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VERSO IL CONVEGNO DEL 7 MAGGIO

Post n°62 pubblicato il 27 Aprile 2007 da giornalewolf

Iniziamo in questo numero a pubblicare nella rubrica frames schede dei classici di scienza della comunicazione, atte a rendersi conto dei problemi della comunicazione di massa. Da Silverstone prendiamo note da una scheda preparata dalla redazione, che dà molti sono chiarimenti per capire la televisione, così normale nella nostra vita quotidiana che spesso tralasciamo di approfondire. I lettori possono farci sapere e discutere. Pubblicheremo.

Ma, in vista della giornata sull’etica della comunicazione preparata da Francesco Antonio Grana, di cui potete visionare la locandina nell’Agenda Culturale del nostro blog all’indirizzo

http://blog.libero.it/giornalewolf oppure cliccando sull’indirizzo a margine

http://digilander.libero.it/giornalewolf/incontrosulleticadellaacomunicazione.pdf,

vorremmo anche invitare ad approfondimenti, sui media di casa nostra e sul tema

dell’incontro.

Intanto, comincio a rompere il ghiaccio dicendo perché sembra così interessante questo incontro tra diverse componenti di pensiero, laici e religiosi (non in senso confessionale ma di tradizione culturale) a parlare di etica dei media. Pur essendo di formazione idealistica, quindi laica, scrissi un editoriale molto caldo sull’appello all’etica della comunicazione lanciato dalla Chiesa, perché non si tratta di un problema confessionale ma civile, che riguarda quindi tutte le forze interessate alla crescita della civilizzazione, interesse delle Chiese come della politica della legalità.

Si tratta di uno di quei problemi in cui solo larghe intese possono riuscire a chiarire un orizzonte di intervento, in cui gli schieramenti devono contare meno delle possibili soluzioni, una discussione ricca è capace di dare rilievo all’analisi ed alla prospettazione di soluzioni. Lo stesso modo di impostare la discussione, quindi, è interessante, perché descrive il percorso necessario al tema dell’etica della comunicazione.

Che è un problema aperto e non ha soluzioni facili. Molte sono le strade dell’analisi, tutte difficili da tradurre in quadri di azione politica. Teoricamente è facile citare autori illustri e approfondire tesi soddisfacenti: praticamente è l’impasse, non ci sono linee di intervento sui problemi concreti suggeriti dal mondo della comunicazione di massa.

È un mondo alla rovescia, in cui le morali tradizionali non hanno peso, sostituite dal dogma della spettacolarizzazione commerciale. Trovare un equilibrio tra la libertà di espressione e comunicazione, principio costituzionale delle nazioni liberal democratiche del mondo occidentale, e la diseducazione evidente offerta da tanti format, dove l’unica molla è l’esibizione e la volontà di scandalo spinta in avanti dall’audience che pare calamitata dal peggio: è davvero difficile.

Tanto che nessuno sinora è riuscito ad affermare una serie di principi e di regole che valgano come paradigma cui giornalisti e gente di spettacolo sappiano fare ricorso in modo efficace. È lo stesso stato della programmazione a dire chiaramente che questa luce non c’è, che nessuno la sa trovare, e anche chi abbia percorso le strade della scienza della comunicazione deve confermare che ci sono tanti spunti, tante idee interessanti, ma che un paradigma non c’è... il buon gusto… e non ce n’è molto in giro.

Siamo kuhnianamente in un’epoca di rivoluzione scientifica, molte tesi, molte analisi, poche conclusioni. Bisogna essere rassegnati al fatto che la soluzione bell’e fatta nessuno la nasconde nel cassetto. Le novità sono davvero troppe, si riaprono ad ogni momento le frontiere, mentre ci si adatta faticosamente alla De Filippi già compare Second Life con la sua vita ed economia parallela. Le possibilità del commercio nel campo dell’etica della comunicazione sono sconcertanti: mentre gli etici riflettono, si aprono tante strade al fluire del denaro che nulla e nessuno riesce a porre ordine nel caos.

Poche parole, e tante se ne potrebbero dire, tanti esempi si potrebbero fare: ma basta per dare l’idea del perché solo un discorso che comprenda gli uomini di buona volontà in un percorso comune può dare spazio al nuovo, può portare ad avanzare qualche progetto, qualche prospettiva che valga ad orientare questo nuovo mondo verso un equilibrio migliore del presente.

Il pensiero liberale, nel territorio, ha le mani legate. Il suo dogma del principio di libertà, nel commercio e nel diritto, gli vieta qualsiasi progetto d’intervento. Mentre il mondo della comunicazione influenza talmente la formazione dei cittadini che non è questa l’ottica giusta da cui guardare alla cosa. Parla, sia detto per inciso, un liberale d’anima, di formazione, di studi, l’unica autrice di una monografia su De Ruggiero, l’autore della Storia del liberalismo europeo ancora in libreria dal 1925.

Ma il dogma della libertà in questo caso è un freno. Tanto per seguitare nell’outing, dopo aver insegnato dieci anni Sociologia della Comunicazione di Massa sono passata alla Pedagogia: perché sono convinta che occorre nel campo della comunicazione di massa uno sguardo responsabile, preoccupato della formazione del cittadino e della legalità futura degli stati, che risulta al presente affidata ad una costituzione del senso comune affidata ai pubblicitari ed ai commercianti.

La discussione con chi ha il forte senso dell’etica della responsabilità è quindi un’occasione di riflessione e di maturazione, in cui forse il senso del problema può prendere una piega diversa e diventare capace di dare un’impostazione forte.

Quel che va comunque contrastata è l’ottica commerciale che domina tutte le comunicazioni di massa: che va sottoposta a regole. Perché la libertà che ha ispirato l’età contemporanea non è deregulation. È un principio etico, è dare all’uomo coscienza della sua dignità.

Non so se la dignità dell’uomo d’oggi si riduca al voyeurismo ed al culto del nudo e del gioco.

Clementina Gily 

 

 
 
 
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