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Post N° 23

Post n°23 pubblicato il 17 Febbraio 2007 da giornalewolf
 

La tela del mediterraneo

Clementina Gily

Martedì 28 febbraio all’Istituto per gli studi filosofici alle 16.30 l’incontro sulla storia delle donne, presieduto dal sindaco Iervolino e moderato da E. Basile, con la partecipazione di M. De Divitiis, D. Nadaro, L. Bossa, N. Gambilongo., R. De Longis, A. Spinelli, R. Nicodemo, D. De Negri e Mauro Giancaspro.

Il parterre è, come si vede, molto interessante. Lascia sperare che, insieme alla memoria ed alla storia, la discussione si attivi non solo sulla necessaria costituzione della coscienza della differenza, troppo spesso cancellata dalla storia; ma anche sulla possibilità di azione e di presenza che la storia conferisce nel presente. I due aspetti non sono mai disgiunti, solo la costanza nella coscienza di sé dona la capacità di proiettare nell’azione un effetto di durata e di capacità, quale quello che le donne orami dimostrano, ad onta dei meccanismi elettorali che tendono a rarefare la rappresentanza politica di genere femminile.

La qualità delle persone riunite in questa occasione mostra quante potenzialità vengono dallo studio sulla coscienza di sé al femminile che il 900 ha prodotto: la presenza di studiose che lavorano negli Archivi, nella Società delle Storiche, nella Rivista Mediterranea, del Direttore della Biblioteca Nazionale di Napoli e di molte Donne Politiche eminenti sulla scena napoletana converge nel sottolineare la rilevanza del lavoro della differenza e le potenzialità future di essa.

In questo numero di Wolf si pubblica anche l’invito all’incontro Più donne per la democrazia, del 19 febbraio, che costruisce l’altra faccia del problema di questa presenza ed azione femminile – come cioè riuscire a costruire una rete d’azione solida, capace di dare al lavoro fatto dalla coscienza femminile di emergere allo scoperto come una risorsa della società. Si parlerà anche di quote rosa, perché questa direzione di battaglia, strategica, non ideale, si presenta come un mezzo per abbattere i solidarismi del genere maschile volti a costruire amministrazioni di potere in cui le donne non riescono a superare la cordata degli interessi che vengono loro contrapposti.

Poniamo in relazione le due diverse manifestazioni, due momenti e tesi diverse, proprio per sottolineare come il problema della rappresentanza femminile abbia in realtà questi due fronti che non  giova unire.

L’aspetto teorico e quello pratico vanno talvolta distinti, com’è appunto il caso delle quote rosa: indifendibili dal punto di vista teorico, visto che l’esser donna di per sé non può essere una discriminazione, né in negativo né in positivo; sono invece una strategia da meditare sul piano della realtà storica, dove vale una logica diversa, ch’è quella dell’azione.

Come in una guerra, come in ogni contrapposizione, come in ogni gioco agonistico, la verità che siamo tutti fratelli e che tutti siamo eguali, non ha senso, vale solo ad indebolire la capacità di entrare nel gioco delle regole – che sono quelle sole valide nella parentesi di gioco, dove solo quelle determinate regole valgono alla vittoria in quel gioco, e quindi vanno prescelte e messe a punto con la stessa solerzia con cui si studia e si approfondisce.

 Senza chiedersi se siano vere – non sono vere, sono regole di gioco.

Questo non rende obbligatorie le quote rosa, per cui, pure, personalmente prendiamo posizione, dopo aver riscontrato nei numeri degli eletti la presenza di una conventio ad escludendum indegna di una società civile. Si tratta comunque di strategie da discutere insieme per operare delle scelte.

E’ invece indispensabile che la trattazione di questi temi rispetti un minimo di logica e vada a costruire la differenza non solo nel senso negativo del chiarire quel che non siamo, ma anche quel che siamo. Cioè costruttive, capaci di guidare gruppi e di accettare le regole che valgono in essi, servendocene per indirizzarci alla vittoria, personale e di gruppo. Questa, non è logica maschile, è solo la logica del gioco del potere. Come tutti i giochi, si può decidere di giocare o di non giocare – ma se lo si fa, si fa per vincere, almeno nei giochi agonistici.

Si dirà che la politica non è solo un gioco agonistico, e per fortuna è così: ma lo è la competizione elettorale, se non la si vince, si manda sprecato il nostro brillante potenziale di coscienza e di capacità.      

 

 

 

 

 

 
 
 
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