Creato da ambroseb il 12/10/2007

Il Lampione

"far lume a chi brancola nelle tenebre"

 

 

Televisione, proroghe, regali

Post n°25 pubblicato il 05 Dicembre 2007 da ambroseb
 

Vi ricordate il tanto vituperato programma dell’Unione alle elezioni politiche del 2006? Si, quel libricino di 281 pagine molto semplici che avrebbe dovuto essere la garanzia della tenuta della coalizione di centro-sinistra qualora avesse vinto le elezioni? Quel fondamentale testo aveva come titolo “Per il bene dell’Italia”. Il primo capitolo trattava de “Il valore delle Istituzioni Repubblicane”. A pagina 18 di esso c’era un paragrafo intitolato “Risolvere il conflitto d’interessi”. Nella premessa di quel miliare scritto così si enunciava: “Da quando Berlusconi è entrato in politica il conflitto di interessi ha costantemente segnato la vita pubblica italiana. Ogni settore dell’iniziativa di Governo è stato viziato dal conflitto di interessi: dall’informazione alle assicurazioni, dalle opere pubbliche alle società sportive. Un opaco intreccio tra politica e affari. Anche gli osservatori internazionali hanno segnalato, a più riprese, questa grave anomalia della democrazia italiana. Il governo (quello Berlusconi ndr) ha risposto con una legge-simulacro sul conflitto di interessi che concretamente non modifica nulla, lasciando che il conflitto di interessi venga affrontato con le estemporanee uscite di Berlusconi dal Consiglio dei Ministri al momento dell’ennesimo voto su questioni di suo personale interesse.” Si continuava formulando le proposte per risolvere il problema. “Dobbiamo quindi colmare una profonda lacuna, adeguando l’ordinamento italiano a quello di altre grandi democrazie occidentali, attraverso un modello di provata efficacia e di sicuro equilibrio che mira a prevenire l’insorgere di conflitti di interessi tra gli incarichi istituzionali (sia nazionali che locali) e l’esercizio diretto di attività professionali o imprenditoriali o il possesso di attività patrimoniali che possano confliggere con le funzioni di governo. Gli strumenti che utilizzeremo sono: la revisione del regime delle incompatibilità; l’istituzione di un’apposita autorità garante; l’obbligo di conferire le attività patrimoniali a un blind trust. Sarà fonte di conflitto di interessi il possesso, diretto o per interposta persona, di partecipazioni rilevanti in alcuni specifici settori economici nei quali tale possesso determina di norma e quasi inevitabilmente un condizionamento del libero svolgimento della funzione pubblica.
Finalmente avevamo sospirato, noi poveri elettori di centro-sinistra! Stavamo per seppellire il predominio del Cavaliere nell’intero panorama dell’informazione televisiva. C’era già stato il vergognoso editto bulgaro che cacciò dalla RAI Biagi, Santoro e Luttazzi. Lontani ci sembravano gli inciuci della bicamerale al sapor di crostata. Finalmente si intendeva metter mano ad una seria riforma del settore radio-televisivo che desse anche attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale, la
n. 420 del 1994, la quale aveva sancito il divieto ad uno stesso soggetto di irradiare più del 20% dei programmi televisivi su frequenze terrestri in ambito nazionale.

