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La macchina della solitudine

Post n°41 pubblicato il 06 Ottobre 2006 da frapeace
 

La macchina della solitudine

immaginePersonalmente non credo che certe strutture sociali trovino la loro origine nelle intenzioni di qualcuno, ma non ho dubbi che queste sussistono perché la loro esistenza fa comodo a molti.
Una di queste (permettetemi l’originalità della definizione) è la macchina della solitudine.
Sento l’esigenza di discuterne perché l’ho vissuta, anzi, l’ho subita di prima persona… Credetemi è un boccone troppo amaro per me, non riesco a mandarlo giù, non posso essere indifferente e lasciar correre… La mia coscienza non mi lascerebbe in pace… Mi sentirei colpevole di omissione!

Alla base del nostro vivere sociale c’è un contratto implicito (tradizioni, usi costumi ma anche pregiudizi e superstizioni) ed uno esplicito (ad esempio quello dell’apparato legislativo).
In questo intervento vorrei affrontare il primo caso, cioè quello delle regole non scritte anche se (un esperto di diritto potrà dire qualcosa in più di me) è sbagliato considerare i due ambiti separati, fra di essi, infatti esistono molteplici relazioni.
Se una persona vuole vivere tranquilla deve stare alle regole di ambedue i sistemi, per quanto alcune di esse alla luce di una ragione purificata possano sembrare assurde e persino dannose. La persona che non rientra nei canoni tende ad essere emarginata anche quando non risulta un pericolo immediato per la società, in quanto ciò che è inusuale, di per se, genera diffidenza. Chi trasgredisce è un pericolo per l’equilibrio della società. Così si attiva la macchina dell’emarginazione.

Certo esistono diversi gradi intermedi fra la “normalità” e lo stato di emarginazione vera e propria. Quando una persona comincia a sentirsi messa da parte viene innescato un processo che genera disistima, la quale, come possiamo facilmente immaginare, se non viene arginata da un adeguata reazione della vittima, rischia di degenerare fino a diventare una forma di vero e proprio odio verso la propria esistenza! Chi possiede una bassa stima di se non bada più alla sua immagine, non pensa a curare la qualità delle proprie relazioni, anzi esse peggiorano sempre più così che la vittima di questa “macchina” diventa sempre più emarginata.

I freni psicologici che una persona “normale” pone alle proprie pulsioni “negative” per mantenere e migliorare la qualità della vita sociale sono in queste persone allentati. Ciò, come è facile intuire può spingere questi individui a diventere pericolosi, in tutti sensi: verso di se, quando l’odio della propria vita rimane legato al propria persona, verso gli altri quando esso è proiettato all’esterno. Così la macchina della solitudine genera morte e finisce col punire chi la mette in moto… come fare a fermarla?

 
 
 
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Data di creazione: 20/07/2006
 

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