due secoli più vecchi del monumento più importante del

capoluogo veneto.

La prima chiesa dedicata a San Marco, voluta da Giustiniano

Partecipazio, fu costruita accanto al Palazzo Ducale nell'820

per ospitare le reliquie del santo trafugate, secondo la

tradizione, ad Alessandria d'Egitto da due mercanti veneziani.

Le due pesche sarebbero state addentate 1300 anni or sono,

quando la cattedrale non era stata ancora costruita, e i loro

noccioli si trovano in uno strato di sedimenti che, nell'ottavo

secolo d.C., doveva essere un metro sotto il livello del mare.

Probabilmente potrebbero essere stati abbandonati dagli avi

veneziani in un antico canale della laguna, prima della

costruzione della città, o forse lanciati da una barca.

Stando all'archeologo Ammerman, coordinatore della ricerca,

i frammenti di ceramica e metallo ritrovati insieme ai noccioli

proverebbero che si stava cercando di riempire i corsi d'acqua 

per formare un substrato asciutto, dove creare il primo

insediamento. Una scoperta stupefacente, che potrebbe

riscrivere la storia di Venezia.

 
 
 

AD AREZZO A CARNEVALE....

Post n°1774 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli


  • Fonte : internet

  • Il Carnevale che si festeggia nel borgo aretino è il più antico d'Italia, 4 contrade si sfidano per costruire il carro allegorico più belloTutto pronto a Foiano della Chiana per festeggiare il Carnevale più antico d'Italia. Fino al 25 febbraio il borgo aretino festeggerà la 479esima edizione della festa che ancora una volta porterà in piazza la magia e la vivacità della festa più colorata dell'anno.

A partire dal 28 gennaio e per tutte le domeniche

di febbraio la città rende omaggio al re Giocondo,

l'anima della festa e il protettore dei vari cantieri

in gara che si contendono ogni anno il palio del

carro più bello.

Azzurri, Bombolo, Nottambuli e Rustici, le

quattro contrade, da tempo immemore si sfidano

sul campo della fantasia tra lingue di Menelik e

coriandoli, nel marasma di una festa che affonda

radici nella notte dei tempi.

"Fuori dall'incubo" è il titolo del carro degli Azzurri

che ha come tema i  social network e il rapporto

pervasivo che smartphone e i principali siti che

accalappiano l'attenzione di migliaia di persone stiano

cambiando il mondo. "Leoni e Pecore" è invece il titolo

del carro realizzato dal cantiere di Bombolo che rievoca

la leggenda dell'ultimo viaggio dell'esercito del Leone

Nero e della trasformazione dei re della foresta in pecore.

"Vinti dalla fortuna" è il titolo del carro elaborato dalla

contrada dei Nottambuli che affronta la delicata tematica

della ludopatia e dei problemi legati al gioco d'azzardo.

Infine, il cantiere dei rustici propone un carro dal titolo 

 "Non sarà l'ultimo ballo, questo apoca-twist", dove

i protagonisti sono i 4 Cavalieri dell'Apocalisse in

viaggio verso la terra, animata da un caos che appare

come un preludio della fine del mondo.

Oltre ai carri allegorici, che richiameranno nel centro

aretino molti turisti, ampio spazio sarà dedicato ai

bambini, veri protagonisti della festa di Carnevale,

con i suoi colori, gli scherzi, i travestimenti e la diffusa allegria.

 
 
 

NELLE EOLIE.....

Post n°1773 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

  • Fonte: citazioni riportate interamente da Internet.

  • Eolie: 200 camini vulcanici 
  • rinvenuti dinnanzi a Panarea
  • Lo studio attuato da una
  •  task force di ricercatori
  •  ha scoperto una struttura 
  • estesa e complessa che 
  • trova eguali solo nell'OceanoEolie 200 camini vulcanici rinvenuti dinnanzi a PanareaNei fondali marini tra l'isola di Panarea
  • e l'isolotto di Basiluzzo sono stati individuati
  •  200 camini vulcanici, i ricercatori hanno 
  • chiamato la zona "smoking land", un'area che 
  • per estensione non ha eguali in tutto il Mediterraneo. 
  • Per trovare una situazione simile è necessario 
  • muoversi nei fondali marini dell'Oceano.

La scoperta è il frutto di studi e analisi compiuti da 

gruppo di ricercatori dell'Istituto di Scienze Marine

del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISMAR-CNR),

Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca

Ambientale (ISPRA) e Istituto Nazionale di Geofisica e

Vulcanologia (INGV), in collaborazione con la Marina

Militare, Università di Messina e di Genova e l'Istituto

per l'ambiente marino costiero (Iamc-Cnr).

Una task force di scienziati, biologi e sommozzatori che

hanno individuato il sito idrotermale che potrebbe cambiare

l'approccio agli studi del Mediterraneo e fornire nuovi

strumenti per la prevenzione sul fronte delle 

attività vulcaniche.

Lo studio «Exceptional discovery of a shallow-water

hydrothermal site in the SW area of Basiluzzo islet

(Aeolian Archipelago, South Tyrrhenian Sea): an

environment to preserve)»,  risulta fondamentale

per conoscere informazioni inedite sulla caratteristiche

morfologiche dei nostri fondali e dei sistemi idrotermali

 del Mediterraneo.

Decine di strutture a forma di cono, composte da

ossido di ferro, dall'altezza variabile tra 1 e 4 metri e

dal diametro anche di 3 metri, è così composta la selva

di camini alcuni dei quali emettono anidride carbonica

che testimonia un'attività tutt'altro che silente.

La scoperta nasce da un'intuizione dell'oceanografo 

Giovanni Bortoluzzi ripresa da alcune indagini

dell' Ingv seguite a un'attività molto attiva che si

verificò nel 2002. Da allora, a bordo dell'Astrea e

dell'Ispra, le navi utilizzate per scandagliare i

fondali dell'arcipelago delle Eolie, si è andati alla

ricerca della fonte del misterioso fenomeno.

Nel 2015 un robot filoguidato è finalmente riuscito

a venire a capo dell'enigma individuando in una

zona a sud dell'isolotto di Basiluzzo i camini

idrotermali colonizzati da un notevole numero di

alghe e organismi bentonici che hanno reso più

chiara la situazione.

La fase di studio, appena agli inizi resa possibile

dalla notevole quantità di dati raccolti, ha consentito

ai ricercatori italiani di concretizzare le prime ipotesi:

con buona probabilità le Smoking Land dove si verifica

il rilascio dei fluidi idrotermalisono dovute a una risalita

di gas che mette in moto una circolazione di acqua

marina dal sottofondo. Non è escluso quindi che il

fenomeno del 2002 che incuriosì gli studiosi possa

ripetersi, anche con forza maggiore. L'importanza di

comprendere la nascita e lo sviluppo del fenomeno,

attraverso il monitoraggio delle smoking land è quindi

fondamentale per comprendere e tentare di prevenire

l'attività vulcanica del mar Mediterraneo. 

 
 
 

IN SARDEGNA....

Post n°1772 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

 

I misteriosi colossi sardi

dagli occhi alieni

Nello sguardo enigmatico dei colossi di Mont'e

Prama è racchiuso il mistero di una civiltà che

può riscrivere la storia del MediterraneoIl mistero dei giganti sardi dagli occhi alieni

Colossali, enigmatici, dagli occhi grandi e buoni,

quasi stupefatti. I giganti di Mont'e Prama, statue

scolpite in blocchi di granito alte anche due metri

e mezzo che raffigurano guerrieri, arcieri, sacerdoti

e pugilatori, sono affascinanti testimonianze del 

passato remoto della Sardegna. In quei tratti così

minimali si nasconde la storia della civiltà nuragica 

e post-nuragica, in ogni scanalatura di granito la

risoluzione di un enigma che potrebbe riscrivere

la storia di tutto il Mediterraneo.

