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DA MOLTO NON SE NE PARLA PIU', MA LA "RIFORMA GELMINI", IN REALTA' E' PASSATA. NON HA PIU' SENSO RICHIAMARE UNA RACCOLTA DI FIRME (COME AL MIO POST #160, IN CUI NE RICHIAMAVO UNO DI  elena.c.q.d) . PERO', INVITO TUTTI COLORO CHE HANNO FIGLI, TUTTI QUELLI CHE SOGNANO UN MONDO MIGLIORE, TUTTI QUELLI CHE SANNO ANCORA PENSARE CON LA PROPRIA TESTA, A NON ABBASSARE LA GUARDIA E AD ESSERE PRONTI AD ANDARE IN PIAZZA PER SALVARE LA SCUOLA ITALIANA E, CON ESSA, IL NOSTRO FUTURO.
mgf70

 

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Inviato da andrea7770 il 26/05/08 @ 08:41 via WEB
MESSAGGIO IMPORTANTE Gli operatori delle ambulanze hanno segnalato che molto sovente, in occasione di incidenti stradali, i feriti hanno con loro un telefono portatile. Tuttavia, in occasione di interventi, non si sa chi contattare tra la lista interminabile dei numeri della rubrica. Gli operatori delle ambulanze hanno lanciato l'idea che ciascuno metta, nella lista dei suoi contatti, la persona da contattare in caso d'urgenza sotto uno pseudonimo predefinito. Lo pseudonimo internazionale conosciuto è ICE (=In Case of Emergency). E' sotto questo nome che bisognerebbe segnare il numero della persona da contattare utilizzabile dagli operatori delle ambulanze, dalla polizia, dai pompieri o dai primi soccorritori. In caso vi fossero più persone da contattare si può utilizzare ICE1, ICE2, ICE3, etc. Facile da fare, non costa niente e può essere molto utile. Se pensate che sia una buona idea, fate circolare il messaggio di modo che questo comportamento rientri nei comportamenti abituali.
 

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« TV e CapodannoAlla fine di questo giorno... »

CAPODANNO 1995

Post n°223 pubblicato il 01 Gennaio 2009 da mgf70
 

La luce del mattino, lo colse sul divano della grande casa, solo: tutti erano andati fuori per i festeggiamenti, lasciandolo in balia di quella mezza specie di castello.

Per terra la bottiglia di spumante vuota, senza bicchieri, gli rammentava la realtà, più delle immagini, senza audio, del televisore davanti: anche a Parigi, Londra, New York, Tokyo, Sidney, era il primo giorno dell’anno…

Infreddolito, frastornato e irritato, s’alzò, attraversò il salotto e salì le scale, per andare in camera sua, probabilmente con l’istinto di mettersi a letto e annullare la vista del mondo reale e, con esso, pensieri e freschi ricordi, ad esso legati. Ma, al tocco della maniglia, gelida, sentì che era meglio non entrare nella sua stanza e avvertì il bisogno di aria fresca.

Lasciata la porta aperta a metà, barcollò verso la stanza accanto e, tirata su la tapparella e spalancata la porta finestra, andò sul terrazzo: il cielo grigio negli occhi e l’aria fredda sul suo corpo, attraverso la sola camicia, lo fecero rabbrividire anche nell’animo. Eppure, il gelido respiro con cui pulì i polmoni, lo svuotarono di ogni recriminazione emotiva e lo restituirono alla lucida logica.

 

Guardò il panorama del Vallone dei Frati, ancora verde, ma sempre più macchiato dalle ville in costruzione. E guardò il convento alla sua destra e poi, girandosi, il giardino alle spalle: immagini abitudinarie, in quel momento colte con una luce nuova.

Capì che qualcosa era cambiato, assieme al nuovo anno, in lui. Probabilmente s’era rotto il precario equilibrio, tra il ragazzo sognatore e l’uomo programmatore, che aveva caratterizzato la sua relazione con Francesca. E ora stava rinascendo un po’ più cattivo, più cinico e indispettito nei confronti del mondo.

Distaccato da tutto, come un automa rientrò e tornò alla sua camera. Lì, lentamente e incurante del freddo che gli accapponava la pelle, si spogliò delle vesti e, camminò nudo, attraverso la grande casa vuota, sino al bagno. S’infilò sotto la doccia, regolandone la temperatura ad un livello insolitamente caldo, per lui.

Fece scorrere l’acqua a lungo, sul suo corpo, sentendosi aggredito e, nel contempo, purificato da quel calore. E pianse senza volontà, ma anche senza provare quel dolore che, la sera prima l’aveva fatto tornare a casa, con l’animo dilaniato, dal lavoro. E più ricordava se stesso ripetersi, la sera precedente, che l’avrebbe trovata davanti al cancello di casa, ad aspettarlo, mentre la macchina sbandava, per le strade vuote, per i singhiozzi asciutti con cui respirava, più copiosamente, ora, le lacrime si mischiavano all’acqua. Ovviamente, non l’aveva trovata dove sperava: all’ultimo, aveva preferito andare in montagna, con gli amici, che passarlo da sola con lui, come gli aveva promesso.

Era un ciclo che si concludeva, iniziato proprio il capodanno di due anni prima, il più felice della sua vita.

 

Dopo un tempo interminabile, l’acqua divenne via, via più fredda, per effetto dello svuotamento dello scaldabagno, sino a scendere gelida. Ma lui non se ne accorse; come pure, non s’accorse che anche le lacrime avevano cessato di uscire dai suoi occhi.

Un “botto” dell’immancabile cretino, sotto le mura del giardino, lo svegliò da quello stato di totale passività e gli fece chiudere l’acqua. Sentì le gocce scendere dai suoi folti capelli, lungo tutto il suo corpo e, improvvisamente, s’accorse d’essere vivo.

Afferrato l’accappatoio, lo indossò lentamente e, meccanicamente, prese a frizionarsi, per asciugarsi meglio. Con gli stessi gesti di ogni giorno, cominciò dalla testa, poi le braccia, il torace, il bacino e infine le gambe; ma non aveva i soliti pensieri, di orari, ritardi o impegni da affrontare.

Arrivato in camera, si gettò sul letto e, come se si fosse svegliato allora, cominciò la sua prima giornata del 1995, con nuove energia e la consapevolezza di anni addietro, che era un essere solo e destinato a restarlo perennemente, dentro di sé, qualunque strada avesse intrapreso.

E, ad ogni capodanno, si sarebbe ricordato della prima mattina di quell’anno.

 

 
Rispondi al commento:
CampanellinaDiPeter
CampanellinaDiPeter il 01/01/09 alle 20:24 via WEB
..ho capito il tuo buon proposito dell anno nuovo...quello di non rispondere più ai miei commenti....aahahaahah
 
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Un attimo, una stupida incomprensione, un attrito ridicolo e ogni motivo di serenità è già finito: non sembra svanita la passione; ma, appare perduta ogni volontà di comprendersi. Non più la voglia di starsi accanto, ma la tentazione d’offendersi, che diviene un muto schivarsi, tra le pareti domestiche…Anche da momenti banali, stupidi, può morire un rapporto.

A che serve, far l’amore con passione, con la voglia dell’altro, se poi ne subiamo il fastidio, nelle cose di tutti i giorni? Poi, si finisce di farlo per noia, o (peggio), per quella forma di “dovere”, insita nei comportamenti consolidati... Così, si finisce per sconfessare il proprio desiderio, arrivando a fare (o farsi) male, pur di annullarne l’identità, con la cosa bella, che conoscevamo.

 

 
 

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