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Tante piccole schegge di realtà. Uno sguardo disincantato sul mondo per cercare di conoscerlo e, se possibile, tentare di capirlo.

 

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« QUALCHE ESTATE FA...2° stepAmare senza essere amati? »

Benedetto Cipriani rischia la pena di morte....

Post n°486 pubblicato il 09 Luglio 2007 da review
 

MORATORIA DELLA
LA PENA DI MORTE.

MA L'ITALIA CHE FA?!
E Mastella che dice?!!

Benedetto Cipriani è accusato di omicidio dagli Usa e per questo rischia la pena di morte. L'Italia ha già deciso di estradarlo, ma adesso deve pronunciarsi il Consiglio di Stato.

Proprio mentre si candida a paladino della lotta contro la pena di morte nel mondo, l'Italia rischia di consegnare un proprio cittadino nelle mani del boia. E' quanto potrebbe accadere il 12 giugno prossimo, se il consiglio di Stato dovesse accettare il ricorso presentato dal ministro della Giustizia Clemente Mastella contro una sentenza con cui il Tar del Lazio ha bloccato l'estradizione negli Stati uniti di Benedetto Cipriani, 57 anni, accusato dalle autorità americane di essere il mandante di un triplice omicidio avvenuto nel 2003 nello stato del Connecticut, reato che potrebbe costare a Cipriani la pena capitale. Una decisione non scontata da parte del Guardasigilli, alla luce anche del divieto per l'Italia, stabilito nel 1996 dalla Corte costituzionale, di estradare una persona verso un paese in cui è in vigore la pena di morte. «Di certo il ministero non era obbligato a opporsi alle decisione del Tar», spiega il difensore di Cipriani, l'avvocato Alfredo Gaito. «Se non proprio di persecuzione, di certo possiamo parlare di un accanimento ingiustificato nei suoi confronti».
Secondo l'Avvocatura dello Stato, che ha presentato ricorso per conto del ministero della Giustizia, se processato Cipriani non rischierebbe la pena di morte, bensì una condanna a 60 anni di carcere. Un'ipotesi che non sta in piedi per la difesa, che sul caso Cipriani ha presentato un ricorso alla Corte dei diritti umani di Strasburgo che proprio nei giorni scorsi lo ha giudicato ammissibile.
A Ceccano, il paese in provincia di Frosinone dove vive con la madre, Cipriani attende con ansia di conoscere la decisione del Consiglio di Stato. Dopo aver passato tre anni in carcere, da pochi mesi è tornato libero ma ha l'obbligo di non lasciare il territorio comunale. Ogni giorno alle 12 si presenta nella caserma dei carabinieri del paese per apporre la sua firma sul registro delle presenze. «E' come essere ancora in carcere, solo che la cella è un po' più grande», spiega.
Negli Stati uniti, a New York, Cipriani ci arriva il 1 maggio del 1985 dove comincia a lavorare come consulente finanziario. Nel 2001 si trasferisce in Connecticut, a Windors Locks. Lì conosce una donna sposata, Shelley Stears, con la quale comincia una relazione. I suoi guai giudiziari cominciano invece il 31 luglio del 2003, quando nell'officina meccanica del marito di Rose, Robert Sears, si presentano tre portoricani: Miguel Castillo, 20 anni, Josè Guzman, 22 e Eric Martinez, 21. Nessuno conosce il vero motivo che spinge i tre giovani fino all'officina, se per una rapina o altro. Quello che si sa è che improvvisamente la situazione precipita. Secondo la polizia americana a un certo punto Guzman apre il fuoco contro Sears uccidendolo con un colpo alla testa. Con lui vengono uccisi anche due testimoni presenti nell'officina, Barry Rossi e Lome Steven.
Per la polizia di Windors Locks che indaga sul triplice omicidio, non ci vuole molto per scoprire la relazione tra la moglie di Sears e Benedetto Cipriani. «In realtà - spiega oggi Cipriani - la nostra storia era finita già da sei mesi.Il giorno del delitto poi io mi trovavo a New York per lavoro, cosa che ho potuto provare senza difficoltà. Nessuno mi disse non solo di essere indagato, ma neanche di essere sospettato per quel triplice omicidio», prosegue Cipriani. «Una volta gli agenti si presentarono a casa mia alle quattro del mattino, chiedendomi se potevano fare una perquisizione. Io non mi opposi, loro fecero un giro per la casa e poi andarono via. Senza problemi».
