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Quel bar in fondo al viale

Post n°219 pubblicato il 17 Giugno 2009 da le_corps

Lui corteggia la tossica che si siede in fondo al bar, al tavolo vicino al bagno. La corteggia e nemmeno se ne accorge; quando lei parla lui le guarda i denti, ancora bianchi; quando lei è seduta col suo bicchiere in mano, lui le guarda le mani, dal polso all’unghia, ne osserva il ritmo nevratile con la coda dell’occhio mentre al bancone serve birra e caffè agli avventori che si parlano addosso, che svuotano d’un fiato i loro bicchierini colmi fino all’orlo. Anche le loro mani tremano, alcuni lasciano il bicchiere sul bancone e tirano il primo sorso portando le labbra all’orlo: dopo il primo sorso la presa diventa più salda, allora afferrano il bicchiere e se lo scolano sul marciapiede, tra la gente che passa. La tossica no, lei rimane seduta, in fondo al bar, in attesa di un tipo che qualche volta si siede al suo tavolo: si dice che sia il suo uomo, e si dice che sia uno spacciatore, ma di piccola taglia. Lei non si fa, dice la gente; lei non sta bene perché non ci sta con la testa, non è che sia proprio matta, dice la gente; ha solo qualche disturbo, ed è bene che prenda i suoi farmaci. Lei, la tossica, è imprevedibile, a volte è calma gentile, altre volte grida e ti guarda storto. Una volta, al bar, seduta al tavolo vicino al bagno, gettò un bicchiere di gin e campari in faccia al suo uomo, si alzò in piedi e se la rise. Lui le gridò puttana, sfilò un coltello dalla giacca e lo piantò al centro del tavolo. Questa volta ti uccido, la minacciò il tipo a denti stretti. Lei alzò i tacchi e uscì. Allora lui la seguì, lasciandosi alle spalle tavolo e coltello. I due andarono a litigare dietro al bar, e quando lui tornò per riavere il suo coltello aveva la faccia graffiata e una fetta d’arancia nella tasca della camicia.
Gli dissero di tornarsene a casa e di farsi una doccia. Lui farfugliò qualcosa su puttane donne onanismo e isteria - qualcuno annuì - poi chiese scusa al barista per il buco lasciato al centro del tavolo e se ne andò col coltello scarico in mano.
Quella scena la raccontano in molti, c’è chi giura che il tipo ha sguainato il coltello e affettato un dito alla tossica, c’è chi dice che la tossica ha assestato un pugno in bocca al tipo e che a terra ci sono ancora i tre denti caduti; c’è chi dice; e c’è chi, il barista, di quella scena ricorda solo il lampo di tuono lanciatogli addosso dagli occhi di lei che schizzava fuori dal bar ad aspettare la sua preda disarmata. Poi la preda arrivò, con passo sgangherato e bava alla bocca: si sa, lo spacciatore era anche uomo di piccola taglia.
Lui, il barista, era incantato. La tossica lo aveva ammaliato. E gli piaceva contemplarla nella frenesia del servizio, tra caffè birre e spumantini, gli piaceva indovinarne l’umore della giornata, e il calore. Si calava, con la coda dell’occhio, nella disconnessione dei pensieri di lei, e sorrideva tra sé e sé. E a chi sosteneva che voleva scoparsela lui rispondeva glissando con una risata delle sue, come se davvero non pensasse a lei, come se davvero pensasse solo a riempire i bicchieri fino all’orlo.
Una volta, lei passò dalla cassa per pagare (lei pagava sempre con delle monetine e quasi sempre mancavano dei centesimi ma lui stava zitto e lei pure). Quella volta invece pagò con un pezzo da 10, e si mise ad aspettare il resto  con le mani unite. Le sue mani erano bianche più dei denti – osservò il barista - e, così unite, disegnavano l’ingresso di una vagina, di una meravigliosa vagina in cui sprofondare con tutta la testa – rifletté il barista. E così, mentre le monetine del resto cadevano in quella umida conchetta, il cazzo di lui si gonfiò senza preavviso. Si gonfiò così tanto da premere con forza sui dentelli della cerniera, che contenerlo più non poteva: dai jeans salì un rantolo sinistro.
C’è chi giura di aver visto un bottone di metallo schizzare alla velocità di un proiettile e piantarsi nella fronte della tossica, proprio al centro; c’è chi giura che la tossica sia caduta all’indietro nella braccia di Ferruccio, che Ferruccio le abbia strappato il bottone con i denti e che lei per ringraziarlo glielo abbia regalato (si narra poi che Ferruccio, grazie a quel gesto gratuito e spontaneo sia diventato astemio); c’è chi dice che è tutto falso, e che Ferruccio beve ancora, chiuso nel bagno di sua madre. C’è chi dice che la tossica, riavutasi, abbia preteso indietro il suo pezzo da 20; ma non era da 10? – fece notare la madre del barista mentre condiva l’insalata. La tossica, piccata, alzò le spalle e se ne andò con un buco in fronte, senza lamentarsi e senza guardare nessuno, tanto meno il barista, che glissò sull’accaduto con una risata delle sue.
Come se davvero non gli importasse.

 
 
 
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