Comincia la storia infinita.
Il primo governo Prodi (strane coincidenze) approvò la legge n. 249 del 1997, cosiddetta legge Meccanico, che demandava all’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di fissare un termine transitorio per una valutazione di congruità tecnica dei tempi di passaggio al regime definitivo del digitale terrestre. L’Autorità, nel 2001, fissava tale termine nella data del 31 dicembre 2003. Nel novembre del 2002 si pronuncia ancora la Corte Costituzionale con la sentenza n. 466/2002. Essa sancisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 7, della legge n. 249/1997, (regime transitorio), nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine finale certo, e non prorogabile, che comunque non oltrepassasse il 31 dicembre 2003, entro il quale i programmi, irradiati dalle emittenti eccedenti i limiti di cui al comma 6 dello stesso art. 3, devono essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo. L’ultimo governo di centro-sinistra prima dell’era di Silvio II, quello presieduto da Giuliano Amato (ancora coincidenze), fa approvare la legge 20 marzo 2001, n. 66 che prevede che “Le trasmissioni televisive dei programmi e dei servizi multimediali su frequenze terrestri devono essere irradiate esclusivamente in tecnica digitale entro l'anno 2006.
Vabbene, avremo finito. Invece No. Stavolta interviene il governo Berlusconi che, con la legge
23 febbraio 2006 n. 51, proroga il termine (originariamente fissato come improrogabile nel 2003) al 2008.
Bene. O meglio, male. Ma almeno è finita. Stavolta noi poveri comunisti vogliamo risolvere il conflitto di interessi, introdurre elementi di competizione nel sistema televisivo, applicare una sentenza dell’Alta Corte vecchia di 13 anni! E finalmente io potrò finirla di occuparmi di televisione e tornare a studiare le norme del settore in cui lavoro, ossia quelle economiche.
Il primo dicembre 2007 è entrata in vigore la legge 29 novembre 2007, n. 222 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, recante interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale". All’art. 16 ritrovo “Disposizioni in materia di sistema digitale terrestre” ed in particolare “4. All'articolo 2-bis, comma 5, del decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 2001, n. 66, come modificato dall'articolo 19, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51, le parole: «entro l'anno 2008» sono sostituite dalle seguenti: «entro l'anno 2012»”.
Parafrasando l’assurdo bizantinismo legislativo si stabilisce che il passaggio della terza rete della Rai e di Rete 4 sul satellitare viene spostato al 2012. L’attuale maggioranza ha approvato, infilandolo in una legge che avrebbe dovuto recare
interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale, il quarto rinvio, addirittura di quattro anni (quindi il più lungo), garantendo all’universo Mediaset un quadriennio di incontrastata ed illegale esistenza nell’etere di Rete 4.

PS: Mi scuso con i lettori per l’eccessiva citazione di decreti, commi, leggi e leggine che hanno oltremodo appesantito la trattazione. Ma ho ritenuto opportuno dare una dettagliata rappresentazione di questo scandalo passato quasi inosservato. 

 
 
 