La costa centro occidentale dell'isola, in provincia

di Oristano è piena di questi giganti dall'aspetto

buono. Tutto iniziò nel 1974, quando alcuni pastori

e contadini notarono conficcati nella terra della

collina di Mont'e Prama alcuni frammenti dei Kolossoi,

come li ribattezzarono i primi ricercatori e archeologi

che ebbero la fortuna di riportare alla luce, dopo millenni,

testimonianze così rare e preziose del passato della terra sarda. 

Giovanni Lilliu, uno dei primi archeologi a studiarne

forme, fattezze e ad elaborare le prime teorie, ne fu

entusiasta e seguendo gli indizi lasciati da giganti bianchi 

riuscì a scoprire, assieme ai suoi collaboratori, strade,

rifugi e tombe che fecero pensare di esser di fronte alla

presenza di una necropoli risalente antica di almeno 2800 anni.

Statue così grandi, belle e raffinate suggeriscono una

realizzazione effettuata da una civiltà avanzata, nobile e

ricca, abbastanza potente da realizzare un Heroon, cioè

un monumento funebre legato all'esaltazione degli eroi.

Alcuni elementi sembrano richiamare anche la società

etrusca e le sue tombe. Di certo quegli occhi, quasi alieni,

in cui lo sguardo dei primi archeologi si è perso nel tentativo

di estrapolare i significati reconditi custoditi da statue così

imponenti, ha dato ampio spazio alla fantasia.

La concentricità delle pupille sembra richiamare alcuni

rinvenimenti effettuati in Asia Minore. Con buona

probabilità le statue vennero distrutte già in epoca antica,

quando i Cartaginesi, conquistarono l'isola sarda e

tentarono forse di cancellare le antiche testimonianze

delle civiltà passate. I recenti studi su questi ritrovamenti

contribuiscono ad aggiungere preziosi tasselli a un mosaico

che anno dopo anno sembra sempre meno misterioso e

apre inedite e interessanti novità sulla storia antica del

Mediterraneo che racchiude profondi segreti, tutti ancora

da scoprire.

 
 
 

UN'ANTICA NECROPOLI....

Post n°1771 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

Scoperta un'antichissima
necropoli sotto La Muraglia di Bari

L'entusiasmo degli esperti per il ritrovamento

che potrebbe cambiare pagine e pagine dei

libri di storia dedicati a Bari.Effettuano dei l

avori per rinnovare il sistema delle fognature

nel cuore di Bari e a riemergere dalla terra,

dopo secoli di oblio, è un'area cimiteriale del

Medioevo. Così il cantiere aperto per

ammodernare la rete fognaria e rinnovare le 

tubature idricheche servono il capoluogo pugliese

è diventata un'area di grande interesse per

archeologi e antropologi della sovrintendenza

che cercano adesso tra i 15 scheletri rinvenuti ai

piedi della Muraglia qualche altro reperto che

possa svelare vita, segreti e misteri della Bari

medievale, e rivelare così abitudini, tradizioni e

consuetudini grazie a rinvenimenti rivelatori.

Alcuni degli esperti non nascondono l'entusiasmo

per la scoperta, un ritrovamento che potrebbe

cambiare pagine e pagine dei libri di storia dedicati a Bari.

Il lavoro degli studiosi sta proseguendo velocemente

per ridurre al minimo i disagi apportati alla

cittadinanza, ma allo stesso tempo c'è la volontà

di non tralasciare nessun indizio che possa aggiungere

qualche tassello alla storia antica della città dove

riposano le reliquie di San Nicola. Secondo le prime

stime i resti degli antichi baresi rivenuti dovrebbero

essere risalenti al tardo Medioevo, in un lasso di

tempo che va dal VII al X secolo.

I resti della necropoli sono stati ritrovati a pochi

metri dall'antica Muraglia, cinta aragonese costruita

nel basso Medioevo testimone di pagine di storia,

un fortino che protegge e custodisce vicoli, archi,

chiese, monumenti, volti ed emozioni della Bari

vecchia, una maestosa opera che oggi abbraccia

il borgo antico con i suoi ristoranti,  locali tipici

e palazzi che portano testimonianza delle antiche

architetture dellatradizione pugliese.

Angoli inediti della basilica di San Nicola, le antiche

colonne di Piazza di Santa Maria del Buonconsiglio,

il porto nuovo, il complesso di Santa Scolastica,

seguendo il percorso disegnato dalla vecchia

Muraglia è possibile lasciarsi accompagnare alla

scoperta degli angoli più belli del capoluogo pugliese.

La cinta muraria è custode di antiche bellezze, ma

anche di ritrovamenti archeologici preziosi. Ora le

aspettative e le speranze della Soprintendenza di Bari 

si concentrano sugli strati inferiori alla necropoli, ritrovare

ulteriori reperti magari di epoche ancora precedenti con

reperti più antichi non è escluso dagli archeologi che monitorano i lavori.

 
 
 

L'ESERCITO DI TERRACOTTA...

Post n°1770 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

  • In mostra a Napoli l'esercito di terracotta del primo imperatore cineseFino al 28 gennaio, presso la Basilica del Santo Spirito di Napoli, in mostra Il gruppo statuario considerato l'ottava meraviglia del mondoIn mostra a Napoli l'esercito di terracotta del primo imperatore cinese

Molti la considerano l'ottava meraviglia

del mondo ed è difficile dar loro torto.

L'esercito di terracotta posto a guardia

del Mausoleo del primo imperatore

cineseQui Shi Huangdi è arrivato a Napoli 

dove rimarrà esposto fino al 28 gennaio.

170 statue, copie perfette delle statue

reputate patrimonio mondiale dell'Unesco,

ognuna con tratti somatici e caratteristiche

differenti, in mostra nella Basilica del Santo

Spirito che in occasione della mostra evento

ha riaperto al pubblico dopo anni di chiusura.

Una scelta tutt'altro che casuale:

l'imponente luogo di culto situato nel cuore

pulsante del passeggio partenopeo, richiama

il Mausoleo dove le statue di terracotta, da

secoli, vegliano sul primo imperatore cinese.

La spettacolarità delle statue è esaltata non

solo dalla bellissima basilica del cinquecento,

cornice d'eccezione per i soldati di terracotta

realizzati grazie agli antichi calchi ancora

esistenti, ma anche da un'installazione

luminosa con inserti audiovisivi arricchita

da videoproiezioni e precise audioguide.

La scelta di Napoli per la mostra internazionale

sull'Esercito di Terracotta e il Primo Imperatore 

non è stata casuale, ma si basa su alcune

importanti affinità culturali che esistono tra il

capoluogo campano e l'estremo oriente.

L'importanza che nella vita quotidiana assume

il culto dei morti, la profonda forza evocativa

che le sculture detengono nel tessuto urbano

di Napoli e nella vita quotidiana dei napoletani

sono solo alcuni degli aspetti e dei fattori che

legano la città all'ombra del Vesuvio alla cultura

cinese. "Non potevamo che iniziare da qui"

hanno sottolineato i curatori della mostra

che espone i soldati scelti dall'imperatore

per proteggerlo, così come fecero in vita,

anche dopo il passaggio nella vita ultraterrena.

Soldati, cavalli, armi, utensili, riprodotti con

certosina pazienza e precisione maniacale,

una testimonianza unica che racconta la 

vita quotidiana della Cina antica, grazie

agli antichi calchi che riportano in vita le

antiche testimonianze di un passato che

parla al presente.

