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SOLITUDINI

Post n°179 pubblicato il 27 Settembre 2011 da acetosella5
 

Ci ho pensato parecchio prima di scrivere questo

post perchèl'argomento è di quelli che ti fanno

scivolare come niente nel retorico .

Provo a starci attenta.

E' successo qui, nella città in cui vivo, in un bar

 elegante e conosciutissmo.

Una donna è entrata nel bagno e si è sparata un

colpo di pistola.

Ha deciso che così voleva finire la sua vita, talmente

sola che le è sembrato l'unico modo per essere

trovata subito.

Forse ha scelto bene, perchè la sua solitudine è

diventata immediatamente anche la nostra.

Nel sapere delle reazioni della gestione del bar,

degli avventori armati di telefonino per cogliere

lo scoop al volo probabilmente ci siamo sentiti

tutti così come lei.

Solissimi. Una morte emblematica.

La solitudine universale del morente aggravata

dall'insensibilità di questo tempo.

Perchè fin'ora io lo avevo sempre saputo che si

muore soli, ma con il rispetto per la dignità del

 fatto in sè, comunque avvenisse.

Oggi mi sembra che, nascondendola agli avventori,

si sia voluto togliere quest'ultimo senso alla fine

 di una vita, privilegiando, definitivamente,

 il profitto e l'immagine.

Mi è difficilissimo lo sforzo per compredere.

 
Rispondi al commento:
pabela84
pabela84 il 27/09/11 alle 11:11 via WEB
Ho letto questa notizia da Espe e riascoltata in tv e ora qui. Quello che mi è venuto in mente sembra forse non c'entrare troppo. Un tempo suonavo a messa coi bimbi. Mentre stavamo provando, prima dell'inizio, un uomo che era in chiesa si è messo a gridare pesantemente contro un barbone che nell'ultimo periodo veniva in chiesa principalmente per ammirare l'impianto audio con cui suonavamo. Ha gridato con una tale rabbia che mi son trovata io l'unica a reagire per il gesto eccessivo. Ribadisco che quel disgraziato non è un simpaticone, ma sapevamo come prenderlo e non ha mai dato particolare disturbo. Il prete ha zittito tutto, senza dire quel che pensava, ed è partito con la messa. Effettivamente ha fatto quel che sentiva. Io sono stata malissimo per tutto il tempo, l'incoerenza mi bruciava dentro. Ne ho anche parlato col prete, ha biascicato qualcosa stile "The show must go on" e che ne avrebbe parlato in una riunione. Mai fatta poi. Forse il distacco che mi si è creato per quel luogo in cui sono cresciuta, ha avuto lì il suo culmine. Non è morto nessuno, eppure ho sentito pesante la solitudine di cui parli: la sensazione che ciò che ci toglie equilibrio (come un amico invadente che arriva quando non ce l'aspettiamo, come una sofferenza imprevista che ti toglie il sorriso) ci dovrebbe far muovere, alzare, reagire. Non so perché mi urta tanto l'indifferenza. Ho sempre preferito un pugno sul naso. Fa male, certo, invece quel silenzio complice, mi fa sentire un verme. Ed è una sensazione che vissuta una volta si tende a ripetere. Credo che non sia tanto importante aver lasciato aperto quel bar, ma è il come, quello che si trasmette. Il rischio è che finisca per autorizzare ad essere ignavi e doverci parlar sopra, così, perché nelle situazioni moltissimi finirebbero per diventare solo spettatori. È che ci indignamo davvero troppo poco.
 
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