Parole, traduzioni, riflessioni

Post n°24 pubblicato il 03 Dicembre 2007 da ambroseb
 

Io vendo insulti”, confessava Ambrose Bierce in uno dei momenti, non rari, in cui il suo furore cinico si rivolgeva contro se stesso. Bierce, giornalista e scrittore fu una penna velenosissima; bersagli preferiti sono stati gli uomini, le istituzioni, le parole. Nella presentazione dell’edizione del “Dizionario del diavoloGuido Almansi scriveva: “La parole, ah, quelle poi arroccate nel vocabolario fonte screditata di ogni nefandezza, le parole fingono di essere strumenti di comunicazione mentre sono in realtà organi di mistificazione. Ogni nuova voce che si insinua in un già corrotto dizionario per arricchire la fraudolenza purulenta aggiunge nuove ipotesi di inganno, di gabbo, di imbroglio alla nostra lingua mendace. L’uomo non è un animale culturale: è una animale culturalmente perverso che non ha bisogno di mentire perché la lingua che lui adopera ha già mentito per lui”. Certo il giudizio di Almansi, presentando un libro che ha fatto della mistificazione della parola la sua ragione d’essere, è abbastanza paradossale. Ma le parole possono avere in sé davvero cariche esplosive di verità e di menzogne.
Si pensi, poi, alle traduzioni. A quanto si perde nel leggere testi tradotti che, nella versione originale avevano un’altra enfasi, carica, significato. Sempre riferendoci a Bierce, che aveva una passione per le frasi funebri si da scrivere il suo necrologio come prima cosa quando entrava in un giornale, una volta compose l’epitaffio funebre del direttore del suo giornale. Approfittando della sinonimia tra il verbo “to lie”= mentire e “to lie”= giacere, Bierce così scrisse: “Here lies Frank Pixley, as usual”, cioè “Qui giace/mente Frank Pixley, come sempre”. Egli aveva accusato quel direttore di non aver tenuto fede ad una promessa di matrimonio. Si lasciarono presto e non diventarono mai amici. Chiudiamo con Bierce riportando la mia voce preferita del dizionario, anch’essa straordinario esempio di utilizzo sintetico di alcune parole per esprimere un giudizio. Pregare: “Pretendere che le leggi dell’universo vengano annullate a favore di un singolo postulante, il quale se ne confessa del tutto indegno”.
Si prenda un altro grande maneggiatore della parola: François de La Rochefoucauld. Nella traduzione delle sue stupende Massime a volte incorriamo in discrasie linguistiche. Consideriamo le parole “esprit” o “coeur”. La massima “Tutti coloro che conoscono il loro spirito non conoscono il loro cuore” ci appare incisiva, plastica, diretta. Ma il particolare uso di spirito/esprit ci è estraneo; così come i cambiamenti subiti dalla parola cuore/coeur nel corso della sua storia più recente; il rischio è quello di confonderci e di leggere il cuore/coeur di La Rochefoucauld come se fosse il cuore/coeur dei romantici.
Concludiamo con un altro capolavoro della letteratura americana Moby Dick di Herman Melville. A proposito di una interessantissima dicotomia, l’autore si diverte a scherzare e paradossare tra destra e sinistra. A parte le infinite considerazioni che si sono sempre fatte tra tale distinzione, è curiosa quella posta in essere da Melville. Nel libro il profeta straccione Elia, mette in guardia Ismaele, che non ha ancora visto Achab. “Non l’avete ancora veduto?”. “No, non ancora. E’ malato, dicono, ma sta meglio è sarà di nuovo a posto (right) tra non molto”. “Di nuovo a posto tra non molto!” rise lo sconosciuto con un sorriso solennemente sprezzante. “Sentite: quando il capitano Achab sarà dritto (right) allora sarà dritto (right) anche il suo braccio sinistro, non prima”. Nella versione italiana il gioco di parole tra right e left va perduto: Pavese ne avverte con una nota a piè di pagina. Il linguaggio oscuro di Elia vuol dire che Achab sarà un uomo come gli altri quando la sinistra sarà diventata la destra.

 

 
 
 

Che differenza c'è tra politici e magistrati?

Post n°23 pubblicato il 29 Novembre 2007 da ambroseb
 

Ho sempre avuto un certa reticenza a parlare e scrivere di Beppe Grillo. Per la stima che ho sempre nutrito per il comico, per la fondatezza di alcune battaglie da lui condotte, con toni esilaranti, nel passato. Ma da quando il comico genovese è assurto al ruolo di guida spirituale della nazione nutro qualche perplessità a commentarne il pensiero.
Oggi Grillo nel suo Blog, che resta uno dei più letti d’Europa, commenta semplicisticamente l’apertura del procedimento disciplinare nei confronti di Clementina Forleo. Il 25 novembre, sempre dalle pagine del suo diario on line, ha sbeffeggiato, non so con quanto buon gusto, il Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano. Riprendiamone alcuni stralci: “Fa sonni profondi. Se nomini D’Alema/Unipol, Berlusconi/Mondadori o Mastella/Why Not ha un leggero trasalimento. Piccolo, piccolo. Impercettibile. Prende i sali e poi si riprende. Ai nomi di De Magistris e della Forleo però monita subito, senza tentennamenti”. Ed ancora: “Non serve un presidente da ospizio di garanzia dello status quo partitico”… “Il presidente va eletto dagli italiani, non dai nostri dipendenti”. A parte il fatto che sbeffeggiare una delle poche istituzioni sane del nostro disastroso paese non mi sembra il modo migliore per dare un contributo al suo miglioramento.
Volevo porre qualche domanda a Beppe Grillo. Ma se i parlamentari sono nostri dipendenti, i magistrati che sono? Gli “onorevoli” in Italia ne combinano una più di Bertoldo e ciò e sotto gli occhi di tutti. Ma si da anche il caso che alcuni di loro siano anche stati puniti per gli errori commessi. Alcuni con condanne; altri, prima dell’ignobile porcellum, con la bocciatura da parte degli elettori. Ma quanti magistrati hanno pagato per i loro errori? Possibile che non si possano muovere critiche all’intoccabile casta delle toghe, ne tanto meno punirle quando qualcuna sbaglia? Ma passiamo in rassegna alcuni casi di errori giudiziari eclatanti.