«Questo viaggio nel cuore della necropoli

aperto alle scuole e alle università

dell'Imperatore - ha sottolineato Fabio Di Gioia,

curatore italiano della mostra - vuol essere

anche un'occasione importante per stimolare

l'attività di scambio tra istituzioni ed eccellenze

culturali dei due paesi».

 
 
 

UN CAMBISMENTO NELLA STORIA DI POMPEI..

Post n°1769 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

  • La moneta che cambia la storia di Pompei
  • Il denario di Tito sposterebbe in autunno la data dell'eruzione del Vesuvio attestata storicamente al 24 agosto del 79 d.C.La moneta che cambia la storia di Pompei

A Pompei è stata ritrovata una moneta

che potrebbe cambiare la storia.

Un denario di Tito, rinvenuto presso

la Casa del Bracciale d'Oro, apre scenari

inediti e sorprendenti sulla data della

morte della città, sepolta da ceneri e

lapilli durante una delle più devastanti 

eruzioni del Vesuvio. Forse quella tragedia

non avvenne il 24 agosto del 79 dopo

Cristo, data da sempre associata

all'immane catastrofe, ma qualche mese dopo.

È una teoria sulla quale archeologi e

storici si arrovellano da lungo tempo e

che si fonda su alcune prove derivanti

dalla numismatica, lo studio scientifico

delle monete. L'analisi della valuta ritrovata

in un tesoretto di un pompeiano in fuga di

175 monete d'argento e 40 d'oro evidenzia

un dettaglio sorprendente: accanto al volto

dell'imperatore Tito, che regnò dal 79 all'81

dopo Cristo sull'impero Romano, è possibile

scorgere la scritta "Imp XV" che indica la

quindicesima acclamazione imperiale del

"princeps". Un rinnovo che, secondo le

documentazioni, avvenne dopo l'8 settembre

del 79 d.C, diverse settimane dopo la canonica

data del 24 agosto che è sempre stata

associata all'eruzione del Vesuvio, data da

sempre accettata come attendibile e derivante

dalle testimonianze di Plinio il Giovane.

In una lettera inviata a Tacito (nella variante

più attendibile del manoscritto) Plinio dichiara

che l'eruzione è avvenuta nonum kal.

Septembres, cioè nove giorni prima delle

Calende di Settembre, ovvero il 24 agosto.

Ma i dubbi sull'attendibilità di questa

testimonianza sono ormai troppi. Non c'è

solo il ritrovamento della moneta a destare

incertezze ma anche altre incongruenze,

come il ritrovamento di frutta seccacarbonizzata,

di bracieri per riscaldarsi e di mosto già in fase

di invecchiamento ritrovato all'interno dei

contenitori. Oggetti e sostanze che

raccontano di atmosfere tutt'altro che estive,

semmai molto più autunnali.

La moneta che potrebbe riscrivere i libri di storia,

per anni relegata nei depositi della soprintendenza

del Museo Archeologico di Napoli, è una dei

reperti protagonisti della mostra "Tesori sotto i

lapilli", visitabile fino al 31 maggio a Pompei.

La mostra espone i reperti provenienti dall'Insula

occidentalis, luogo di villeggiatura dei ricchi signori

che si recavano a Pompei in cerca di relax. Sono in

mostra anfore, ampolle, gioielli e altri oggetti d'uso

quotidiani, belli e raffinati che restituiscono una

recisa fotografia delle abitudini degli antichi

villeggianti strappati alla vita da una delle catastrofi

più terrificanti della storia.

 
 
 

SU MARTE.....

Post n°1768 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

 

Dai dati resi disponibili dal radar SHARAD,

risulta una formazione caratteristica 

con strati di ghiaccio ricchi di polveri e

di altri materiali, alternati a strati più puri

astronomiaplanetologiaPer decenni i

planetologi hanno ipotizzato che la

sbalorditiva stratificazione geologica

di Marte fosse dovuta alla innata

instabilità dell'orbita del pianeta,

che cambia il suo clima in modo ciclico.

Ma finora è stato praticamente

impossibile per i ricercatori fornire

una ragionevole datazione degli strati

collegata a particolari variazioni

dell'eccentricità dell'orbita e dell'inclinazione

dell'asse di rotazione.


La datazione degli strati sulla superficie

di Marte come frutto di fenomeni periodici

e non del caso è un'attività controversa.

Sulla terra i paleooceanografi devono fare

un lavoro di analisi molto dettagliata sulle

carote di sedimenti recuperate in fondo

all'oceano, ricorrendo a metodi di datazione

molto precisi. Per quanto riguarda Marte,

i ricercatori devono fare affidamento, gioco

forza, soltanto sulle immagini riprese da

centinaia di chilometri.

In un recente studio di cui viene rifierito

sull'ultimo numero della rivista "Science",

i geofisici J. Taylor Perron e Peter Huybers

della Harvard University e colleghi di un'ampia

collaborazione internazionale guidata da

Roger Phillips del Southwest Research

Institute di Boulder, in Colorado - che ha

visto la partecipazione di studiosi italiani

delle Università "la Sapienza" e Roma Tre 

e dell'Università d'Annunzio di Pescara, 

nonché dell'Istituto Nazionale di Astrofisica 

sempre di Roma - hanno combinato le 

Immagini e le topografie relative ai

cosiddetti North Polar Layered Deposits 

(NPLD) ottenute grazie alla sonda Mars

Reconnaissance Orbiter della NASA.

Dai dati resi disponibili dal radar denominato

SHARAD, si evidenzia una stratificazione

caratteristica in cui a strati di ghiaccio ricchi

di altri materiali e di polveri, si alternano

strati di ghiaccio più puri.

Secondo le conclusioni dello studio, tale

stratificazione può essere spiegata con i

cicli di variazione dell'inclinazione dell'asse

marziano e dell'eccentricità della sua orbita. 

 
 
 

Gli omega-3........

Post n°1767 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

 

Gli omega-3 non proteggono dai

disturbi cardiovascolariLa revisione

di studi effettuati su oltre 112.000

pazienti smentisce la convinzione

che le capsule oleose assunte per

la salute del cuore facciano una

qualche differenza. EQUIVOCO DI

VECCHIA DATA. Piccole quantità di

omega-3, acidi grassi essenziali

contenuti soprattutto in pesci come

salmone, merluzzo, sgombro e

acciughe e in alimenti vegetali come

noci, semi di girasole o avocado, sono

parte integrante di un'alimentazione

sana. Tuttavia molte persone assumono

capsule di integratori a base di

omega-3 per anni, ritenendole valide

alleate contro ictus e infarti.

Questa convinzione è stata supportata

in passato da almeno due studi condotti

tra la fine degli anni '80 e i primi anni '90,

ma smentita da molte ricerche successive. 

PER TUTTI I GUSTI. Gli studi controllati e

randomizzati (in cui cioè i fattori da

controllare sono assegnati in modo casuale

ai pazienti coinvolti) hanno interessato

donne e uomini di Europa, Nord America,

Asia e Australia, in salute o con varie

patologie, che hanno assunto integratori

a base di omega-3 per almeno un anno -

o che non ne hanno assunti affatto.

Alcuni trial - pochi - controllavano invece

gli effetti dell'assunzione di dosi extra

di pesce grasso. I RISULTATI.

Gli integratori a base di olio di pesce -

gli omega-3 a catena lunga, come l

'acido eicosapentaenoico (EPA) e l'acido

docosaesaenoico (DHA) - non hanno

dimostrato alcun effetto protettivo

sulla salute cardiovascolare.

Una piccola riduzione di eventi cardiovascolari

(molto contenuta) si è registrata con l'assunzione

di un altro tipo di omega-3 - l'acido alfa-

linolenico (ALA), contenuto in alcuni oli

di semi come quelli di colza e di noci. 

