poesia di un sogno

E' l'orgoglio che ci frega....Ebbene di che cosa essere orgogliosi??? Non della bellezza del corpo o del viso. Una malattia, un incidente o il tempo basteranno a dirci la nostra fragilità. Non della fortuna e della ricchezza. Un colpo di vento avverso potrà disperdere ogni cosa.Non dell' ingegno. Un soffio solo sarà sufficiente a spezzare il prezioso equilibrio del cervello e a trasformare le idee in follia. La superbia ci spia ad ogni passo. E invece di inorgoglirci di quello che conosciamo, dovremmo misurare l'infinito che ignoriamo.Noi siamo come un granello di sabbia,come la goccia del mare,come il vento che passa. Domani saremo polvere in mezzo all' indifferenza... e questo soltanto rimarrà del nostro orgoglio!!!...

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Quando un volto si guarda in una finestra conchiude il tempo e lo separa in due parole che se ne vanno ciascuna su un lembo dell’infinito. Quando parliamo anche noi abbiamo quelle parole che ci separano, la parola che abbiamo lasciato andar via e la parola che abbiamo preso sul vetro insieme al vapore. E quando dormiamo parliamo unicamente con una parola, che non abbiamo detto e che incolliamo al nostro risveglio, assieme a quella che abbiamo scritto sulla finestra. Ma ci sono notti in cui non siamo più noi a parlare, ma due parole che si incontrano sulle nostre bocche nel ricordo del vetro, sorgendo ognuna da un lato della finestra. Certi giorni restiamo in silenzio e guardiamo parlare le parole nella nostra bocca, come denti che mangiassero i nostri denti, così quando parlo di questa rosa non dimentico che ci sono due rose che incollano le orecchie l’una contro l’altra per amarsi. V.R.

Conto le tazze vuote del caffè, mastico l’ultimo brano di poesia, batto la mia testa contro il muro... enumeravo di te... ogni piccola parte prima che da me ti allontanassi, prima della partenza del treno. Conto le estremità sottili delle tue dita, ne conto gli anelli, conto le strade dei tuoi seni... casa... casa... conto i conigli sopra il copriletto, le tue costole prima dell’amplesso e dopo l’amplesso. Conto i pori della tua pelle, prima di entrare, dopo essere uscito, prima del mio suicidio e dopo il mio suicidio... Conto le dita dei tuoi piedi... Per assicurarmi che la seta sia viva, che il latte sia vivo e che le colombe catalane giochino ancora nel cortile del campo. Conto il tuo corpo nei dettagli, spanna... spanna... terra e mare... Gamba e cintola, viso e dorso. Conto i passeri tra i tuoi seni che rubano grano e fiori... conto la poesia... verso... verso, prima della dispersione delle lingue, prima della mia dispersione. Tento di aggrapparmi al capezzolo di una mammella prima che il cielo mi cada addosso e prima che scenda il sipario. Tento di salvare l’ultimo bel seno, l’ultima femmina... prima dell’arrivo dei media... Conto le boccette dei tuoi profumi sugli scaffali e mi prendono le vertigini. Enumero le tue magnifiche gonne ed entro nel bosco di rame e di fuoco. Le spighe dei tuoi capelli come la mia libertà si estendono e i colori dei tuoi occhi la distesa delle steppe contengono. Donna... conto ancora le tue dita e confondo... il levarsi delle mani con il sorgere del sole di giorno. Se ti ho incontrata per cinque minuti tra la mia fine e la mia fine... Questa è la guerra che consuma la mia carne e la tua... Cosa dico? Quali sono le parole che si addicono a questa rovina? Ho paura per te, non per me... Sei la mia ultima follia e la mia ultima cremazione... Sei il mio mausoleo e il mio santuario... Ti enumero, cominciando dall’orecchio fino al braccialetto... Dalla fonte del fiume fino al golfo delle ostriche... Conto le tazzine della nostra passione, poi ricomincio a contarle. Forse ho dimenticato un po' l’aritmetica, forse ho dimenticato tanto l’aritmetica Ma non ho dimenticato certo di salutare l’albero delle rose nelle tue labbra e l’odore delle rose e del fiore del melograno... Ti amo donna! Che sei ancora nel tempio dell’assedio. Ti amo donna! Che mi mostri ancora una rosa nella tua bocca, nel tempo della polvere. Ti amo fino all’incarnazione... All’unicità, fino all’annientamento in te... fino alla mia cancellazione... Ti amo... devo liberare l’ultima femmina prima dell’arrivo dei media. V.R.

Dove hai vagabondato oggi-ieri e dove vaganbonderai domani?

In ogni minuto che mi resta, della mia bussola fiero, posso dare ordini al mare, sotto i miei piedi, non devo neppure staccarmi dal pensiero; un po' blandendomi, un po' supplicandomi, il mare stesso mi porge la barca come il questuante palmo, il cane da pastore la zampa, la signora la manina condiscendente. E affidandomi ai vezzi della rosa dei venti, mi adeguo al viaggio, dritto in piedi, a bordo, scarmigliato, col sorriso di chi ha scelto l’esilio. Non mi volto indietro, guardo solo davanti a me, e quasi canticchio, un’antica canzone gitana, ho bevuto ogni calice fino in fondo. Torno a casa col viso dissecato dal vento, Le domande si fanno sempre più rare: Dove hai vagabondato quest’oggi? Vorrei dire delle isole, delle mie avventure istruttive, degli amici lontani, dei loro consigli, ma balbetterei, convertendo nella mia quelle lingue lontane, e perciò accenno solo un gesto della mano: i soliti posti... e vuoto un altro bicchiere, quello della staffa, sempre per congedarmi. V.R.

Che è la saggezza?se nn solo i nostri errori passati che ci ricordano che siamo fragili....che sbagliamo e sbaglieremo ancora....e...si può anche cadere...perchè ci si avvicina troppo a un sole che ci brucia le ali...ma con il senno di poi lo rifaremmo perchè siamo anime...che non sanno stare a guardare...che nn si lasciano vivere ma vogliono vivere...

Ti ringrazio di avermi chiuso per giorni in questo blog, amica mia. Lì mi sono lavato, ho trovato il pane, il sale, il vino e le coperte. Ho dormito bene, era bello il risveglio, la colazione colla donna, i bambini, la gente in attesa fedele, i due cani. ho chiacchierato con il fochista, fatto domande anch’io al vecchio cacciatore, mentre si passeggiava per il piccolo giardino, tra le piante attempate, rimettendo a posto un rastrello pericoloso, potando qualche ramo secco. Ora siedo all’osteria preferita, a mezza costa del monte, nel pergolato, con i contrabbandieri baschi, gli eskuald e i gitani, guardando sotto, il paesaggio antico, le casette difese dalla chiesa tozza sulla riva del canale, dove sono venuto alla luce, di nuovo, da due giorni. Ma quante volte ormai mi è successo di rinascere?, in perfetta salute. e so che devo morire: con fede, con saggezza. V.R.

Non guardate il mio abito dorato da re zingaro, da stratega bizantino! Guardate la mia testa! Sono un cane gitano con la testa di cane ma a nessuno fedele o sono un asino gagè che raglia con la testa d’asino, ma non porto nessuno sulle mie spalle oltre il fiume impetuoso. Su nessuna delle icone consacrate a Cristo si vede la mia testa, più vicino eri al sacro quella notte che mi sentisti ululare alla stella! quella notte che mi sentisti gridare alla solitudine! V.R.

Ciao Giancarlo