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Tante piccole schegge di realtà. Uno sguardo disincantato sul mondo per cercare di conoscerlo e, se possibile, tentare di capirlo.

 

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GENITORI E FIGLI

Post n°1060 pubblicato il 18 Marzo 2009 da review
 

 

 

Non esiste nessuna relazione umana che sia più profonda di quella che unisce genitori e figli, eppure non c’è, forse, al mondo nessun conflitto che sia più drammatico di quello , eterno, tra generazioni.

E di questo conflitto una delle testimonianza più esemplari è rappresentata dalla confessione che Franz Kafka  affidò alle celebri pagine di “Lettera al padre”. Il padre, l’uomo dell’autorità, dell’azione pratica ed efficace cui tutto, anche la vita presente, va sacrificato; il figlio, che chiede comprensione per le attività “infantili” (la lettura, e più tardi la letteratura), che costituiscono l’essenza del suo essere, ma che il padre non accetta in nome del perseguimento del vero scopo della vita, la costruzione di un avvenire solido e sicuro.
Franz Kafka voleva intitolare tutta la sua opera “Tentativi di evasione dalla sfera paterna”, e  se i “tentativi” del grande scrittore praghese sono andati a buon fine è proprio grazie alla funzione catartica di quella disciplina, la letteratura, che proprio suo padre tendeva ad ostacolare. Ma che riguardi uomini di genio come Kafka, o noi comuni mortali, l’evasione dalla sfera familiare è possibile solo al prezzo che tutti noi conosciamo: le ferite che, loro malgrado, i figli devono infliggere ai loro genitori.
Ma perché deve succedere questo? Perché ogni figlio "uccide" il proprio padre?
La risposta appare di una banalità sconcertante, ma è la risposta: perché i figli stanno coi genitori, ma non sono contemporanei dei genitori; essi vivono in un altro tempo, entro un’altra società, con un’altra storia, che è lo loro storia.
I figli imparano più dai coetanei che dalle rispettive famiglie: è la tremenda verità che la psicologa infantile Judith Rich Harris enunciò qualche anno fa in un libro che fece epoca: "Non è colpa dei genitori". Una rivelazione che colpì al cuore i papà e le mamme di tutto il mondo, svelando una realtà che decenni di teorie educative conservatrici avevano sottaciuto o relegato nel novero delle teorie bizzarre e antiscientifiche.
Non c’è dubbio che i principali fattori in grado di determinare la formazione della personalità di un individuo sono rappresentati dal  patrimonio genetico, dall’educazione familiare,dall’ambiente. Ma quanto realmente conta  ognuno di essi? Se stabilire delle percentuali è pressoché impossibile, una cosa è certa: l’educazione familiare incide molto meno di quanto si è sempre pensato.

Tanto per cominciare, la socializzazione del bambino non avviene quasi per niente attraverso  la famiglia. Quando il bambino cresce, il travaso di linguaggio, regole e comportamenti appresi dal gruppo si accentua. I  rapporti fra gli esseri umani sono determinati anzitutto dall’età, e, per i bambini,  i comportamenti derivanti dai contatti con i nuovi compagni riescono a soppiantare rapidamente anni di "imprinting" familiare, perché è dai coetanei che i bambini imparano il primo linguaggio “libero”, è con loro che fanno le prime esperienze su come creare e mantenere dei rapporti sociali. I bambini moderni imparano molte cose dai genitori, ma se la cultura della famiglia è in contrasto con quella dei compagni, è quasi sempre quest’ultima ad avere la meglio. I  nostri figli vogliono essere come i loro amici, non come le figure ideali che noi adulti proponiamo loro.

Purtroppo quello che viviamo è il  tempo delle ansie e dei rimorsi. Il senso di colpa per non aver dedicato sufficiente attenzione agli interessi dei bambini, sentimento che oggigiorno ossessiona i genitori e gli addetti alla loro cura, è in realtà un sentimento del tutto nuovo e particolare della nostra epoca moderna. Ma la cosa migliore che i genitori possano fare  è quella di frenare il più possibile  ansie e sensi di colpa, perchè è proprio è dimostrato che il compito di allevare i figli è risulta  facile e proficuo quando non si è troppo condizionati dalle preoccupazioni relative alla “costruzione” del loro futuro.
I bambini hanno bisogno di comprendere è come poter diventare membri competenti della società che frequentano,  e tale società, cioè il loro gruppo, ha linguaggi, cultura e regole proprie, che non coincidono quasi per niente con quelle in uso nel mondo degli adulti.
E, come sempre accade, l’intuizione poetica arriva prima delle scoperte della scienza. Kahlil Gibran ha anticipato la moderna psicologia infantile negli stupendi versetti del "Profeta", che racchiudono tutto il senso e tutto  il dramma del rapporto fra genitori e figli.