Non ci sono invece sufficienti evidenze

per dire che l'assunzione di quantità

extra di pesce protegga da ictus e infarti,

anche se indirettamente potrebbe essere

così, se non altro perché nutrirsi di questo

alimento fa sì che non si scelgano proteine

meno salutari. Inoltre con il pesce non si

assumono solo omega-3 ma anche iodio,

calcio, selenio e vitamina D. Insomma una

dieta bilanciata è - ancora una volta -

un'opzione migliore del ricorso indiscriminato

o non informato agli integratori.

 
 
 

21 dicembre 2012: il mistero del calendario Maya ....

Post n°1766 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

ARCHEOASTRONOMIA.

 

Preoccupati per il 2012 e per la fine

della nostra amata Terra? Niente

paura, ecco spiegato il calendario

Maya e il perchè la fantomatica data

del 21 dicembre 2012 sia in realtà un

giorno come un altro...

Calendario solare Maya

Nella prima parte di questo articolo

ho esposto un metodo scientifico per

rappresentare una data e facilitarne le

comparazioni. Quanto scritto, all'apparenza

privo di connessioni, serve per poter

introdurre senza traumi il $calendario$

Maya, strumento ideato da una popolazione

che sappiamo abitava nel Sudamerica, ma

che è misteriosamentescomparsa all'improvviso

nel pieno fulgore della propria civiltà.

Da parecchie parti si legge che i Maya

avevano raggiunto un alto grado di precisione

nei calcoli astronomici, nella computazione

del $calendario$ ed in altre attività della

vita quotidiana.

Vediamo dunque un modo che avevano i

Maya di rappresentare una data: praticamente

è simile al metodo "matematico" che ho

indicato nelprecedente appuntamento,

più complesso solo in apparenza.

Ad esempio il giorno 22 dicembre 2008(

20081222, che magari per leggibilità

possiamo indicare con 2008.12.22) per

i Maya era il "12.19.15.16.18", che

matematicamente potremmo scrivere

1219151618.

Ma vediamo quale logica si cela dietro

questi numeri all'apparenza così arcani.

Riferendoci alla data di esempio, e

procedendo da sinistra, andiamo dal

"12", che è la parte più significativa

(quella che per noi sarebbe l'anno)

fino al "18" più a destra che è la parte 

meno significativa.

Questi 5 numeri hanno tra loro un

formato differente, così come abbiamo

visto per una data comune: procedendo

da sinistra a destra abbiamo che il primo

numero può andare da 1 a 13, il secondo

ed il terzo numero sono compresi tra 0

e 19, il quarto tra 0 e 17, mentre l'ultimo

(quello più a destra) ancora tra 0 e 19.

Detto così sembra assolutamente

astruso, ma vi invito a rivederequal é 

La regola per il nostro giorno: ricordo

che nel nostro caso il valore minimo è

1, ma il massimo non è a priori conosciuto,

dipendendo dal valore del mese ed in più

dall'anno, nel caso che sia bisestile ed il

mese minore di 3... Siete ancora convinti

che i Maya avessero un $calendario$

complicato?

Vediamo un'importante differenza tra

il nostro $calendario$ e quello Maya.

Sappiamo benissimo che, col passare dei

giorni, il numero di questi ultimi si incrementa

di 1 unità. Ma nel nostro $calendario$,

arrivato al massimo (31, 30, 29 o 28) viene 

resettato ad 1, si deve quindi incrementare

di 1 il mese (fino al massimo che è 12),

dopodichè si incrementa l'anno, senza limiti.

E' questo un semplice meccanismo di riporto:

ogni volta che per un numero superiamo il

massimo valore consentito, il numero fa

"wrap around" , ovvero viene riportato al

minimo consentito, mentre viene aumentato

di 1 il numero "superiore", più significativo,

seguendo lo stesso meccanismo.

Noi facciamo tutto questo in modo automatico

ed inconscio e siamo facilitati dal fatto che

abbiamo a che fare con 3 soli numeri.

Per i Maya invece le quantità sono 5: partiamo

dalla prima a destra (la meno significativa)

che va da 0 a 19: supponiamo che in una

certa data valga proprio19. Il giorno successivo

questo numero varrà dunque 0 e bisognerà

incrementare di 1 unità il numero immediatamente

a sinistra, con l'avvertenza che se supera 17

 va azzerato, incrementando poi il successivo

più a sinistra e così via innescando una

"reazione a catena".

Qual é il giorno successivo a 5.19.19.17.19?

Facile! E' il 6.0.0.0.0: infatti a partire da

destra aumentando di un giorno, i numeri

successivi fanno tutti wrap around ed alla

fine il 5 più a sinistra diventa 6. Come

sempre a spiegarlo sembra difficile, ma provandolo

con carta e penna risulterà senz'altro

molto più intuitivo.

Ma, un momento... Ho detto prima che il

numero più a sinistra va da 1 a 13: questo

significa che, quando per effetto dei riporti

precedenti questo numero supera il valore

13, deve fare wrap around e ritornare ad 1

invece di continuare con 14, 15, ecc. Detto

questo, il giorno successivo al13.19.19.17.19

 sarà semplicemente 1.0.0.0.0. Trovate

qualcosa di strano in tutto questo? Si tratta

di una semplice regoletta matematica!

Cosa facevano i Maya quando la cifra

più a sinistra cambiava? Festeggiavano,

dato che per loro era come una specie

di capodanno! E se fossero ancora in vita

pensate farebbero diversamente quando

la prima cifra da 13 ritornerà ad 1? No!

Sarebbe un qualunque altro capodanno,

forse paragonabile all'ingresso nel XXI

secolo del nostro capodanno del 2001

e nulla più.

In questo caso si è infatti resettato un

intero ciclo. Ma di quale data stiamo parlando?

Qual é la prossima data che i Maya

avrebbero rappresentato con 1.0.0.0.0?

Scommetto che già ve la state immaginando!

Eh si, guarda caso questa data coincide

proprio con il 21 dicembre 2012!

Ebbene, vedete voi una connessione tra

questo evento e la presunta fine del mondo?

Per favore, non facciamo come quelli che

arrivati al capodanno dell'anno 1000

credevano che in tale data sarebbe finito

il mondo... Allora si era in pieno Medio Evo.

 
 
 

NELLA SOCIETA' DELLE FORMICHE...

Post n°1765 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: INYERNET

27 luglio 2018Un gene all'origine

delle caste nella società delle formiche  

Sono i livelli cerebrali di un ormone

simile all'insulina a determinare

il comportamento delle formiche.

Se sono alti viene stimolato il comportamento

riproduttivo, tipico delle regine;

se sono bassi, viene innescato il

comportamento di cura della prole proprio

delle operaie. La scoperta permette di

spiegare l'evoluzione del sistema di

caste che caratterizza la struttura

sociale di questi insetti(red)

 I fattori epigenetici che determinano

il comportamento delle formicheo

La vita segreta delle formiche operaie

animalievoluzionegeneticaLa capacità

di riprodursi delle formiche è legato al

livello di espressione nel loro cervello

di un unico gene (ILP2, insulin-like peptide

2), che codifica per l'ormone proteico che

negli insetti equivale all'insulina.

La scoperta, frutto del lavoro di ricercatori

della Rockefeller University a New York

e pubblicata su "Science", permette di

spiegare come si è evoluta la suddivisione

in caste con compiti specializzati che

caratterizza la società di questi insetti.
 
Formica regina (grande al centro) accudita

da formiche operaie che si prendono cura

anche delle uova (in bianco).