 

CLEMENTINA FORLEO

Leggo su la repubblica del 27 novembre che il Procuratore generale della Cassazione Mario Delli Priscoli ha promosso, nei confronti di Clementina Forleo (giudice per le indagini preliminari di Milano), l'azione disciplinare innanzi al Consiglio Superiore della Magistratura. Il procuratore ha mosso contestazioni molto pesanti in merito all’operato della Forleo sulle inchieste riguardanti le scalate bancarie. Nel avanzare tale richiesta il Pg parala di provvedimento "abnorme, eccessivo, non richiesto" contro D'Alema e Fassino per le intercettazioni sul caso Unipol; di "negligenza grave e inescusabile" commessa nell'aver richiesto alla Camera l'autorizzazione per parlamentari che non erano iscritti nel registro degli indagati; di comportamento che lede i doveri di "correttezza ed equilibrio" dovuti da un magistrato in ben due liti, prima con la polizia, poi coi carabinieri (fatto riguardante le vicende personali del gip). È sicuramente il capitolo sulle intercettazioni quello più duro nei confronti della Forleo. Delli Priscoli scrive che il gip, nel chiedere l'autorizzazione all'uso delle telefonate tra gli indagati Consorte e Ricucci e i parlamentari non indagati (i ds D'Alema, Fassino, Latorre, i forzisti Cicu e Comincioli), "ha violato gli obblighi di imparzialità, correttezza ed equilibrio". Secondo l'alto magistrato quello della Forleo è stato "un abnorme, non richiesto e ultroneo giudizio anticipato, espresso in termini perentori, fortemente connotati da accenti suggestivi e stigmatizzatori". Non solo. Si è trattato di una valutazione "non dovuta" perché la Forleo, mentre scriveva l'atto, "non esercitava la funzione di giudizio o di accusa". E per di più, soprattutto nel caso di Fassino e D'Alema, che il pg definisce "estranei al procedimento penale in quanto nessuna iniziativa era stata adottata dal pm", la Forleo li definisce "pronti e disponibili a fornire i loro supporti istituzionali in totale spregio delle regole dello Stato di diritto". Per quanto attiene allo scontro con alcuni rappresentanti delle forze dell’ordine, il giudice milanese ha richiesto ad alcuni ufficiali che venissero dati al suo avvocato alcuni atti dell'inchiesta sulla morte, avvenuta in un incidente stradale, dei suoi genitori. Erano "copie di cui né lei, né il suo difensore avevano diritto perché erano comunque atti coperti dal segreto investigativo". Lei reagisce con una battuta: "È la cronaca di un evento annunciato". E continua affermando che: “Il collega Imposimato, l'8 settembre, mi aveva convocato in un ristorante di Roma e mi aveva preannunciato pressioni su Delli Priscoli. O Imposimato aveva ragione o è un mago”.