I vostri figli non sono figli vostri.
Sono figli e figlie della sete che la vita ha di se stessa.
Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi,
e benché vivano con voi non vi appartengono.
Potete donar loro l’amore, ma non i vostri pensieri:
essi hanno i loro pensieri.
Potete offrire rifugio ai loro corpi, ma non alle loro anime:
essi abitano la casa del domani,
che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno.
Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi:
la vita procede, e non s’attarda sul passato.

"I vostri figli non sono figli vostri…",  parole forti, dissacranti, ma vere, perché sono proprio i figli a scuotere le nostre certezze, le nostre pretese, la nostra incapacità di capire.

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Commenti al Post:
carmen46c
carmen46c il 18/03/09 alle 20:38 via WEB
Ciao Nino, ho letto la poesia in napoletano. Mamma mia, è stato difficile per me riuscire a leggerla , eppure a me viene facile leggere e capire il napoletano. Sai che davvero non lo sapevo che questa poesia non era di Neruda? A pensarci bene, anche se è bella e mi piace, si discosta molto dallo stile del celebre poeta.
 
 
review
review il 18/03/09 alle 21:13 via WEB
Il carattere che ho scelto rende la poesia poco leggibile anche dal punto di vista grafico. Avresti dovuto copiarla, incollarla in una pagina di Word e ingrandirla. Un abbraccio. Nino:-))
 
   
carmen46c
carmen46c il 19/03/09 alle 18:11 via WEB
Si Nino, io ho gia fatto tutto questo, credo che sia un napoletano antico e molto ricercato,forse un napoletano più da intellettuale, non saprei dirti, credimi, ho faticato a leggerla. Comunque anche in dialetto napoletano antico, è sempre bella, a me piace molto.
 
 
review
review il 19/03/09 alle 18:48 via WEB
Effettivamente è come tu dici. Si tratta di un napoletano "colto" e come tutti i linguaggi colti utilizza parole che sfuggono in gran parte all'uso comune. Un abbraccio. Nino:-))
 
princy.in.paris
princy.in.paris il 19/03/09 alle 10:04 via WEB
io do uno sguardo da punto di vista psicoanalitico. La presenza del padre nell'educazione è indispensabile per uno sviluppo sano ed equilibrato della persona e la crisi e il disorientamento dei giovani sono legati all'assenza dei padri. Le immagini di miti, fiabe e sogni ci aiutano a comprendere l'importanza del padre. Il mito greco di Edipo è molto noto, come altrettanto nota ne è l'interpretazione di Freud. Freud definisce fase edipica quel periodo della vita del bambino nel quale si forma il super-io e si interiorizzano i divieti morali. Per Freud il ruolo del padre è indispensabile affinché i figli escano dalla simbiosi con la madre; il padre deve iniziare il figlio al mondo dei valori attraverso un processo di identificazione il bimbo pensa e, talvolta, dice: "voglio diventare come papà". Se viene meno la presenza del padre, il figlio viene riassorbito nell'inconscio, nel non senso. Il padre però, per svolgere questa sua funzione di guida e di apertura al mondo dei valori, deve saper dire i no che fanno crescere e contribuisce in modo determinante e con un ruolo insostituibile a creare quel giusto rapporto con le regole che non vanno assolutamente violate e con lo spazio di libertà che va concesso in base all'età del figlio. Il padre deve esercitare quel ruolo di separazione anche con la figlia. I figli,e qui concordo con te, non sono nostri, hanno un percorso di maturazione e di formazione del sé da realizzare, un disegno che né il padre, né la madre possono tracciare questo richiede un grande sacrificio da parte dei genitori. Bisogna guidare e accompagnare per mano il figlio finché non sia in grado di camminare da solo e poi "seguirlo" lasciando che talvolta cada, aiutandolo a rialzarsi e sostenendolo nel cammino. Ma secondo me l'educazione è essenziale. I miei con me ci sono riusciti. Io non sono come loro, sono diversa, e non mi vergogno a dirlo anche su un piano mentale e per quanto riguarda il linguaggio. Premetto poi che mio padre ha 50 anni e mamma 45, quindi sono giovanissimi. Ma se non mi avessero imposto questo tipo di educazione io sicuramente sarei diversa. Forse, anzi sicuramente peggiore. Un saluto al mio proff!
 