Per comprendere i meccanismi molecolari

che rendono fertili le regine e sterili le

operaie, Daniel J. C. Kronauer e colleghi

hanno misurato le differenze di espressione

a livello cerebrale di regine e operaie

appartenenti a sette diverse specie di

formiche. Hanno così scoperto che solo

un gene, ILP2, era costantemente espresso

ad alti livelli nelle regine e sotto-espresso

nelle operaie. La proteina ILP2, osservano

i ricercatori, regola le capacità metaboliche

delle formiche, proprio come avviene per

l'insulina nell'essere umano: "Se lo stato

nutrizionale è decisamente basso, non ci

si può permettere di produrre prole", dice

Kronauer.

I ricercatori hanno quindi controllato il ruolo

dell'ormone insulino-simile sul comportamento

di una specie di formiche, Ooceraea biroi,

nelle cui colonie non ci sono caste rigide

e tutte le formiche alternano fasi di

riproduzione e di cura delle larve,

sincronizzate in tutta la colonia.

Hanno così scoperto che rimuovendo

le larve durante la fase di cura della prole,

la produzione di ILP2 cerebrale aumentava,

riportando gli esemplari alla fase

riproduttiva, mentre l'introduzione di larve

nella colonia durante la fase riproduttiva

diminuiva drasticamente i livelli dell'ormone,

inducendole a un comportamento di cura.

In un altro esperimento, i ricercatori hanno

iniettato nelle formiche insulina sintetica

nella fase di cura, provocando l'inizio della

fase riproduttiva anche se erano presenti le larve.

In gran parte delle specie di formiche

le operaie sono molto più piccole della

regina. (Cortesia Daniel Kronauer)

Secondo Kronauer e colleghi, nel corso

dell'evoluzione le naturali variazioni

individuali nell'espressione di ILP2

negli individui di una colonia hanno

fatto sì che i soggetti con livelli più

elevati di espressione ignorassero

lo stimolo "di cura" rappresentato dalle

larve e continuassero a riprodursi,

mentre i soggetti con una ridotta

produzione di ILP2 diventassero via

via più sensibili alla presenza di larve

e quindi più propensi a concentrarsi

sulla cura della prole. "Una volta che

in una colonia si ha questo tipo di

asimmetria, e la colonia funziona bene,

la selezione porterà i livelli di insulina

a distanziarsi sempre più", dice Kronauer.

"Il risultato finale sarà la formazione di

due caste di formiche operaie e regine".

 
 
 

DORIS LESSING

Post n°1764 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

 

Doris Lessing secondo Laura Lilli


Laura Lilli
, giornalista di La Repubblica

ed esperta di letteratura inglese e americana,

racconta Doris Lessing, premio Nobel per

la Letteratura nel 2007 con la seguente

motivazione: «Cantrice dell'esperienza femminile

che con scetticismo, passione e potere visionario

ha messo sotto esame una civiltà divisa».

Negli anni lei ha avuto diverse occasioni di

incontrare la scrittrice Lessing, che idea si

è fatta di questa donna che ha dedicato la

sua vita alla letteratura, all'amata Africa e

alla passione civile contro ogni forma di

razzismo e discriminazione? L'ho intervistata

sei o sette volte fra l'83 (The FifthChild, Il quinto figlio)

e il 2008 (The Cleft, Una comunità perduta).

Mi è parsa una donna molto forte e molto creativa,

convinta del proprio talento e della propria grandezza,

decisa ad esprimerli, e a far riconoscere i propri meriti.

E ci è riuscita, vincendoun'infinità di premi nazionali

e internazionali, fino al tardivo Nobel (In Italia ha

vinto ilMondello e il Grinzane Cavour alla carriera).

Nella vita ha avuto molte traversie sia private sia

pubbliche, cominciando da quando a vent'anni venne

cacciata dalla Rhodesia del Sud -oggi Zimbabwe -

perché comunista e contraria all'apartheid che anche

lì si praticava) ma ha sempre saputo tenervi testa.

In lei sono molto forti il sentimento di essere inglese,

del primato dell'Inghilterra fino a tempi recenti,

ma anche l'amore per l'Africa, sul cui avvenire peraltro

ha molti dubbi . Questo per colpe sia occidentali,

sia locali (corruzione, burocrazie - vedi in proposito 

The Sweetest Dream, Il Sogno più Dolce, del 2001,

sul fallimento del comunismo e della decolonizzazione).

Doris Lessing è anche uno spirito aperto e libero.

Una volta ebbe a dirmi che gli scrittori sono "dei contatori

Geiger della cultura", cioè avvertono le cose in anticipo.

Lei certamente lo è stata. Nell'introduzione al 

fantascientifico Shikasta (1979) scrive: "Credo sia possibile

- non solo per i romanzieri . inserire la spina in una

sorta di Uhrmente-mente, o mente superiore, o

inconscio o quant'altro, e questo spiega un gran numero

di "coincidenze" o "avvenimenti improbabili" che si

verificano". Non conformista anche nella arcigna

repubblica delle lettere inglesi. Nell''83-84 ha scritto

due libri molto importanti: The Diary of a 

Good NeighbourIl diario di Jane Somers -

malinconica e realistica storia di decadenza e

vecchiaia (naturalmente al femminile) - seguito

da If the Old couldSe gioventù sapesse,

firmandoli con lo pseudonimo di Jane Somers.

Nessun critico ha riconosciuto il suo stile e, anzi,

sono stati stroncati salvo poi impapocchiare scuse

quando poi l'inganno è stato rivelato. Diffida dei

giornalisti e non ama essere contraddetta.

Questa la motivazione del Nobel: "Narratrice

epica dell'esperienza femminile, che con

scetticismo, passione e potere visionario ha

messo sotto esame una civiltà divisa".

La Lessing alla notizia del premio non

sembra aver reagito come ci si aspetterebbe

da una signora della sua età. Il suo carattere,

forte e diretto non è cambiato nonostante

i suoi 89 anni... Senza dubbio.

Lei è sempre la stessa. La notizia arrivò alla sua

agenzia in tarda mattinata, quando lei era a fare la spesa.

Cellulare spento, come al solito. Quando tornò alla

sua casa di Hampstead, carica di frutta e carciofi,

trovò una folla di giornalisti ad aspettarla e lo seppe

da loro. "Cristo!" Le scappò detto. E subito dopo:

"Erano trent'anni che lo aspettavo. Ho vinto tutti

premi che ci sono, tutti i dannati premi. Mi mancava solo quello".

Le chiesero se non ritenesse di dover rifiutare per

ragioni politiche. Rispose, candidamente. "Non ci avevo

pensato. Dovrei? Beh, ci penserò seriamente, va bene?".

Lo accettò. Pochi mesi dopo la intervistai su The Cleft.

Le chiesi in che modo il Nobel avesse cambiato la sua vita -

a parte il denaro. "Oh, in meglio!" mi rispose. "Mi ha

rimesso sulla scena, mi permette di parlare, di dire la mia

" Lei ha sempre parlato e detto la sua, risposi. "Mah...

ultimamente non più tanto, sa?". Di recente, invece,

ha dichiarato ai giornali che questo "maledetto Nobel",

tenendola sempre sulla scena, le impedisce di raccogliersi,

di avere tempo e spazio interiore per pensare in pace

ai prossimi libri. Tutte queste risposte sono vere.

Una delle caratteristiche di Doris Lessing è di buttare

sempre fuori, nei romanzi o in dichiarazioni pubbliche,

quello che pensa in quel momento o in quel periodo.

Così andò con la dichiarazione, che fece da Stoccolma,

che Obama se fosse stato eletto, sarebbe stato ucciso.

Quando la incontrai, le chiesi se pensasse questo davvero,

mi disse che in quella circostanza il suo pensiero

era stato riportato male (sempre i giornalisti!).

Ma Lei cosa pensa? Insistei. "Obama mi piace molto,

ma credo che se fosse eletto, certo sarebbe a rischio.