Terrorismo internazionale. Il giudice Forleo ha spesso fatto parlare di se. Nel gennaio 2005 ha assolto tre estremisti islamici che l'Onu (non gli Usa, si badi bene) considerano pericolosi terroristi internazionali e reclutatori di kamikaze per l'Iraq. Nelle motivazioni della scandalosa ordinanza, il giudice Forleo riconosce che gli imputati "avevano come precipuo scopo il finanziamento, e più in generale il sostegno di strutture di addestramento paramilitare site in zone mediorientali, presumibilmente stanziate nel nord dell'Iraq". E anche che, a tal scopo "erano organizzati sia la raccolta e l'invio di somme di denaro, sia l'arruolamento di volontari, tutti stranieri e tutti di matrice islamico-fondamentalista". Ma "non risulta invece provato - aggiunge il giudice - che tali strutture paramilitari prevedessero la concreta programmazione di obiettivi trascendenti attività di guerriglia da innescare in detti (cioè in Iraq, ndr) o in altri prevedibili contesti bellici, e dunque incasellabili nell'ambito delle attività di tipo terroristico". Non solo. Il giudice Forleo ricorda alcune norme internazionali, nelle quali, in sostanza, si dice che in guerriglia le attività violente sono lecite, purchè non siano dirette a seminare terrore indiscriminato verso i civili.

Caso Tortora. Il giudice Forleo il 19 dicembre 1994 assolse dall'accusa di calunnia aggravata ai danni di Enzo Tortora, già morto da sei anni, il famigerato pentito Gianni Melluso. Il pentito che alcuni magistrati napoletani protessero fino all'inverosimile nonostante avesse avuto il programma di protezione più volte interrotto a causa della reiterazione di reati da delinquente comune, come la rapina a mano armata. Il capolavoro della Forleo, che assolse Melluso, si concretizza nell’affermare che esisteva una differenza tra la verità storica accertata dell'innocenza di Tortora e la verità processuale putativa del Melluso che in quell'ignobile intervista pubblicata da "Gente" riapriva sei anni dopo la morte di Enzo quel terribile capitolo di calunnie e di insulti. Capolavoro poi completato dall'allora sostituto procuratore generale della repubblica a Milano Elena Paciotti che due mesi dopo, il 24 febbraio del 1995, espresse parere negativo sull'istanza di riapertura del procedimento con queste parole: "l'assoluzione di Enzo Tortora con formula piena non è conseguenza della ritenuta falsità delle dichiarazioni di Giovanni Melluso e di altri chiamanti in correità, ma della ritenuta inidoneità delle stesse a costituire valida prova di accusa... Di qui la congruità rispetto al caso in esame del richiamo alla ovvia impossibilità di porre un'equazione tra assoluzione del chiamato in correità e la penale responsabilità per calunnia del chiamante".

 

ANCORA TORTORA

Enzo Tortora venne arrestato il 17 giugno 1983 con l’infamante accusa di associazione per delinquere di stampo camorristico finalizzata al traffico di stupefacenti.

Il sostituto procuratore della Repubblica che sosteneva l’accusa nei confronti di Enzo Tortora si chiama Felice Di Persia. La sentenza del primo troncone del processo alla Nuova Camorra Organizzata, depositata il 14 gennaio 1986 - Tribunale di Napoli, 10a sezione penale, ha condannato il celebre presentatore a 10 anni di carcere. Quel collegio era così composto: Luigi Sansone, Presidente; Gherardo Fiore, Giudice estensore; Orazio Dente Gattola, Giudice. Il 15 settembre 1986 Enzo Tortora viene assolto con formula piena dalla corte d’Appello di Napoli e i giudici smontarono le accuse rivolte dai comorristi, per i quali iniziò un processo per calunnia. Tortora sarà assolto definitivamente dalla Corte di Cassazione il 17 marzo 1988. Morì il 18 maggio 1988 stroncato da un cancro. Alla fine avrà scontato sette mesi di carcere.

Che fine hanno fatto questi magistrati?

Essi non pagarono mai per il male provocato, ma anzi fecero persino carriera in seno alla loro casta di intoccabili.

Il PM che sostenne l’accusa dott. Felice Di Persia fu persino  eletto al Consiglio Superiore della Magistratura, e divenne successivamente Procuratore Capo di Nocera Inferiore.