 
review
review il 19/03/09 alle 11:14 via WEB
Carissima Jessy, apprezzo moltissimo il tuo preambolo di taglio psicanalitico, necessario e indispensabile, ma che io non avrei mai potuto pensare di d collocare in un post già di per sè lungo e "pesante" e, quindi, ineluttabilmente destinato a non essere letto, perchè le persone preferiscono messaggi brevissimi, citazioni di aforismi, ormai tanto comuni, quanto altrettanto banali, pubblicazione di una sola immagine con,magari, da qualche monodillabo più o meno criptico, una pesia senza nessun commento, un video....I post articolati e complessi che costringono a pensare e, soprattutto, ad argomentare una risposta. piuttosto che a cavarsela con un "buongiorno" o "buonasera", questi post sono destinati a non venire letti. A me, naturalmente, la cosa non interessa affatto e mi fa piacere anche un solo commento purchè sia pertinente all'argomento del post. Quindi concordo con tutta la tua parte introduttiva, e non potrei non farlo. Concordo anche con tutto ciò che segue e, in particolare mi ha interessato ciò che tu dici dei tuoi genitori e di te per come sei e per come saresti stata se, magari, i tuoi genitori avessero agito diversamente. Devo, tuttavia, precisare che i tuoi genitori, appartenenti alla generazione dei cinquantenni, hanno potuto godere ancora di un certo "ascolto" presso i loro figlioli, cosa che oggi risulta molto più problematica perchè oggi i tempi sono molto, ma molto diversi. Ripeto e sottolineo:"Per cominciare, la socializzazione del bambino non avviene quasi per niente attraverso la famiglia. Quando il bambino cresce, il travaso di linguaggio, regole e comportamenti appresi dal gruppo si accentua. I rapporti fra gli esseri umani sono determinati anzitutto dall’età, e, per i bambini, i comportamenti derivanti dai contatti con i nuovi compagni riescono a soppiantare rapidamente anni di "imprinting" familiare, perché è dai coetanei che i bambini imparano il primo linguaggio “libero”, è con loro che fanno le prime esperienze su come creare e mantenere dei rapporti sociali. I bambini moderni imparano molte cose dai genitori, ma se la cultura della famiglia è in contrasto con quella dei compagni, è quasi sempre quest’ultima ad avere la meglio. I nostri figli vogliono essere come i loro amici, non come le figure ideali che noi adulti proponiamo loro." Compito improbo e arduo (non voglio nemmeno lontanamente pensarlo impossibile), quello dei poveri genitori delle ultimissime generazioni. Un abbraccio grande con affetto. Nino:-))
 
   
valerio.sampieri
valerio.sampieri il 19/03/09 alle 11:43 via WEB
Qualcosa, nella parte iniziale del tuo commento, mi dice che potrei anche farmi crescere la coda di paglia... Il maggior problema, per tornare al post, è che nessuno di noi nasce genitore e, per di più, l'involuzione (io la colgo così, almeno) della società è avvenuta in modo forse troppo rapido, anche per il concorso del conformismo che non esito a definire di stampo totalitario, successivo al 1968, per abbattere valori che invece, grazie al Cielo, continuano ad esistere imperterriti. Non so spiegarmi altrimenti le contraddizioni di una gran parte della società che sostiene la giustezza della frase "I vostri figli non sono figli vostri" e nello stesso tempo considera addirittura un eroe un padre che fa il diavolo a quattro per far ammazzare la figlia. Non nascondiamoci dietro ad un dito ed a sofismi: questo e non altro è il dato di fatto nudo e crudo. Probabilmente la frase in questione non ha valenza univoca, ma nel contesto da te citato mi sento di condividerla quasi del tutto. Un unico dubbio mi sorge in merito alla seconda proposizione di "Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi". Farli o tentare di farli? Sarà una mia fisima, ma io vedo una notevole differenza concettuale. A costo di farmi porre da te in lista nera, per le scemenze che non riesco a trattenere, vorrei concludere con un insegnamento che non manco mai di impartire ai miei figli: "Non vi lascerò ricchezze, ma solo il mio esempio: non seguitelo!". Buona giornata, Nino. Valerio
 
     
review
review il 19/03/09 alle 15:36 via WEB
Caro Valerio, se in questo momento ci trovassimo insieme a passeggiare su e giù per il Pincio, o seduti al tavolo di una tranquilla osteria dei Castelli Romani, davanti a una invitante porchetta di Ariccia, ad un profumatissimo pane di Lariano, il tutto generosamente innaffiato con dell'ottimo Frascati, allora potremmo conversare a lungo e piacevolmente, sulle mie e sulle tue considerazioni. Purtroppo spazio e tempo sono tiranni e posso solo approfittarne per la tua straordinaria "uscita di scena" conclusiva:"Non vi lascerò ricchezze, ma solo il mio esempio: non seguitelo", per altro "duplicato" da una tua risposta a "card.napellus", nel tuo ultimo post, che, prima o poi, mi darò da fare per leggere meglio e adeguatamente commentare.Aequo animo esto. A più tardi. Nino:-))
 
ellen_ellen
ellen_ellen il 19/03/09 alle 10:39 via WEB
Un abbraccio e buona giornata ... CLICCA
 
 
review
review il 19/03/09 alle 11:14 via WEB
Grazie Nelly. Non ricordavo che oggi fosse il 19 di marzo. Grazie di cuore, sei molto cara. Un abbraccio. Nino:-))
 
SoBBona
SoBBona il 19/03/09 alle 20:27 via WEB
Io non l'ho ancora ucciso il mio babbo...baci!
 
 
review
review il 19/03/09 alle 21:20 via WEB
Perfetto! Infatti a farlo, per Freud, sono i figli maschi: n abbraccio. Nino:-))
 
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