Non sarebbe la prima volta, negli Usa. Di recente,

basta pensare ai due Kennedy..." Quindi lo pensa,

e lo penserà almeno fino alle elezioni.

E con i suoi romanzi come si comporta, che

genesi hanno? Lo stesso vale per i libri. Se le

viene un'idea (di solito geniale) non esita a scriverla

e a servirla, come nuova provocazione, a critici e lettori.

Lo fa con tanta foga e partecipazione, che a volte i

suoi libri sono troppo lunghi, e in certe parti paiono

scritti in fretta. Avrebbero bisogno di un po' di editing,

e mi sono sempre chiesta se l'editore non osi o lei non

lo permetta (o, semplicemente, gli editors siano scomparsi...).

Poi c'è la questione della motivazione sul suo avere sempre

scritto dell'esperienza femminile nel nostro tempo.

E' assolutamente vero, ed è forse anche la ragione per

cui la commissione del Nobel ha esitato tanto prima di

premiarla. La sua grandezza consiste non solo nell'aver

sempre messo a fuoco temi scottanti, controversi,

trasgressivi, non-conformisti, avveniristici se non

addirittura e profetici, ma nell'averlo sempre fatto

dal punto di vista delle donne. Fin dal suo primo

romanzo, L'erba canta (1950), col manoscritto

del quale lasciò nel '49 la allora Rhodesia del Sud (oggi Zimbabwe),

cacciata per ragioni politiche. In quelle pagine racconta

di una donna bianca che in pieno regime segregazionista

osa amare un domestico nero. Tutto questo però ha un

"ma". Quello che ha scritto ha fatto di Doris Lessing,

già da molti anni, una bandiera del femminismo

internazionale. La cosa non le è mai piaciuta, perché

il suo timore principale è di venire racchiusa

in un'etichetta di "genere", mentre, giustamente,

lei difende la sua unicità e universalità. Non vuole

essere definita "femminista" ma nemmeno

"di fantascienza", o altro. Per il femminismo,

così, ha concepito un autentico odio.

Nell'82 disse al New York Times: "Quello che

le femministe vogliono da me è qualcosa che loro

non hanno preso in considerazione perché proviene

dalla religione.. Quello che veramente vorrebbero

dirmi è: 'Sorella, starò al tuo fianco nella lotta

per il giorno in cui quegli uomini bestiali non ci

saranno più'. Con grande rammarico sono arrivata

a questa conclusione". E quello che disse nell'82

vale ancora oggi.

Nella sua sterminata produzione, la Lessing

spazia attraverso molti generi senza troppa

difficoltà. Dal fantascientifico al memorialistico.

È possibile secondo lei intravedere un fattore

comune, di stile, di contenuto, un filo rosso che

lega i suoi romanzi? Sì, penso di sì. Certamente

Doris Lessing ha scritto anche di uomini, ma una

parte della sua originalità e la grandezza -lo pensano

anche i saggi di Stoccolma - sono senz'altro i viaggi,

mai gratuiti, all'interno della condizione femminile -

soprattutto colta, di media intelligenza e medio-

borghese - della nostra epoca, e questo è un primo

legame fra i suoi scritti. Ma non basta.

I suoi libri nascono, insieme, dall'osservazione

della realtà e da un'idea. Questa può essere tesi,

denuncia, confessione mascherata. Ma anche satira,

utopia (positiva o negativa), invenzione pura,

invenzione di altri mondi, sensibilità per l'invisibile o

l'apparentemente impossibile.E' un mondo votato

all'autodistruzione, che forse si può evitare con

un profondo tuffo nel misticismo (vedi sufismo).

Altri, come i genitori di The Fifth Child, dell'83,

non sono in grado di capire questo ragazzino

decisamente malvagio, che magari in un universo

differente sarebbe "normale". Così, la loro famiglia

va in pezzi. Anche su questo libro la intervistai e le

chiesi se dietro la favola ci fosse una morale.

Mi rispose, indignata, che "aveva semplicemente

raccontato una storia". Forse anche Aldous Huxley,

a chi gli avesse chiesto se Brave New World avesse

una sua morale, avrebbe risposto così.

C'è un libro in particolare a cui lei è legata?

Il libro che consiglierebbe a chi non conosce

ancora Doris Lessing? E' difficile dare una risposta.

Ma, se proprio fossi costretta a scegliere prenderei

Le memorie di Jane Somers.

Non per via dello scherzo ai critici, ma per il suo

contenuto. E' una grande, e fin qui unica, esplorazione

dell'invecchiare al femminile. E' un libro molto realistico,

molto dettagliato, sul venire meno delle forze, della

memoria, e cosa questo comporti nel modo di vivere,

mangiare, vestirsi. Non per caso un critico (maschio),

grande ammiratore di Doris Lessing, mi ha detto

di averlo trovato "molto sgradevole".

C'è un limite a quello che gli uomini vogliono sapere

delle donne.

Ha qualche ricordo personale, qualche aneddoto

curioso che vuole raccontarci? Ne ho moltissimi,

ma penso che il ricordo che ho della mia prima

intervista, nell'83, sia il più eloquente. Riguarda i

l femminismo. Effettivamente mi presentai a casa sua

con grande emozione, come se davvero stessi per

conoscere una "sorella". Ero entusiasta dei suoi libri

e racconti, a cominciare da Il taccuino d'oro (1962),

che parla, con enorme anticipo rispetto alla realtà

italiana, di donne intelligenti e autoconsapevoli,

logorate da una fatica quotidiana che restava invisibile

ai maschi In realtà avrei dovuto sospettare qualcosa,

quando il suo agente, con cui concordai l'intervista,

mi chiese se per caso "la Repubblica" non fosse

un giornale femminista. Esterrefatta, negai con forza.

Ciò malgrado, l'agente mi impose di mostrare alla

scrittrice la trascrizione dal registratore prima di scrivere.

Non sospettai nulla e mal me ne incolse. Trepidando

le chiesi se non si ritenesse una scrittrice femminista.

Mi rispose con sussiego che "almeno in questo paese

non sono considerata una scrittrice per sole donne

"Poi fece una breve pausa, e pensò di doversi spiegare

meglio, in tutte lettere. Aggiunse:"Vuol sapere cosa

penso del femminismo?", e senza darmi il tempo

di fiatare: "Sì, le dirò che cosa ne penso.

Penso che le femministe si siano autocastrate, e

messe da sole in un ghetto, limitandosi ai discorsi

 fra loro. E che, dichiarando guerra agli uo        

mini, hanno perso una importante, molto

importante occasione per cambiare il mondo.

Ecco cosa ne penso, del femminismo, io

" Era seduta, di fronte a me, con un cuscino

sulla pancia, su un divano della sua casa

accogliente, in un atteggiamento che sembrava

amichevole. Ma mi guardò da distanze siderali

con occhio di sfida.

*Laura Lilli (1937-2014) è stata scrittrice e

giornalista letteraria, specializzata in Studi

Americani alla Yale University (New Haven, 

Connecticut), ha poi collaborato con La Stampa,

il Corriere della sera e Panorama. Ha fatto parte

della redazione "Cultura" de la Repubblica fin

dalla fondazione (dicembre 1975).

 
 
 

DORIS LESSING

Post n°1763 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

 

FONTE: LIBERI DI SCRIVERE, RECENSIONI & INTERVISTE

Il quinto figlio è una storia che inizia

come una favola idilliaca, con una

giovane coppia che sembra essere

destinata a stare insieme fin dal

primo sguardo, due giovani testardamente

convinti che avranno la felicità che vogliono

per la sola forza del loro volerlo, ma il cui

sviluppo rasenta la letteratura horror dal

momento in cui il sogno verrà a scontrarsi

con una forza violenta ed estranea,

incarnata in un figlio che sembra

essere la punizione alla loro arroganza.