Per quanto drammatica, la storia per Cipriani potrebbe finire qui. E invece questo è solo il punto di inizio di una disavventura giudiziaria che prosegue ancora oggi. Nessuno, negli Stati uniti, muove formalmente nessuna accusa nei suoi confronti quindi ad agosto 2003 Cipriani, perso il suo lavoro da consulente finanziario, decide di tornare in Italia, a Ceccano, per assistere la madre malata. E è proprio qui che, su mandato delle autorità statunitensi, viene arrestato il 22 aprile del 2004. Cos'è successo nel frattempo che ha cambiato la sua posizione? E' successo che a dicembre del 2003 la polizia di New York ha arrestato un tossicodipendente, tale Velasquez, che con gli agenti afferma di conoscere i tre portoricani protagonisti della sparatoria nell'officina di Windsor Lock e di averli accompagnati in macchina, il giorno dopo il triplice omicidio in un supermercato della zona dove avrebbero dovuto ricevere 6 mila dollari. Alla richiesta di Martinez di sapere il perché di tanti soldi, i tre avrebbero risposto: «Siamo gli autori dell'omicidio di ieri». Una volta arrestati i tre avrebbero fatto il nome di Cipriani quale mandante.
Anche se non si capisce cosa collegherebbe Cipriani ai tre portoricani, per la polizia l'italiano è il mandante dell'omicidio. Un delitto compiuto per motivi passionali. Da qui la richiesta alle autorità italiane di arrestarlo, come poi è avvenuto, e di estradarlo negli Usa. Dal punto di vista giudiziario, quanto accade a Cipriani in Italia non è meno assurdo di quanto è accaduto negli Usa. Cipriani si trova nel carcere di Frosinone da undici mesi quando, il 24 marzo del 2005 la Corte d'Appello di Roma pronuncia sentenza favorevole alla sua estradizione negli Stati uniti e questo, come ricordato, nonostante nel 1996 la Consulta l'abbia vietata verso tutti i paesi in cui è in vigore la pena di morte. Un particolare che non sembra preoccupare più di tanto l'allora ministro della Giustizia, il leghista Roberto Castelli, che il 12 novembre dello stesso anno dà il via libera all'estradizione di Cipriani. Da parte di Cipriani e dei suoi legali comincia una schermaglia legale per impedire il trasferimento oltreoceano. Il 2 dicembre la sezione di Latina del Tar del Lazio, accogliendo un ricorso della difesa, blocca in via cautelare la consegna di Cipriani alle autorità americane, fino all'esaurimento di tutti i gradi delle giustizia italiana. Il motivo: i giudici non ritengono sufficienti le garanzie che le autorità americane potrebbero offrire (ma che, si badi bene, in concreto fino a oggi non si sono neppure sognati di avanzare) di non applicare la pena di morte nei confronti dell'imputato. l 23 giugno 2006 annulla il decreto ministeriale concessivo dell'estradizione. Nel frattempo Cipriani continua a restare in carcere, oltre tutti i termini previsti dalla legge, e vi resterà fino al 21 marzo scorso.
«A questo punto, con la decisione del Tar, la vicenda avrebbe potuto e dovuto concludersi. E Cipriani potrebbe essere processato in Italia per i reati asseritamente commessi all'estero», ricorda l'avvocato Gaito. Cioè per l'accusa di triplice omicidio; e, come chiede lui stesso, Cipriani a norma di legge potrebbe poi scontare qui da noi l'eventuale condanna. Invece non è così. Infatti nonostante il cambio di governo per Cipriani le cose non cambiano. Il nuovo ministro della Giustizia Clemente Mastella, subentrato a Castelli, non sembra interessarsi molto alla vicenda di Cipriani. E così anziché rallegrarsi di poterlo processare in Italia, a sorpresa decide di appellarsi al Consiglio di Stato contro la decisione del Tar, riaprendo per Cipriani la possibilità di finire nel braccio della morte. E alimentando, di fatto, un'anomalia messa in evidenza, proprio per quanto riguarda il caso Cipriani, dall'ex presidente della Consulta Giuliano Vassalli: quella di un ministro della Giustizia che scavalca la Corte costituzionale.
Il che - come ammoniva Giovanni Guareschi, che di persecuzioni se ne intendeva per averle subite sulla propria pelle durante il periodo bellico e nell'immediato dopoguerra - non è né bello, né istruttivo.  

Carlo Lania
Il Manifesto, 7 giugno 2007

 
 
 
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