Il Presidente del colleggio, il dott. Luigi Sansone, divenne magistrato di cassazione.

L’estensore della sentenza il giudice Gherardo Fiore, celebre per aver scritto “Il Tortora ha infatti dimostrato di essere un individuo estremamente pericoloso, riuscendo a nascondere per anni in maniera egregia le sue losche attività ed il suo vero volto, quello di un cinico mercante di morte”, ha tranquillamente continuato la sua carriera di giudice in Corte d’Appello.

Il giudice a latere Orazio Dente Gattola è divenuto presidente di sezione del Tribunale di Torre Annunziata e un giurista di fama, celebre anche per aver scritto un saggio sul processo a Tommaso Moro, concludendolo con le celeberrime parole del politico inglese divenuto santo: “Dammi la grazia, Signore di non dare più ascolto alle voci del mondo egli si congedò dai suoi giudici augurando loro di trovarsi tutti insieme a far festa in Paradiso”.

Strano destino quello che accomuna tutti quei magistrati che hanno fatto oltraggi a Tortora o alla sua memoria: Vengono immediatamente protetti e coccolati e assurgono ai più alti livelli della categoria.

 
 
 

Omaggio ad un caro amico

Post n°21 pubblicato il 26 Novembre 2007 da ambroseb
 

Oggi è così che mi piace ricordarti, mio caro amico. Con la forza espressiva dei tuoi versi, con le parole scritte in omaggio ad un grande del passato. Nelle ultime righe della presentazione del libro è scritto: “E’ possibile che nella Ballata per un uomo vi sia ancora altro da vedere”. In un pomeriggio di inusitata tristezza mi piace rivederci il tuo sorriso ironicamente triste per le molte, tante, troppe ingiustizie subite.

 

Eri nell’immagine e nello stile
la negazione del potere
                      delicato e gentile
tenerezza ispiravi alla gente
serenità a chi era lontano da noi


ben misera cosa la politica priva di etica


ognuno assertiva il respiro morale
sotteso nella tua azione diuturna


fermezza non era per te mai arroganza


se il chicco dei grano caduto non muore
rimane sterile e inerte


chicco di grano maturo muorendo
hai generato una messe ricchissima

La luce si culla nell'azzurro
danzano cavalli nel verde

una gazza mi canta nel sangue
                      il cantico dei cantici

gli uccelli migratori non fanno più fatica

ad affrontare il lungo viaggio per nidificare

nei luoghi di partenza

i gabbiani non impazziscono tra le onde del mare

         per cercare cibo

i fenicotteri non trascinano più le lunghe gambe

         sulla terra

la ripugnante iena ha timore di cibarsi

         di carogne

                sei un ricordo

la gazzella sparita tra le nebbie di varedo

Testi e disegni tratti da Una Ballata per un uomo di Calogero Gueli, 1985.

 
 
 