«Harriet e David si conobbero a una

festa aziendale a cui nessuno dei

due aveva avuto molta voglia di

andare, e subito capirono di non

aver atteso altro. Antiquati, vecchio

stampo, retrogradi, timidi, troppo

esigenti, così la gente li definiva,

ma non terminava qui la lista

degli aggettivi poco teneri che si

attiravano. Entrambi difendevano

un'idea si sé a cui erano testardamente

attaccati; quella di essere, a buon diritto,

gente comune.»

Alla festa i due giovani restano in disparte,

con un'espressione guardinga, specchio

di quella dell'alto, fino a che nello stesso

istante si staccano dal loro angolo per

andarsi incontro. Un sorriso nervoso,

una lunga conversazione e subito decidono

di dividere tutta una vita assieme. Harriet

e David sono una coppia di ragazzi "all'antica",

legati ad un sistema di valori diverso rispetto

a quello dei libertari anni '60 in cui è

ambientata la storia, decisi a creare una

famiglia numerosa: una decina di figli e una

famiglia allargata, in un'enorme villa a tre piani

nella campagna inglese, dove ad ogni festa

possano riunirsi tutti i parenti. E nonostante

il biasimo dei parenti vanno avanti: riescono

ad acquistare la casa, poco importa se dovrà

intervenire finanziariamente il ricco padre di

David, e in sei anni mettono al mondo quattro

figli, anche se Harriet è ormai stremata e solo

grazie all'aiuto di sua madre, che si trasferisce

a vivere da loro, riesce a badare ai bambini.

Il sogno della giovane coppia riesce a contagiare

tutti e il tempo della vita familiare scorre

scandito dalle festività (Natale, Pasqua e

i mesi estivi), dalle riunioni con genitori, fratelli,

cugini e amici nella grande casa e dalla nascita

dei figli, in un'atmosfera di felicità assurda,

fortissima, quasi un'euforia folle, che presagisce

già la sua fine. Harriet infatti è sempre più provata

dalle gravidanze, che non sono mai facili e che

la lasciano sfinita e nervosa, ma pur volendo

assecondare le pressioni della madre e delle

sorelle affinché si prenda una pausa prima

del prossimo figlio, resta di nuovo i

mmediatamente incinta.
La nuova gravidanza si prospetta subito

minacciosa per l'equilibrio della famiglia:

il nuovo feto è forte, violento e si contorce

scalciando dentro Harriet lasciandola a pezzi,

dolorante e impossibilitata a seguire gli altri

quattro bambini e la casa; solo con i

tranquillanti riesce a tenere a bada il bambino

abbastanza a lungo da sembrare almeno

normale di fronte ai figli la sera.
Alla nascita le cose peggiorano: Ben, il quinto

nato, è un bambino giallastro, grosso,

muscoloso, forte, intransigente e duro,

un bambino spaventoso, capace di mettere

a disagio chiunque lo guardi, se non a scatenare

vero e proprio terrore. Ben è violento,

incomprensibile, sembra provare felicità solo nel

distruggere e nel fare del male, non impara nulla

dal contatto coi fratelli e non è in grado di provare

affetto nei confronti della madre; è una creatura

preistorica, un abitante di un mondo antico e

violento che per uno scherzo della genetica è

rinato in una famiglia inglese che non è

preparata a confrontarsi con lui.

Parenti e amici smettono di visitare la casa

mentre la famiglia va in pezzi a causa delle

tensioni, della paura e delle decisioni spietate

prese per gestire il bambino.

Soprattutto quando Harriet si rifiuterà di 

lasciare il piccolo Ben nell'orrendo istituto

dove vengono rinchiusi i figli anormali delle

famiglie ricche e che il padre di David aveva

deciso di pagare per loro.

Con la sua scelta la madre condanna la

famiglia: nega il suo tempo agli altri figli

e crea una frattura insanabile col marito,

che non riesce ad accettare Ben come

"suo" figlio. Harriet sceglie insomma il bene

del singolo contro quello della comunità e

per questo non sarà perdonata da sua madre,

che lascia la famiglia per andare a vivere

con un'altra figlia, da suo marito che svanirà

inghiottito dal lavoro e dai suoi stessi figli,

che fuggiranno a studiare lontano o in altre

famiglie. Ma allo stesso tempo non riesce

a salvare nemmeno il suo quintogenito

che a malapena riesce a inserirsi nella

società, se non come parte di un branco

di piccoli criminali, che vivono di furti,

stupri, risse e violenza.

Doris Lessing è nata a Kermanshah,

nel 1919, figlia di un reduce di guerra

britannico che voleva vivere il sogno

vittoriano delle "terre sevagge" e ha

vissuto fino a trent'anni nella Rhodesia

meridionale, nel 1949 si è trasferita

definitivamente in Inghilterra, dove è

morta nel 2013 all'età di 94 anni.

Ha vissuto il colonialismo britannico,

il nazismo, il fascismo e il comunismo

dell'Unione Sovietica, attraversando

le grandi tappe della storia mondiale

contemporanea. Viene da molti considerata

una delle più grandi scrittrici femministe,

ma curiosamente non si è mai riconosciuta

in questa definizione, preferendo invece

porre l'attenzione sulla sua produzione

fantascientifica, ovvero il ciclo di Canopus

in Argos dove ha condensato i temi fondamentali

della sua produzione, molto legata

ai temi del sufismo. Ha vinto il premio

internazionale Grinzane Cavour

"Una vita per la letteratura" nel 2001 e

il premio Nobel per la letteratura nel 2007.

 
 
 

Indiana Jones

Post n°1762 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: RISORSE INTERNET


I predatori dell'arca perduta
 (Raiders of the Lost Ark)

è un film del 1981 diSteven Spielberg, capostipite

della tetralogia cinematografica di Indiana Jones.

Nel 2008, in occasione dell'uscita sul mercato

 home video della versione definitiva in DVD,

il film è stato rititolato Indiana Jones e i

predatori dell'arca perduta (Indiana Jones

and the Raiders of the Lost Ark), seguendo la

denominazione degli altri capitoli della serie.

Perù, 1936. Il professore di archeologia 

Henry "Indiana" Jones Junior è sulle tracce

di un antico idolo della fertilità, conservato

in un tempio immerso nella giungla.

Superati i molti trabocchetti ed ostacoli

insieme alla sua guida Satipo, riesce

finalmente a impossessarsi della statuetta.

Satipo si rivela però indegno della fiducia

del professore, poiché ruba l'idolo per

tenerselo tutto per sé, ma muore nel

tentativo di scappare, trafitto da una delle

tante trappole. Indy, appena uscito dalla

grotta con l'oggetto tra le mani, viene

sorpreso dal rivaleRené Belloq, che riesce

ad impossessarsene, mentre Jones è

costretto alla fuga, inseguito dai pericolosi 

indios Hovitos, alleati dello stesso Belloq.

Tornato all'Università di Princeton, Jones,

unitamente al collega ed amicoMarcus Brody,

riceve la visita di due agenti dell'Intelligence,

che spiegano loro che i nazisti sono ad un

passo dal recuperare la mitica Arca dell'Alleanza,

contenente frammenti delle tavole dei dieci

comandamenti dettati da Dio aMosè.

I tedeschi sono convinti dell'immenso potere

che essa può conferire, ma per raggiungerla

devono mettere le mani sull'amuleto di Ra,

custodito daAbner Ravenwood, vecchio amico

nonché professore di archeologia di Jones ora

sparito in Nepal. L'oggetto, posto su di una

speciale asta (l'Asta di Ra) in un plastico nella

città di Tani,scomparsa da secoli sotto una

tempesta di sabbia durata un anno, avrebbe

riflesso la luce mattutina rivelando l'ubicazione

del "Pozzo delle Anime", la sala dove giace l'Arca.

