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Myanmar

Post n°579 pubblicato il 05 Ottobre 2007 da review
 

Amnesty chiede il rilascio dei manifestanti arrestati

 
Dopo aver chiesto al Consiglio di sicurezza dell'Onu di imporre immediatamente un embargo totale e obbligatorio sulle armi a Myanmar, Amnesty International ha sollecitato oggi il Consiglio Onu dei diritti umani, convocato in sessione speciale, a pretendere dal governo di Myanmar/Birmania il rilascio di tutte le persone arrestate nel corso delle manifestazioni pacifiche degli ultimi giorni. Secondo quanto riporta l'agenzia Asianews nei giorni scorsi sono stati arrestati almeno 700 monaci e altre 500 persone in tutto il paese, ma fonti riportate dalla http://www.cdt.ch/interna.asp?idarticolo=tio353536&idtipo=2, parlano di circa 4000 monaci deportati nelle prigioni nel nord.

“Abbiamo chiesto al Consiglio dei diritti umani di condannare fermamente le gravi violazioni dei diritti umani in corso a Myanmar e di chiedere la cessazione immediata della repressione nei confronti dei dimostranti pacifici” – si legge nella
dichiarazione che Amnesty International ha presentato all’organismo dell'Onu. “Il governo di Myanmar deve dare conto di tutte le persone arrestate dalle sue forze di sicurezza, dall’esercito e dalla polizia. Non devono essere trattenute in centri segreti di detenzione e devono poter avere accesso ad avvocati indipendenti, medici e familiari. Il governo di Myanmar ha inoltre l’obbligo di far sapere dove si trovano e di cosa sono imputati gli arrestati nonché di garantire che non siano sottoposti a maltrattamenti e torture” - riporta la dichiarazione.

Secondo Amnesty International, il rischio che i manifestanti arrestati subiscano torture è elevato, data la persistenza di questo fenomeno da decenni, accompagnato dall’impunità più totale. L’organizzazione per i diritti umani continua a chiedere al governo di Myanmar di rilasciare tutti i prigionieri di coscienza, oltre 1150 prima dell’attuale crisi, insieme alle oltre 150 persone arrestate ad agosto, nei primi giorni di protesta, a meno che queste ultime non siano incriminate per un reato di accertata natura penale.

Amnesty International ha chiesto al Consiglio dei diritti umani di assicurare che il Relatore speciale sulla situazione dei diritti umani a Myanmar continui a svolgere il suo importante lavoro, visitando il paese e riferendo allo stesso Consiglio dei diritti umani, all’Assemblea generale e al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Infine, considerando la situazione stabilmente grave dei diritti umani a Myanmar, Amnesty International ha sottolineato che costituirebbe un segnale positivo di attenzione da parte dell’Onu se l’Alto commissario per i diritti umani Louise Arbour visitasse il paese.

Prosegue intanto la raccolta di firme promossa dalla Sezione Italiana di Amnesty International con
l’appello per la scarcerazione dei manifestanti arrestati nei giorni scorsi che ha già raccolto oltre 35.000 adesioni. E domani, mercoledì 3 ottobre, si terrà una nuova manifestazione di Amnesty International per chiedere il rispetto dei diritti umani a Myanmar: l’appuntamento è a Napoli, in piazza del Gesù, a partire dalle 17.30.

Amnesty International chiede un embargo internazionale sulle armi a Myanmar

 Di fronte all’aumento del numero dei morti e dei feriti e degli arresti di massa di manifestanti pacifici, Amnesty International ha chiesto oggi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di imporre immediatamente un embargo totale e obbligatorio sulle armi a Myanmar.

L’organizzazione per i diritti umani ha anche sollecitato i principali fornitori di armi a Myanmar, in particolare Cina e India ma anche Russia, Serbia, Ucraina e i paesi dell’Asean, a proibire il coinvolgimento di proprie agenzie, compagnie e singole persone nella fornitura, diretta o indiretta, di materiale militare e di sicurezza, munizioni e consulenza, compresi i trasferimenti che vengono definiti “non letali”.

