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Post n°227 pubblicato il 07 Ottobre 2008 da donulissefrascali
POVERTA’ E GIUSTIZIA SOCIALE La povertà è una condizione di mancanza di risorse necessarie per raggiungere quel livello di vita che viene definito decoroso, tollerabile a lungo, senza grandi sacrifici, da un individuo, una famiglia, o da una classe della popolazione. La povertà è la forma più macroscopica di disuguaglianza. Oltre l'accusa di dichiarare disonorevole il povero da parte di varie persone contrarie, ogni tipo di povertà è riconducibile al fatto che a un determinato soggetto o a una popolazione non gli vengono offerte le opportunità di coprire i costi di una dignitosa sopravvivenza. A questo proposito si tratta di individui che sono occupati in modo precario e a reddito bassissimo e incerto. E’ questo un fenomeno strettamente collegato alla disorganizzazione sociale. Nelle società capitalistiche il reddito individuale è un mezzo per sfuggire alla povertà ed è più efficace che il sistema assistenziale e previdenziale pubblico, ed è ancor meno funzionale dello spirito assistenziale caritativo usato dal mondo religioso. Constatando questo fatto, la Chiesa vive una grande necessità di rinnovamento richiamando la tradizione dei suoi primi decenni di storia. Il monachesimo degli anni 1000 torna ad essere un messaggio profetico. Da questo movimento monacale escono Vescovi e Patriarchi che si impegnano in una vera e propria riforma della Chiesa. I vescovi favoriscono anche la secolarizzazione dei beni della Chiesa, quando la situazione politica e sociale della realtà di base, lo richiede. Con le ricchezze confiscate alla Chiesa, e messe a disposizione, Atanasio I ( santo) poté salvare dalla fame il proletariato di Costantinopoli. Contemporaneamente la Chiesa aumenta la propria indipendenza dall’impero, superando, con la sua influenza, i territori di Atanasio I., e operando in territori più vasti. In seguito a queste analisi storiche ritengo che si debba affermare che anche oggi la Chiesa si deve ritenere impegnata a promuovere un rinnovamento che incida sulla promozione di una vera giustizia sociale. La connessione tra “la pastorale delle comunità di base” e la “teologia della liberazione” è evidente. Il cardinale Lorscheider, arcivescovo di Rio, vedeva nella teologia della liberazione la teologia stessa delle comunità ecclesiali di base dandone la seguente definizione (sinodo 1985): “E’ l’espressione della vita della Chiesa che nasce da una esperienza profonda dal rapporto con i poveri”. Questa definizione permette di cogliere la differenza tra questa teologia della liberazione e l’utopia marxista, con la quale gli ambienti romani accusavano la teologia della liberazione di essersi contaminata. L’oggetto privilegiato della “teologia della liberazione” non è tanto la povertà, effetto di un meccanismo economico da cambiare da cima a fondo, in quanto il povero è negato come persona umana; ma la sua rivalutazione deve essere attribuita all’immagine del Cristo, per cui diviene la finalità della operatività della Chiesa.
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