Creato da AlvinKuntz il 31/10/2005
Un matematico che non abbia un po' del poeta, non può essere un perfetto Matematico... (K. Weierstrass)

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[b]La musica dell'infinito (Seconda parte) [\b]

Post n°11 pubblicato il 08 Ottobre 2006 da AlvinKuntz
 
Tag: Numeri

Abbiamo visto come i numeri naturali [b]N[\b] sono tanti quanti gli interi [b]Z[\b]. Possiamo quindi fare una piccola generalizzazione e dire che se di un'insieme numerico considero solo i positivi, poi posso riordinarli in modo che così poi li stia contando tutti (se i positivi sono tanti quanti quelli negativi, che è il caso dei razionali [b]Q[\b] e dei reali [b]R[\b]). Per contare i razionali, quindi, ci limiteremo ai razionali positivi.

Ma contare i razionali sembra molto più complicato: pensate solo al fatto che tra 0 e 1 ci sono infiniti numeri razionali, tutti belli addensati... quest'immagine ci farebbe pensare che i razionali siano di più dei reali... e invece no! Cantor ebbe un'idea geniale che ora è nota come "primo trucco diagonale di Cantor". Illo infatti dispose i razionali positivi nel seguente modo:

1 2 3 4 5 ...
1/2 2/2 3/2 4/2 5/2 ...
1/3 2/3 3/3 4/3 5/3 ...
1/4 2/4 3/4 4/4 5/4 ...
1/5 2/5 3/5 4/5 5/5 ...
.... .... .... .... .... ...

ossia immagino che fossero messi tutti su una griglia infinita. A essere precisi erano anche più di tutti, infatti alcuni sono contati più di una volta dato che, ad esempio 2=4/2 et-cetera. Ma tanto a lui non è che importasse gran ché. Solo che a questo punto li poteva riordinare per diagonale, ossia nel seguente modo:

1 1/2 2 1/3 2/2 3 1/4 2/3 3/2 4 1/5 2/4 3/3 4/2 5 ....

capito qual'è il trucco? così facendo dimostrò che i razionali, che sembrano essere infinitamente di più dei naturali, in realtà erano anche loro "numerabili".

(Fine seconda parte)

 
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La musica dell'infinito (Prima parte)

Post n°10 pubblicato il 13 Agosto 2006 da AlvinKuntz
 
Tag: Numeri

Per la serie "a volte ritornano", eccomi ancora qui a deliziarvi con un po' di bella matematica. Anzi, di più, questa è la teoria che m'ha fatto innamorare della matematica quando ero al liceo, perciò... Fin da bambini ci insegnano che i numeri sono infiniti. Addirittura, per chi lo ricorda, tempo fa, su questo bolg, riportai anche la dimostrazione del fatto che i soli numeri primi sono infiniti. Il discorso sembra parecchio scontato a noi, ma non lo era cento anni fa. E mi spiego. Anche cento anni fa sapevano che i numeri erano infiniti, ma non avevano ancora formalizzato la questione, che veniva sempre lasciata a margine: l'infinito spaventava, come secoli prima aveva spaventato lo zero. Un bel giorno però, un grande matematico cominciò a pensare che forse era ora di studiare la questione. Illo si chiamava Gerorge Cantor, e ad oggi è conosciuto come il "matematico dell'infinito". Partì da due semplici presupposti:

1) è possibile immaginare un insieme infinito

2) è possibile confrontare insiemi infiniti mediante applicazioni.

Per quanto riguarda la prima affermazione non c'è nulla da spiegare se non la necessità di farlo: infatti all'epoca si accettavano insiemi infiniti solo "in potenza" (per usare un'espressione aristotelica), ossia un infinito in divenire. Cantor aveva invece bisogno di insiemi di per se infiniti e non cose che, "andando avanti arrivi all'infinito"... La seconda affermazione sottointende un po' più di matematica: Cantor infatti voleva confrontare il tipo di infinito degli insiemi numerici nel seguente modo. Immaginate di vivere in un mondo in cui la gente sa contare solo fino a tre: n questo mondo bizzarro non è possibile contare le dita di una mano. d'altra parte chiunque capisce che le dita della mano destra sono tante quante le dita della mano sinistra, e questo semplicemente perché facendo corrispondere dito con dito, non c'è una mano con delle dita in più. Logico, no? Ebbene, Cantor pensò di estendere questo ragionamento agli insiemi infiniti: se esiste un'applicazione biunivoca tra due insiemi, allora questi avranno lo stesso numero di elementi, anche se non siamo in grado di contare effettivamente questo numero. Cominciamo con un caso facile. Prendiamo tutti i numeri naturali N e prendiamo il sottoinsieme di tutti i numeri pari e li facciamo corrispondere nel seguente modo: ad ogni numero naturale associamo il suo doppio:

1    2    3    4    5    6    ...    n    ...

|     |     |     |    |     |            |

2    4    6    8   10   12   ...   2n ...

