Creato da Red1dgl il 28/03/2006

DUE DI DUE

"...la prima volta che ho visto Guido Laremi eravamo tutti e due cosi' magri e perplessi ,cosi' provvisori nelle nostre vite da stare a guardare come spettatori mentre quello che ci succedeva intorno entrava a far parte del passato. Il ricordo che ho del nostro primo incontro e' in realta' una ricostruzione ,fatta di dettagli cancellati e poi modificati . In questo ricordo io sono in piedi al lato della strada ho le mani in tasca e il bavero del cappotto alzato e cerco di assumere disperatamente un senso di non appartenenza al mondo . Ma ho 14 anni ed odio i vestiti che indosso , odio il mio aspetto in generale , e l'idea di essere qui in questo momento..."

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HO VOGLIA DI TE

Post n°392 pubblicato il 26 Marzo 2007 da Red1dgl
 
Tag: Libri

(LA STORIA DEI LUCCHETTI...)
immagine“Fermati qui, frena.” Non ci penso due volte e lo faccio. Di botto, al volo, così come è lei. Meno male che non arrivava nessuno da dietro. Mio fratello... E chi lo sentiva poi. Va be’ che se la poteva prendere sempre con il ladro. Gin scende veloce dalla macchina.
“Vieni.”
“Ma dove?”
“E seguimi, quante domande che fai.”
Siamo di fronte a Ponte Milvio, in una piccola piazza sul Lungotevere da dove parte via Flaminia che arriva fino a piazza del Popolo. Gin corre sul ponte e si ferma a metà, davanti al terzo lampione.
“Ecco, è questo qui.”
“Ma che cosa?
“Il terzo lampione. C’è una leggenda su questo ponte, Ponte Milvio o Mollo come lo chiamava il Belli...”
“Ma che, ora mi fai la colta?”
“Sono colta! Su pochissime cose, ma lo sono. Come questa per esempio, la vuoi ascoltare o no?”
“Prima voglio un bacio.”
“E dai ascolta... È una storia bellissima.”
Gin si gira e sbuffa. L’abbraccio da dietro. Ci appoggiamo al parapetto. Guardiamo lontano. Poco più in là un altro ponte. Quello di corso Francia. Mi perdo con lo sguardo. E nessun ricordo disturba questo momento. Perfino i fantasmi del passato sanno avere rispetto di alcuni momenti? Sembra di sì. Gin si lascia baciare. Sotto di noi il Tevere, buio e scuro, scorre silenzioso. La luce fioca del lampione ci illumina leggera. Si sente lo scrosciare lento del fiume lungo gli argini. Il suo corso si spezza all’improvviso intorno alle colonne del ponte. L’acqua gorgheggia, si innalza, ribolle, borbotta. Poi, subito dopo, si unisce di nuovo e continua in silenzio la sua corsa verso il mare.
“Allora, mi racconti?”
“Questo è il terzo lampione di fronte all’altro ponte... La vedi questa qui intorno?”
“Sì... Mi sa che qualcuno si è sbagliato a legare il motorino...”
“Macché, scemo. Si chiama ‘la catena degli innamorati’. Si mette un lucchetto intorno a questa catena, lo si chiude e si butta la chiave nel Tevere.”
“E poi?”
“Non ci si lascia più.”
“Ma come nascono queste storie?”
“Non lo so, questa esiste da sempre, la racconta perfino Trilussa.”
“Te ne approfitti perché non lo so.”
“È vera... È che tu hai paura di mettere un lucchetto.”
“Io non ho paura.”
“Quello è il libro di Ammaniti.”
“O il film di Salvatores, dipende dai punti di vista.”
“Comunque tu hai paura.”
“Ti ho detto di no.”
“E certo, te ne approfitti perché non abbiamo un lucchetto.”
“Stai qua e non ti muovere.”
Torno dopo un minuto. Con un lucchetto in mano.
“E questo dove lo hai trovato?”
“Mio fratello. Si porta il lucchetto con tanto di catena per bloccare il volante.”
“Già, non può mica immaginare che è suo fratello poi che gliela frega.”
“Guarda che sei responsabile quanto me. E fra l’altro mi devi ancora 20 euro.”
“Che rabbino.”
“Che ladra!”
“Ma di che? Oh, ma che vuoi, pure i soldi del lucchetto? Facciamo tutto un conto finale...”
“Troppi me ne dovrai allora.”
“Va be’, stop, finiamola qui. Allora te la senti o no?”
“Certo che sì.”
Metto il lucchetto alla catena, lo chiudo e sfilo la chiave. La tengo un po’ tra le dita mentre fisso Gin. Lei mi guarda. Mi sfida, mi sorride, alza un sopracciglio. “Allora?”
Prendo la chiave tra l’indice e il pollice. La faccio penzolare ancora un po’, sospesa nel vuoto, indecisa. Poi all’improvviso la lascio. E lei vola giù, a capofitto, rotea nell’aria e si perde tra le acque del Tevere.
“L’hai fatto veramente...”
Gin mi guarda con aria strana, sognante, anche un po’ emozionata.
“Te l’ho detto. Non ho paura.”
Mi salta addosso, a cavalcioni, mi abbraccia, mi bacia, urla di gioia, è folle, è pazza, è... È bella.
“Ehi, sei troppo felice. Ma non è che funziona sul serio questa leggenda?”
“Scemo!”
E corre via, gridando sul ponte. Incontra dei signori che camminano in gruppo. Tira il cappotto del più serio, lo fa girare su se stesso, lo costringe quasi a ballare con lei. E scappa via di nuovo. Mentre gli altri ridono. Spingono scherzosamente il signore che si è arrabbiato e vorrebbe sgridarla. Passo vicino al gruppo e allargo le braccia. Tutti condividono la felicità di Gin. Perfino il signore serio alla fine mi sorride. Sì, è vero, è così bella che obbliga un po’ tutti a esserne felici.

 
 
 
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POESIA

"Il tempo perso" di Jacques Prévert
 
 
 
Sulla porta dell'officina
 
d'improvviso si ferma l'operaio
 
la bella giornata l'ha tirato per la giacca
 
e non appena volta lo sguardo
 
per osservare il sole
 
tutto rosso tutto tondo
 
sorridente nel suo cielo di piombo
 
fa l'occhiolino
 
familiarmente
 
Dimmi dunque compagno sole
 
davvero non ti sembra
 
che sia un po' da coglione
 
regalare una giornata come questa
 
ad un padrone?

 
 
 

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