Post n°236 pubblicato il 06 Febbraio 2013 da le_corps
Dopo 16 anni torna. A succhiar giovane linfa. Sente suonare a morto, allora fruga nella memoria alla ricerca di quel volto, di quel nome che, rievocato materializzato, possa allontanare il suo piede dalla fossa. Immagina una rete, fitta sicura, che lo protegga, vi si imbozzola come un infante foderandosi le maniche di ovatta. Si fa allungare il ciuffo canuto perché morbido gli ripari il collo, dal soffio della morte che pare essere nei pressi. Sciorina l’elenco di quelli andati, fidati amici e sodali e lei, quella donna amata e tradita compagna di una vita e di una casa in mezzo a un boschetto su una collinetta dopo un ponticello o forse due. Una volta il tetto si ruppe, l’acqua piovana si infiltrava e gocciava, infradiciava il legno a poco a poco e le travi si ingrossavano; lui disse “Lo riparo io!” ma era troppo basso e lassù non arrivava, “Lo riparo io!” ripeteva con sicumera ma lei non vi badava mentre nel cantuccio asciutto della cucina rimestava limoni come in insalata e annaffiava le sue voglie di scotch. Quando lui la lasciò non fece una smorfia, aggiunse solo un cubetto di ghiaccio. “Lo riparo io!” bofonchiava finché non arrivò il conto, il conto degli anni: il buco s’era fatto voragine e aveva inghiottito uno ad uno tutti i suoi cari. Così se ne andava per le strade della città veneranda, con in bocca l’elenco di tutti quelli che erano mancati, mancati a catena. Anello dopo anello la catena s’era fatta corta, allora lui l’allungava con la memoria e qualche balzo di fantasia, non ho poi chiesto in cosa consistessero questi balzi, se in deliri da Vate o senili onanismi onirici. “Non è più come prima, non è più come ai (nostri) tempi”, e quell’aggettivo – nostri – se ne stava protetto tra due parentesi, due parentesi come segno di cura, di intima intesa, come dato inoppugnabile di complicità perenne. L’inclusione è un arbitrio, talvolta. Un arbitrio della memoria che suona come musica fuori tempo, fuori dallo spazio condiviso concordato. Tra due parentesi, per me, c’è solo un buco: un buco e un sibilo. La tirannia del tempo gli impone la “vecchiezza per davvero”, come la chiama lui, pane e vecchiezza tutti i giorni fin quando non sarà pane e morte. Cerco un alito alto, di scovare una riflessione filosofica latente che sciolga la patina di ridicola commiserazione in cui s’è avvoltolato, ma mi scontro con la litania dei nomi, col guizzo floscio di un saltimbanco anchilosato. L’inclusione è un arbitrio, talvolta. E anche la memoria, questa coperta soffice e calda che ci ripara le ossa, che ci mantiene vivi, forse migliori di come eravamo, magari più alti, abbastanza alti da riparare il tetto, abbastanza alti da vederci allo specchio. Uno specchio “per davvero”, magari, dove la coperta è un cencio sbrindellato, il guizzo un peto, e il cazzo un timone che ci ha portati in alto mare: senz’acqua, con solo il ricordo dell’acqua, ma con in tasca un fiore: un narciso, un narciso splendente. |
Post n°234 pubblicato il 24 Maggio 2012 da le_corps
Appoggio le dita sulle tempie, con i palmi premo sugli zigomi e tiro: la pelle del viso si tende, l’occhio si allunga, gli zigomi si spianano, gli angoli della bocca si alzano. Mi guardo nello specchio del bagno: quanti anni avrò perso? Allento lentamente la pressione, lascio che la pelle si ricomponga ruga per ruga senza fretta: un movimento troppo brusco la farebbe spaccare, fendere, smagliare. |
Post n°233 pubblicato il 06 Aprile 2012 da le_corps
Gli cadono i peli dal petto, così mi accorgo che sta diventando vecchio. Impigliati tra i fili di cotone: così li trovo. Come in una rete, che li raccolga e li ributti in petto. Ma in petto non si torna. Poveri peli, tumulati nelle tubature. La mia amica si controlla ogni mese le tube di fallopio se mai si fossero ostruite per capriccio o per dispetto. |
Post n°232 pubblicato il 02 Febbraio 2012 da le_corps
Ci sono solo io, con i piedi assiderati e un ombrello in mano: nevica. Le rotaie del tram sono lucenti di ghiaccio. Ci sono solo io, e aspetto. Anzi, siamo io il silenzio e la neve, e aspetto comunque. La città è soffice sotto la neve, ovattata e senza persone. È lenta. Ha una giacca di pile, in una mano la scatola di un cellulare, un dente d’oro e una fronte spaziosa. Naso affilato occhi piccoli e accesi. Sei gentile, mi dice. L’accento mi ricorda quello del mio amico albanese che non vuole più parlarmi. Lui invece vuole parlarmi, per farlo mi chiede il permesso. Dividiamo lo stesso ombrello, quindi parliamo. Non è lineare, è contorto. Viaggiare sul tram mi piace. I binari non consentono scarti ma solo scambi. Lo scambio è il massimo della divagazione; stare sui binari è, dopo tutto, rassicurante. Contorsione e linearità unite a rigidità, ché nella vita ci vuole anche quella. Occhi come i tuoi non ne trovo in giro nemmeno su cinquemila. Sei gentile e begli occhi. Forse sono un po’seccata, distolgo lo sguardo e lo faccio girare tutto intorno: intorno solo neve e buio, buio interrotto dai riflessi di luce sulla neve; cerco di indovinare il muso metallico del tram dopo la curva ma dopo la curva, solo binari vuoti.