Risulta del tutto evidente che si tratta di un'applicazione biunivoca dato che ad ogni naturale corrisponde univocamente il suo doppio e viceversa, ad ogni numero pari corrisponde univocamente la sua metà. Da questo segue che i numeri naturali sono tanti quanti i soli numeri pari (che se uno invece non ci fa caso sarebbe tentato naturalmente di dire che sono esattamente la metà). Cominciamo quindi a vedere come all'infinito succedano cose strane. Proviamo ora a confrontare gli interi (positivi e negativi) con i naturali. Per fare ciò dovremo semplicemente riordinare gli interi:

0    1   -1    2    -2    3    -3    4    -4 ...

Già vedendoli così si capisce facilmente che la corrispondenza l'abbiamo trovata: infondo, una volta riordinati sono messi come i naturali... no?

(fine prima parte)

 
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Quozienti... cominciamo a giocare!

Post n°9 pubblicato il 01 Febbraio 2006 da AlvinKuntz
 

Con le relazioni d'equivalenza, se ci si fa un po' caso, viene spontaneo il seguente ragionamento: in un insieme, definita una relazione d'equivalenza, posso pensare di raggruppare gli elementi in sottoinsiemi in modo tale che in ogni sottoinsieme ci siano gli elementi equivalenti fra loro...

E' un'idea piuttosto naturale. Questi sottoinsiemi si chiamano classi d'equivalenza. E ragioniamoci un po' su. In una classe d'equivalenza ci sono tutti e soli gli elementi equivalenti fra loro: non possono proprio essercene altri per come è definita una relazione d'equivalenza.

Nell'ultimo esempio dell'altra volta, per dire, avevamo visto come, se la relazione d'equivalenza è "due elementi sono equivalenti se danno lo stesso resto nella divisione per sette", 8 e 1 fossero equivalenti. In particolare, ora, possiamo dire che 8 e 1 sono nella stessa classe d'equivalenza, così come, in quella classe, ci sono 15, 22, 29 e così via. Questa classe la chiameremo 1, perché contiene gli elementi che danno resto 1. Allo stesso modo 2, 9, 16, 23, 30 eccetera saranno nella classe 2. E le due classi saranno disgiunte, ossia non hanno elementi comuni.

Infatti due classi d'equivalenza diverse, in generale, devono essere per forza disgiunte perché se per assurdo un elemento si trovasse in entrambe allora esso sarebbe equivalente a tutti gli elementi di entrambe le classi, ma per la proprietà transitiva, questo significherebbe che tutti gli elementi di entrambe le classi sarebbero equivalenti fra loro, e quindi che in realtà le due classi sarebbero una sola. (c.v.d.)

Notazione: Se X è un insieme non vuoto con una relazione d'equivalenza * e x è un elemento di X, chiameremo [x]* oppure x la classe d'equivalenza di x, ossia tutti gli elementi di X equivalenti a x.

A questo punto un altro passaggio abbastanza naturale è quello di "quozientare" l'insieme rispetto alla relazione d'equivalenza *. Ovvero in matematichese:

Dato un insieme X su cui è definita una relazione d'equivalenza *, il quoziente di X rispetto a * è

X/* = {[x]* al variare di x in X}

cioè l'insieme delle classi d'equivalenza.

Per tornare all'esempio di prima, il quoziente di Z (l'insieme dei numeri interi) rispetto alla relazione che abbiamo definito è dato da

{0, 1, 2, 3, 4, 5, 6}

e cioè tutti i possibili resti della divisione per 7.

 
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Le relazioni... in matematichese!

Post n°8 pubblicato il 24 Gennaio 2006 da AlvinKuntz
 

Chiedo perdono a tutti coloro che hanno a lungo atteso i miei sproloqui di matematica... purtroppo ho avuto qualche difficoltà di connessione per un certo periodo: ma sono tornata.

Dopo aver discusso di insiemi e applicazioni, un'altro concetto di base, fondamentale per qualsiasi tipo di studio successivo, sono le relazioni tra gli elementi di un insieme.