“Alla giunta militare di Myanmar deve arrivare urgentemente un messaggio inequivoco: la brutale repressione delle manifestazioni e il crescente uso della forza eccessiva non saranno tollerati né alimentati in alcun modo dalla comunità internazionale” – ha dichiarato Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International.

Mentre le fonti ufficiali parlano di nove persone morte, Amnesty International teme che il numero effettivo delle vittime possa essere più alto. Nell’ultima settimana, le forze di sicurezza di Myanmar hanno picchiato, arrestato e ucciso i manifestanti, fatto irruzione nei monasteri e lanciato gas lacrimogeni sulla folla. Nella sola Yangon, si ritiene siano state arrestate almeno 1000 persone. Vi è il grande rischio che la violenza dell’esercito possa aumentare di fronte alle continue manifestazioni in favore di riforme democratiche.

“È inaccettabile che gli Stati continuino a fornire armi a un governo già responsabile di gravi e continue violazioni dei diritti umani e che ora ricorre alla violenza contro manifestanti pacifici” – ha proseguito Khan. “L’embargo che sollecitiamo dovrà rimanere in vigore fino a quando il governo di Myanmar non avrà preso misure concrete per proteggere i diritti umani e rilasciato tutti i prigionieri di coscienza”.

Inoltre, l’embargo che l’Unione europea (Ue) e gli Usa hanno imposto, rispettivamente nel 1988 e nel 1993, sulle forniture dirette e indirette di materiale militare a Myanmar, dovrà essere rigorosamente sorvegliato.

A Myanmar le manifestazioni continuano, in un contesto di gravi e massicce violazioni dei diritti umani ampiamente diffuse già prima dell’attuale crisi: le esecuzioni extragiudiziali; la tortura, ampiamente praticata in carcere; la prolungata detenzione di oltre 1160 prigionieri politici e quella di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace, e di altre figure di primo piano dell’opposizione; la soppressione della libertà d’espressione in tutto il paese; il ricorso ai lavori forzati; l’arruolamento dei bambini soldato nelle forze armate; le operazioni militari nell’est dello Stato di Kayin (Karen), che secondo il diritto internazionale costituiscono crimini contro l’umanità. Le autorità di Myanmar continuano a negare l’accesso in buona parte del paese agli osservatori indipendenti e alle organizzazioni internazionali per i diritti umani.

Ulteriori informazioni sui trasferimenti di armi:

Cina

Dal 1988, Pechino ha fornito a Myanmar un vasto campionario di materiale militare: veicoli blindati, carri armati, armi anti-carro, armi anti-aeree, aerei e obici. La Cina non informa con regolarità le Nazioni Unite su questi trasferimenti.

India

Nel gennaio 2007 il ministro degli Esteri indiano ha promesso di dare una “risposta favorevole” alla richiesta del governo di Myanmar di equipaggiamento militare. Ad aprile, le forze armate dei due paesi hanno effettuato esercitazioni congiunte. Secondo le fonti a disposizione di Amnesty International, l’India ha dato l’ok al trasferimento di materiale pesante, come carri armati, aerei, artiglieria pesante, radar, armi leggere e l’Advanced Light Helicopter, che probabilmente contiene componenti, tecnologia e munizioni provenienti da Stati membri dell’Ue e dagli Usa.

Federazione Russa

Nel 2007, Mosca ha comunicato alle Nazioni Unite che l’anno prima aveva esportato a Myanmar 100 sistemi di artiglieria di grande calibro. Tra il 2001 e il 2002, la Russia aveva fornito a Myanmar 14 aerei da combattimento. Nell’ottobre 2006, l’azienda che produce gli aerei militari Mig ha aperto un proprio ufficio di rappresentanza nel paese.

Serbia

Secondo i dati forniti dagli uffici delle dogane, tra il 2004 e il 2006 Belgrado ha fornito a Myanmar grandi quantità di armi e munizioni.

Ucraina

Nell’aprile 2004 l’industria bellica statale UkrpetsExport ha sottoscritto un contratto decennale per la fornitura di 1000 veicoli corazzati da assemblare a Myanmar. Lo stesso anno Kiev ha comunicato alle Nazioni Unite di aver esportato, l’anno precedente, 10 veicoli da combattimento BTR-3U e 10 missili R-27.

 
 
 
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