Raggiunto il paese asiatico, Jones incontra 

Marion, la figlia di Ravenwood (con la quale

in passato ha avuto una relazione), che

convince a cedergli il medaglione. Interviene

però un gruppo di nazisti, capeggiati dal

sinistro Arnold Ernst Toth, pezzo grosso

della Gestapo, che cerca di rubare il

medaglione e incendia la locanda di Marion

la quale decide così di seguire Indiana

nella sua ricerca.

Giunti in Egitto, scoprono dall'amico Sallah 

che la città Tanis è stata riportata alla luce

da Belloq, ora collega dei nazisti comandati

dal sadico ColonnelloHerman Dietrich e dal

già nominato Toth. Marion viene poi rapita

da un gruppo di nazisti, che muoiono dopo

l'esplosione del loro camion. Indiana crede

che Marion sia morta, ma ella è stata invece

consegnata a Belloq dai nazisti quale ricompensa.

Jones nel frattempo s'infiltra negli scavi in corso

, riuscendo a scoprire il luogo dove è sepolto

il Pozzo delle Anime. Sceso nel pozzo, lo scopre

pieno zeppo di serpenti e di cadaveri.

Sul punto di recuperare l'Arca, intervengono

ancora i nazisti che gliela sottraggono, e

Toth getta Marion nel Pozzo delle Anime

su richiesta di Dietrich e contro la volontà

di Belloq. Jones e Marion non s'arrendono

e riescono a scappare prima che l'Arca

venga trasportata via con un aereo,

distruggendolo e costringendo i nazisti

a ricorrere a un trasporto su ruota.

Indy riesce ad eludere di nuovo i soldati

nazisti che scortano l'Arca su di un camion,

e dopo un interminabile inseguimento

s'impossessa dell'Arca. Una volta che ne

ha preso possesso, Indiana riesce ad

imbarcarsi su una nave di pirati comandati

dal capitano Simon Katanga, amico di Sallah,

che però l'indomani viene abbordata ed

ispezionata dall'equipaggio di un U-Boot 

tedesco. I nazisti riprendono così possesso

dell'Arca e consegnano Marion a Belloq.

Indiana invece si è infatti nascosto, ma

Katanga, per salvarlo, dichiara di averlo

ucciso. Indiana riesce così ad imbarcarsi

sul sommergibile che trasporta l'Arca,

camuffandosi da soldato nazista e

raggiungendo infine un'isoletta al nord

di Creta, dove Belloq è intenzionato a

compiere un rituale ebraico per controllare

la veridicità della reliquia, prima di portarla

al cospetto di Hitler.

Catturati e legati a un palo, Jones e Marion

assistono all'apertura dell'Arca, che rivela

il suo contenuto, ossia della polvere.

Improvvisamente l'Arca libera tuttavia

una forza ultraterrena che fa esplodere

le munizioni delle armi e mette fuori uso

le apparecchiature elettriche dei tedeschi.

Belloq viene avvolto dal "fuoco divino" che

fulmina tutti i soldati e uccide orribilmente

Toth, Dietrich e lo stesso Belloq, che si

disintegra. Indiana e Marion si salvano

chiudendo gli occhi. Il cielo sopra all'isola

si spalanca, risucchiando tutti i nazisti

e il "fuoco divino" per poi rientrare

dentro l'arca che si richiude. Quando

il cielo si richiude, Jones e Marion si

ritrovano liberi dalle corde che li

imprigionavano.

Tornato a Washington con Marion,

Jones è furibondo per come l'esercito

neghi loro l'Arca e la possibilità di

studiarla, in quanto già nelle mani

di "qualificati studiosi", mentre in

realtà viene rinchiusa in una cassa,

marchiata e inserita tra migliaia di

altre casse identiche, in uno sconfinato

magazzino che raccoglie il materiale

 top secret.

.Indiana Jones prende il nome dal 

cane di razza alaskan malamute di

 George Lucas. Nel terzo film si

scoprirà che anche il cane del dottor

Jones si chiamava Indiana.

Per il personaggio di Indiana Jones 

originariamente George Lucas propose

di chiamarlo "Indiana Smith", tuttavia

 Steven Spielberg detestava questo

nome, pensava suonasse davvero

male, allora Lucas disse: «Chiamalo

Indiana Jones o come ti pare, il film

è tuo ora». Tom Selleck fu il primo

attore scelto per il ruolo di Indiana

Jones, ma dovette rifiutare poiché

aveva firmato un contratto in esclusiva

per la serie televisiva Magnum, P.I..

Per il ruolo di Marion erano state inizialmente

pensate Amy Irving e Debra Winger.

Per il ruolo di Belloq Steven Spielberg 

avrebbe invece voluto o Giancarlo Giannini 

oJacques Dutronc, ma poiché nessuno

dei due sapeva parlare in inglese il ruolo

fu affidato a Paul Freeman.

Nel cast compaiono, in piccoli cameo, il

responsabile degli effetti speciali

 Dennis Muren (che lavorerà ancora,

in futuro, con Spielberg) nei panni della

spia nazista che insegue Indy in aereo

(sta leggendo la rivista Life) e il produttore 

Frank Marshall(regista di Alive e di Aracnofobia)

come pilota dell'Ala Volante tedesca.

DistribuzioneData di uscita

Esce nelle sale cinematografiche statunitensi 

il 12 giugno 1981 in 1 078 copie, mentre in

Italia per il 22 ottobre dello stesso anno.

Doppiaggio italiano

Il doppiaggio italiano originale venne diretto

da Renato Izzo su dialoghi di Alberto Piferi 

Letizia Giotti Miller.

Il 2 ottobre 2009 è stata trasmessa, per la

prima volta su Sky, una nuova versione

italiana del film con un nuovo doppiaggio

(affidato a Massimiliano Alto).

Questa versione è presente nelle nuove

edizioni in Blu-ray Disc del film, insieme

al doppiaggio originale del 1981.

Accoglienza

Il film è stato il maggior incasso stagionale

negli Stati Uniti, con 209 562 121 $ (a fronte

di un costo di produzione di 18.000.000$),

eguagliando il miglior incasso dell'anno

precedente, L'Impero colpisce ancora

Distribuito nuovamente nelle sale il 16

luglio 1982, in una stagione dominata

dal successivo film di Spielberg, E.T. l'extra

-terrestre, ha incassato altri 21 437 879 $e

ha avuto un'ulteriore uscita il 25 marzo 1983,

per altri 11 374 454 $, raggiungendo un

incasso totale in patria di 242-245 milioni

di dollari, a seconda delle fonti.

A livello mondiale ha incassato complessivamente

384 140 454 $.

Critica

Su Rotten Tomatoes il film ha una percentuale

di gradimento del 94% con un voto medio di

9,2 su 10 basato su 71 recensioni.

Il National Board of Review l'ha inserito fra i 

migliori dieci film del 1981, ma come miglior film i

n assoluto sono stati preferiti ex aequo gli

altri due film sopracitati. Il New York Times

 lo ha inserito nella sua lista dei 1000

migliori film di sempre.

Nel 1998 l'American Film Institute l'ha inserito

al sessantesimo posto della classifica dei 

migliori cento film statunitensi di tutti i tempi, 

mentre dieci anni dopo, nella lista aggiornata,

è sceso al sessantaseiesimo posto.Nel 2001

l'ha inserito al 10º posto nella sua lista dei 

cento migliori film thriller statunitensi di tutti

i tempi (che comprende film d'azione, noir,

horror e di fantascienza).

Nel 1999 è stato scelto per la conservazione

nel National Film Registry della Biblioteca del

Congresso degli Stati Uniti.

 
 
 

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