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di quella volta in cui andai a Napoli

Post n°1227 pubblicato il 08 Giugno 2010 da poison.dee
 

Quando zia Modesta era ancora viva “scendevo” a Roma abbastanza frequentemente, a volte da sola, a volte in compagnia di amici, tanto la casa era grande e c’era spazio per tutti, e alla zia piaceva avere la casa piena di gente.

Siccome non abitava proprio a Roma, andavo a trovarla in auto. E poi mi spostavo in città, sempre con l’auto, che ad andare era facile. Poi puntualmente quando era ora di tornare mi perdevo, e vagavo in giro per la città in attesa di incrociare un indicazione per la Salaria, ed era fatta.

Una mattina, quella volta con me c’era Tiziana, uscimmo di casa e, arrivate all’imbocco dell’autostrada decidemmo di non andare a Roma, ma a Napoli.

A dirla tutta pensavamo che le due città fossero più vicine, invece distano fra loro più di 200 km. Ma ormai eravamo in viaggio. E abbiamo viaggiato.

Ovviamente all’epoca i navigatori erano ancora nella mente dei loro inventori, cartine non ne avevamo e, una volta giunte nei pressi di Napoli abbiamo fatto quello che ci sembrava più logico: seguire le indicazioni per il centro città.

Segui segui segui, non so come, non so perchè, alla fine ci siamo ritrovate, con la mia Clio, forse all’epoca ancora con la targa TO, nel bel mezzo dei quartieri Spagnoli.

Ad un certo punto ci siamo fermate, perchè, in quel dedalo di vicoli, non sapevamo più da che parte andare.

Arriva una volante della polizia, ci vede e si ferma.

Scende un poliziotto e ci domanda cosa stessimo facendo lì.

Lo guardo, serafica, e gli rispondo che stavo cercando un parcheggio.

Lui si mette a ridere e mi chiede: “Un parcheggio? Qua? Nei quartieri Spagnoli?”

Gli faccio notare che io non volevo parcheggiare lì, ma che, seguendo le indicazioni stradali ero finita lì e avrei soltanto voluto parcheggiare da qualche parte per poter visitare la città.

Si consulta con gli altri poliziotti e poi mi dice di seguirlo. E fa per imboccare un vicolo, contromano.

Gli indico col dito il cartello di divieto di accesso.

Lui lo guarda come non ne avesse mai visto uno in vita sua e, rivolto ai suoi compagni, esclama: “La signorina, giustamente, mi fa notare che c’è un divieto di accesso” poi si gira verso di me e prosegue: “non si preoccupi, ci segua!”.

Salgo in macchina, perplessa, e mi metto dietro la volante.

Arriviamo in via Toledo, giriamo in una traversa laterale e ci ritroviamo in una piazzetta. Il poliziotto scende, chiama un parcheggiatore (abusivo) e gli dice, indicandoci: “Le signorine lasciano la macchina qua, mi raccomando!”

L’uomo guarda prima il poliziotto, poi noi, poi l’auto, e risponde “dotto’ nun ve preoccupate!” poi, rivolgendosi a noi ci chiede per quanto tempo. Ci guardiamo un po’ stranite e stabiliamo che saremmo tornate a riprendere l’auto alle 17.00.

I poliziotti se ne vanno, io chiudo l’auto, memorizziamo l’indirizzo, salutiamo il parcheggiatore e partiamo alla scoperta della città: pranzo a base di pizza a Mergellina, piazza del Plebiscito, galleria Umberto I, il Maschio Angioino, Spaccanapoli, ecc.ecc.

Tornando, passiamo davanti al “nostro” parcheggio, ma dirette verso un negozio di scarpe, che all’andata era ancora chiuso.

Arriviamo davanti al negozio, ci fermiamo a guardare la vetrina, e dopo un po’ sentiamo una voce che ci chiama:

“Signorine, signorine!”

Ci voltiamo. Era il parcheggiatore (sempre abusivo).

Lo guardiamo, con le pupille a forma di punto interrogativo.

“Scusate eh, ma si sono fatte quasi le cinque, e io dovrei staccare!”

 

Quando ci penso, ancora rido.

 
 
 
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