Nuovo simbolo del Partito Democratico

Post n°20 pubblicato il 24 Novembre 2007 da ambroseb
 

Mercoledì 21 novembre il segretario del costituendo Partito Democratico Walter Veltroni ha presentato il simbolo del nuovo partito. “La 'P' verde e la 'D' bianca su uno sfondo rosso. Poi, sotto, la scritta 'Partito democratico' impreziosita da un ramoscello di ulivo. E' questo il nuovo simbolo del Pd, presentato presso lo Spazio Etoile in Piazza San Lorenzo in Lucina a Roma”.
Ecco le parole di Veltroni: «Un simbolo – ha esordito il segretario nazionale - racconta l'identità di un partito e di una comunità e io credo che questo simbolo ci rappresenti bene. E' un simbolo rivolto al futuro, di un partito che nasce per una Italia nuova ed assume su di se l'identità nazionale. Un’identità nazionale racchiusa nei tre colori che lo compongono, gli stessi che però vogliono ricordare anche le tre grandi tradizioni che stanno nel Pd: il verde dell'ambientalismo e del laicismo, il bianco dei cattolici democratici e il rosso della tradizione socialista e del mondo del lavoro».
A parte il commento estetico, che lascio ad ognuno coi propri gusti e le proprie peculiarità in fatto di immagini e di grafica. Appare evidente come, soprassedendo sul becero tentativo di richiamare coi colori le grandi tradizioni culturali riformiste, il simbolo sia una trasposizione semplicistico-espressiva del solito appiattimento delle culture, delle tradizioni e delle peculiarità dei soggetti politici. La nuova tendenza dell’attualità mediatica è quella di buttare a mare anni di elaborazioni, di lotte, di sedimentazioni delle radici politiche e sociali che hanno prima fatto nascere la Repubblica e poi contribuito alla costruzione di quel processo democratico che ci ha portato, oggi, ad entrare nel nuovo millennio evitando spinte golpiste, terrorismi, tentativi di cancellare intere culture politiche. L’assonanza espressiva coi simboli di Forza Italia e del Partito Liberale (sia nuovo che quello originario depositario del potere confindustriale più invadente) è troppo evidente ed è stata messa in luce in centinaia di blog che hanno evidenziato, spesso satiricamente, il tentativo di inseguire modelli che nulla c’entrano coi propositi che hanno fatto nascere il nuovo partito.
Strano anche l’aver relegato il simbolo dell’ulivo in posizione marginale ai piedi dell’immagine. L’Ulivo ha sempre rappresentato, per noi elettori di centrosinistra, l’unica novità di rilievo apparsa nel panorama politico da quindici anni a questa parte. L’idea che finalmente si siano riuscite a mettere insieme, con un sincretismo sinergico, la tradizione del socialismo democratico (discendente dal vecchio PCI) e del cattolicesimo democratico espressione della sinistra della DC; ha rappresentato per milioni di elettori la nuova speranza di costruire un nuovo soggetto riformista che riesca a contrastare l’egemonia mediatico-economica del cavaliere. Testimonianza né è sempre stata il maggior numero di voti che il simbolo dell’Ulivo ha sempre ottenuto rispetto alla somma dei partiti aderenti. Semplice evidenza del fato che centinaia di migliaia di elettori si riconoscevano in un progetto politico senza esserne militanti dei partiti fondatori. Relegarlo quasi a conato del passato mi è sembrata una spinta tragico-modernista davvero di cattivo gusto.
Così come il tentativo operato da Veltroni di innestare elementi tipo parademocrazia americana in un sistema rappresentativo come quello italiano che affonda le proprie radici nella tradizioni dei grandi partiti di massa di stampo europeo. “…l’America è lontana…” diceva una vecchia battuta; ed meglio che ci rimanga! Si potrebbe aggiungere.
Altra cosa che, secondo me, fa parecchio discutere è la modalità con la quale si è arrivati alla elaborazione del simbolo. Lodevole l’idea di farlo realizzare ad un giovane grafico. Ma il Partito Democratico non doveva essere lo strumento della partecipazione popolare e della condivisione delle decisioni? Un concorso di idee; una consultazione che aprisse ai suggerimenti della base, un dibatto che avesse avvicinato i tanto amati cittadini citati, ad ogni piè sospinto, dal nostro segretario non sarebbero stati strumenti maggiormente efficaci e soprattutto più calzanti con lo spirito che ha portato tre milioni e mezzo di elettori a far nascere una nuova speranza per l’Italia?
Sono un elettore di centrosinistra ed un aderente al Partito democratico ma non ne condivido le prime mosse che lo stanno portando ad affacciarsi nel panorama politico. Neanche il centralismo democratico, di gramsciana memoria, ci avrebbe indotto ad innestare nel neonato soggetto politico elementi di verticismo e di decisionismo che non appartengono alle nostre radici culturali, al nostro vissuto e, spero, non apparterranno mai al nostro futuro.

 
 
 

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