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Post n°231 pubblicato il 31 Ottobre 2011 da le_corps
Mi prendi non mi prendi, mi scopri non mi scopri. Sento i tuoi passi sento il respiro che si avvicina e resto ferma: fermo le mani fermo i capelli fermo il cuore: non esisto: sono muro pianta intonaco legno. Mi trovi non mi trovi; aspetto. Fruscio scricchiolio, neanche tendo l’orecchio, sicura del mio non essere anzi dell’essere altro: non mi troverai non mi troverai. Niente più carne niente più fiato ma sono viva, viva altrove. Passi e ripassi, con circospezione, dissimuli i passi, sparigli il conto dei gradini, tendi i muscoli, fletti la schiena ma non mi trovi. Getti un sasso nel pozzo, ma non mi trovi. |
Post n°230 pubblicato il 14 Gennaio 2011 da le_corps
Prima R. faceva il pasticciere ma dice che era un lavoro di merda, ora sta seduto davanti ad un monitor dieci ore al giorno con cuffia e microfono come naturale prolungamento del suo corpo, la lunghezza del cavo che lo lega al telefono è la lunghezza della sua autonomia, il cavo definisce un raggio di azione, gli permette di stare in piedi, di girarsi a destra a sinistra e di arrivare fino al cestino della spazzatura che s’affaccia sul corridoio che costeggia la grande vetrata della grande facciata aziendale. Oltre il cestino, no. Il cavo lo richiama, e con un colpo secco lo riconduce nello spazio assegnato, deputato, concesso: la postazione. O, meglio, position: come vuole il gergo aziendale. |
Post n°229 pubblicato il 04 Gennaio 2011 da le_corps
Per il nuovo anno ricevo un messaggio di auguri da Pierre: creare è resistere, resistere è creare (Stéphane Hessel). Sotto la frase, l’immagine di un'opera di Pierre. Installazione, la definirebbe qualcuno. Ma ciò che è nuovo ha bisogno di parole nuove. Movimento nella fissità, ovvero il montaggio dentro il quadro. Ma non si tratta di quadro né di fotogramma: è un’idea che balena, s’affaccia compiuta e poi scompare, si disfa, mutandosi in qualcosa di altro. Arte impermanente, grazie al movimento di idee. Arte che non si affeziona a se stessa, unica nel germe e non nel sembiante, fissa come chiodo piantato nella testa dell’artista ma scomposta e ricomposta nel gioco del linguaggio che si ricombina incessantemente per restare vivo. |
Post n°228 pubblicato il 18 Novembre 2010 da le_corps
Evito il bianco per un disturbo di visione. Il bianco ha perso nitore e fissità. Davanti alla pagina bianca i miei occhi si ritirano offesi.
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Post n°227 pubblicato il 28 Settembre 2010 da le_corps
Quando sai che sta per succedere? |
Post n°226 pubblicato il 01 Settembre 2010 da le_corps
C’è una stesa di calzini in attesa di fare il paio, prima c’era un mucchio di calzini attorcigliati, corti lunghi a righe lisci di lana di cotone sintetici neri blu grigi marroni; c’era questo groviglio ai piedi del letto e io non mi decidevo a fare il paio, la sola idea di fare il paio mi abbatteva lo sguardo e chiudeva la gola. Nella semioscurità ne ho presi due, e combaciavano; poi altri due, e combaciavano pure quelli, così misurando e tastando ho messo insieme tutte le paia possibili dentro al mucchio. |
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"lo non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall'essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io del resto considero degno di ogni più scandalosa ricerca."
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