Dato un insieme qualunque, diremo che due suoi elementi sono in relazione tra loro se vale una certa proprietà definita dalla relazione stessa.

Ad esempio se la relazione è "essere maggiore di" nell'insieme dei numeri naturali, 5 è in relazione con 2, mentre 4 non è in relazione con 9 (dato che 4 non è, evidentemente, maggiore di 9).

Ovviamente ci possono essere relazini più o meno di tutti i tipi (infondo anche nella vita è così, e la matematica non è altro che un ennesimo specchio della vita...). Tanto perché siamo rigorosi, elenchiamo tutte le proprietà che può avere una relazione:

1) riflessiva: "ogni elemento è in relazione con sé stesso" (questa proprietà non è banale come sembra, pasta pensare all'esempio sopra... 4 non è maggiore di sé stesso...)

2) simmetrica: "se a è in relazione con b allora b è in relazione con a"

3) antisimmetrica: "se a è in  relazione con b allora b non è in relazione con a"

5) transitiva: "se a è in relazione con b e b è in relazione con c allora a è in relazione con c" (e chi non la ricorda dal liceo questa cosa?)

6) totale: "se a non è in relazione con b allora b è in relazione con a"

Le realzioni con cui si ha più spesso a che fare, ai fatti, sono sostanzialmente due:

le relazioni d'ordine: antisimmetriche, transitive e totali (per l'appunto l'esempio sopra).

le relazioni d'equivalenza: riflessive, simmetriche e transitive.

Un esempio di relazione d'equivalenza non banale è il seguente: "nell'insieme dei numeri interi, due elementi sono equivalenti se danno lo stesso resto nella divisione per 7". Perciò, ad esempio, 8 è equivalente ad 1.

 
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Applicazioni/Funzioni/Mappe/Corrispondenze... il concetto è lo stesso!

Post n°7 pubblicato il 25 Novembre 2005 da AlvinKuntz
 

Il concetto di applicazione è uno dei più importanti di tutta la matematica. Come possono essere fatte, quali proprietà conservano e in che senso (...): la matematica si basa essenzialmente su queste cose. Cerchiamo quindi di capire il concetto di base.

Come da titolo, questo è un concetto che ha molti nomi per non cambiando di una virgola la sostanza; noterete quindi che mi capiterà spesso di usare i vari nomi indistinatemente.

Dati due insiemi qualsiasi X, Y non vuoti, un'applicazione f da X a Y è una legge che lega tutti gli elementi di X con gli elementi di Y, e si scrive nel seguente modo:

f : X ------------> Y

    x |---------> f(x) = y

ad ogni elemento x di X corrisponde un elemento y di X.

Ad esempio consideriamo la seguente applicazione

f : N --------------> N

    x |-------------> f(x)=2x 

ovvero l'applicazione che fa corrispondere ad ogni numero naturale N = {1,2,3,4,5,....} il suo doppio. Quindi, ad esempio, f(3)=6.

Un'applicazione si dice "iniettiva" se ad elementi diversi di X corrispondono elementi diversi di Y o, in matematichese:

se  f(x) = f(x') => x = x'

che si legge:

"se effe di ics è uguale a ics primo, allora ics è uguale a ics primo"

Come controesempio, l'applicazione f(x)=x^2 non è iniettiva, perché f(2) = 4 = f(-2) ma, evidentemente, 2 è diverso da -2.

Un'applicazione si dice "suriettiva" se ogni elemento di Y è immagine di un qualche elemento di X o, in matematichese:

per ogni y in Y esiste x in X tale che f(x)=y

(ho provato a scriverlo in simboli ma non li accetta....)

Come controesempio, riportiamo l'applicazione f(x)=2x del primo esempio. Infatti 7 non è il doppio di nessun numero naturale, quindi l'applicazione non è iniettiva.

Un'applicazione si dice "biunivoca" o "biiettiva" se è sia iniettiva che suriettiva.

Osserviamo immediatamente che, se un'applicazione è biunivoca, allora gli elementi di X sono tanti quanti gli elementi di Y dato che c'è una corrispondenza uno-a-uno ossia, ad ogni elemento di X associo univocamente un elemento di Y e viceversa ogni elemento di Y è associato ad un solo elemento di X. Quest'osservazione, che a dir la verità sembra piuttosto ovvia, è in realtà di importanza cruciale nella teoria dell'infinito di Cantor (1845 - 1918)

 
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