1,nessuno¢omila
Le mie contraddizioni: vivo spegnendo incendi con la benzina
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Due sul tram (e io).
Post n°381 pubblicato il 05 Maggio 2006 da psike830
E' la prima volta in quasi 400 post che uso parole di altre persone. Nove! Martina a quindici anni aveva preso il suo primo nove in latino! Solo lei in tutta la classe! E la professoressa era una severa, mica faceva beneficienza coi voti; dovevi sudarti ogni eccezione,ogni vocabolo, ogni singola virgola della versione. Nove! Nove! Nove! Tornò a casa saltellando felice come un canguro anche se sapeva bene che nessuno la stava aspettando. Sua madre faceva la commessa in un negozio di elettrodomestici e suo padre era ancora al lavoro. Li avrebbe rivisti solo all'ora di cena. Martina si buttò sul divano sgranocchiando un grissino e ripensò a sei anni prima quando abitavano in un paese così piccolo che sembrava un presepe dimenticato fra la montagne. Le case erano tutte diverse e le strade erano storte come gli scarabocchi di un bambino. C'era la neve d'inverno e un velo di sole d'estate. Le era dispiaciuto andarsene, aveva anche pianto ma non era servito. Un paese senza lavoro é un paese vivo per finta e suo padre non ne poteva più di lavoricchiare ogni tanto e di chiedere ai nonni i soldi per la spesa. Così si erano trasferiti in una città bella, grande, inquinata, con tante fabbriche e tanto lavoro. Lei all'inzio odiava il traffico e non riusciva ad orientarsi , ma poi si sa , ci si abitua a tutto, anche ai semafori e agli scambi aggrovigliati della metropolitana. Anche i suoi genitori si erano felicemente abituati a prendere due stipendi al mese. A scuola si era inserita bene e il trucco era studiare, perché chi é bravo, all'inizio sembra antipatico, ma poi viene cercato per passare i compiti e lei a quelle richieste rispondeva sempre di si e passava i foglietti. Il nove in latino di Martina infatti aveva figliato ed era diventato 8 sul compito della più carina della classe figlia di una ex modella e di un imprenditore, 7 e1/2 sulla versione della figlia di un noto avvocato, 8+ per la figlia del cardiologo. Lei studiava e seminava, loro raccoglievano...anzi copiavano. Quel pomeriggio lei e le amiche, avevano deciso di fare un giro in centro per festeggiare i bei voti presi, così si erano date appuntamento a casa della figlia dell'avvocato e poi erano andate alla fermata a prendere il tram. Martina salì sul tram semivuoto circondata da quell'arcobaleno di amiche e fu in quel momento che lui la vide. Non potè fare a meno di sorriderle,era così bella. Lei lo guardò per un istante di mille ore poi gli passò accanto, stette attenta a non sfiorarlo neppure e si andò a sedere in fondo. Lui rimase dov'era, con gli scarponi sformati e chiazzati di vernice, il maglione di lana grossa, la tuta da lavoro sporca dopo tante ore passate in cantiere fra cemento, gesso e calcinacci. Sul viso stanco era già ricresciuto un accenno di barba. Le mani erano quelle di un vecchio: dure, screpolate, impolverate. In realtà non era vecchio anche se due rughe profonde gli scendevano ai lati del naso. La osservava quando era certo che lei non lo guardasse e allora i suoi occhi stringevano quelle mani bianche con le dita tozze da bambina, i polsi sottili tintinnanti di ciondoli, le braccia, le spalle, il viso spaesato, i capelli castani lunghi lunghi e lisci lisci. Lei sentiva addosso il peso del suo sguardo e tentava di sedersi in maniera più composta, cercava di tirare l'orlo della gonna per coprire ancora un po' le gambe, si aggiustava i fermagli fra i capelli. Quando non aveva più nulla da sistemare guardava fuori dal finestrino un punto inesistente, poi sorrideva alle amiche fingendo di partecipare alla giuliva discussione in corso. Lui avrebbe voluto baciarla. Lei pensava che quel giorno il centro della città era più lontano della luna. Lui sperava almeno in un sorriso. Lei lo guardava distratta, ogni tanto cercava i suoi occhi e quando li aveva trovati tornava a guardare il prezioso punto fuori dal finestrino. C'era una lacrima o era solo la luce? La corsa si arrestò e Martina scese dal tram con le sue amiche che continuavano a chiaccherare e fare trillare i cellulari. Si aggiustò il giubbotto e con le compagne si perse tra le onde della folla pomeridiana. Ci si può vergognare di tante cose nella vita: di un lavoro o di una brutta casa, di un'automobile vecchia o della cellulite, di avere riso o di avere pianto, delle malattie o dell'ipocondria, dei denti da coniglio o delle orecchie a sventola, di non avere mai detto "ti amo" o di averlo detto senza pensarlo, di una calza smagliata o di una borsa non firmata, dei troppi amanti o della solitudine. E ci si può vergognare anche di un padre stanco e impolverato incontrato per caso sul tram. Ci si può vergognare delle sue mani, delle scarpe, dei capelli, dei suoi vecchi vestiti da lavoro. Si può fissare a lungo un punto inesistente per sfuggire al rischio di un saluto. Un padre può amare tanto da capire il silenzio e perdonare la vergogna. Martina crescerà e quando ripenserà a quel pomeriggio sul tram, si vergognerà di essersi vergognata. Poi piangerà amaramente per avere umiliato suo padre e si dispererà per essere stata stupida, insensibile e ingrata. Un padre può amare così tanto da desiderare che quel giorno non arrivi mai." Vorrei avere anch'io un padre così. Non so perchè ma ultimamente ci penso spesso. ne approfitto per ringraziare tutte le persone che in seguito al mio post 375 mi sono state vicine con commenti, messaggi in pvt, dialoghi su msn...[mi scuso anche perchè avevo la messaggeria piena e non me ne ero accorta] |
JO
perché forse più bello che descrivere una grand’amicizia, è averne una.
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"...perchè le canzoni non ti tradiscono.
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