Triballadores

di Vittorio Casula

 
 

 

AREA PERSONALE

 

TAG

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Dicembre 2013 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
            1
2 3 4 5 6 7 8
9 10 11 12 13 14 15
16 17 18 19 20 21 22
23 24 25 26 27 28 29
30 31          
 
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 5
 

Messaggi del 07/12/2013

Mandela

Post n°1514 pubblicato il 07 Dicembre 2013 da deosoe

23412_21701_02_Image 23412_21702_08_Image 23412_21703_10_Image 23412_21704_11_Image 23412_21705_13_Image 23412_21713_mandela_Image

 
 
 

Mandela

Post n°1513 pubblicato il 07 Dicembre 2013 da deosoe

 

E’ morto Nelson Mandela, il combattente della libertà
Pubblicato il 6 dic 2013

di Maria R. Calderoni – liberazione.it

Eroe della lotta contro l’apartheid, è morto a 95 anni nella sua casa di Johannesburg. Il paese è in lutto, la gente sfila per le strade e gli uffici hanno le bandiere a mezz’asta. Dal carcere al Nobel, una vita dedicata alla liberazione di un intero popolo oppresso. E’ stato il primo leader nero dopo la fine della segregazione razziale.

Si ribellò. Quella era la sua terra, il suo paese, il paese dove era nato e dove erano nati suo padre e sua madre; ma lì, in quel suo paese, una legge detta dell’apartheid rendeva ormai la vita insopportabile e indegna. L’avevano inventata e imposta, quella legge, i dominatori bianchi e, in base ad essa, lui e tutti gli altri africani come lui dovevano subire molte cose.Tanto per dire. Separazione netta tra bianchi e neri nelle zone abitate da entrambi; istituzione dei bantustan, cioè ghetti per soli neri; proibizione dei matrimoni interrazziali; proibizione di rapporti sessuali tra neri e bianchi (costituiva reato passibile di carcere); obbligo di registrazione civile in base alla razza; divieto di accesso a determinate aree urbane; divieto di uso delle stesse strutture pubbliche, tipo fontane, marciapiedi, sale d’attesa; discriminazione nelle scuole e nei posti di lavoro; obbligo di passaporto per accedere alle aree urbane dei bianchi; divieto di ogni forma di opposizione (in special modo se di stampo socialista, comunista e comunque in qualche modo riferibile all’AFC, African National Congress).

Prigionieri nella propria terra, esclusi e assoggettati, defraudati dei loro diritti e delle loro risorse. Quello era il Sudafrica, la sua terra. Una terra bellissima, con terreni fertili e clima mite, ricca di minerali preziosi (platino, diamanti, oro), diventata colonia e dominio di olandesi e inglesi fin dal secolo XVII. Quella sua terra strangolata dai crudeli padroni bianchi (è sotto il governo di Hendrich F. Verwoerd, passato alla storia come il perfezionatore, anzi “l’architetto dell’apartheid”, che la segregazione dal 1948 è diventata compiuta legge di Stato).

Si ribellò. Lui, Nelson Mandela, a tutto questo decide di ribellarsi. Per la verità il suo vero nome è un altro. È nato il 18 luglio 1918 in un piccolo villaggio del Transkei e, come tutti in Sud Africa, acquisisce il nome inglese di Nelson il I° giorno di scuola; ma il suo vero nome è Rolihlahla, che poi significa “quello che porta guai”.

Lui non è nemmeno tra i più sfortunati; lui è figlio di un capotribù Thembo, un nero che riesce ad andare scuola, grazie alla protezione del reggente Jongitaba, amico della sua famiglia, che diventa suo tutore dopo la morte del padre; ed è un nero che può persino studiare, conquistarsi un diploma e poi addirittura una laurea in giurisprudenza; lui che non è solo un miserabile “negro” in mano afrikaner.

La sua storia la racconta lui stesso nella autobiografia che ha per titolo “Lungo cammino verso la libertà” (Feltrinelli, 1997); un libro che è anch’esso una perigliosa conquista. Mandela lo scrive di nascosto nel 1974, mentre è detenuto nel carcere di Robben Island; ma il manoscritto viene scoperto, confiscato e distrutto. I suoi due compagni di cella ne hanno però trascritto e nascosto una copia; ed è così che quelle emozionanti 579 pagine sono giunte sino a noi. Uscito dalla prigione nel 1990, Mandela ne finisce la stesura e il libro viene pubblicato nel 1994, titolo inglese “Long walk to freedom”.

Solo questo. «Ho percorso questo lungo cammino verso la libertà sforzandomi di non esitare, e ho fatto alcuni passi falsi lungo la via. Ma ho scoperto che dopo aver scalato una montagna ce ne sono sempre altre da scalare».

Solo questo. Il lungo cammino. Nient’altro che la strenua lotta per riscattare il suo popolo da una vita «senza pietà, senza voce, senza radici, senza futuro».

A 18 anni, nel ’39, Nelson è ammesso all’Università di Fort Hare; fa pratica legale presso lo studio di un avvocato ebreo; e alla Facoltà di Giurisprudenza – racconta – «sono l’unico studente africano», era visto come un intruso, nessuno si sedeva vicino a lui e i professori gli «consigliarono» di continuare gli studi «per corrispondenza». Nessuno gli aveva insegnato come battersi contro l’odioso dominio bianco. Ma è in quegli anni che diventa amico di comunisti, ebrei e indiani, tutti ragazzi della sua età che quel dominio bianco lo vogliono combattere. Insieme a loro, con Walter Sisulu e Oliver Tambo, fonda la Lega giovanile dell’ANC (African National Congress), l’organizzazione che, insieme al Partito comunista, si batte contro l’apartheid.

È con loro, coi ragazzi della Lega, che nel 1942 partecipa alla marcia dei 10.000 nella città di Alexandria (dove si è trasferito) organizzata per il boicottaggio degli autobus; non si fermerà più; la «miriade delle indegnità e delle offese» lo porta alla scelta che sarà quella di tutta la sua vita, quella di combattere «il sistema che imprigionava il suo popolo». Quel sistema che spara sui minatori in sciopero, come nel ’46 avviene nella miniera d’oro di Reef, 12 morti, migliaia di arresti, centinaia di processi per sedizione ai tanti comunisti che a quella lotta hanno partecipato.

Nel febbraio 1952 l’ANC organizza una grande manifestazione di disobbedienza civile contro la segregazione, provocando la reazione del governo che, come sempre, è durissima. La sede dell’Anc è perquisita e Nelson arrestato per la prima volta. Quelli erano giorni, annota nel suo libro, nei quali era molto difficile per un nero vivere a Johannesburg. Infatti, «era un crimine passare per una porta riservata ai bianchi; un crimine viaggiare su un autobus riservato ai bianchi; un crimine bere ad una fontana riservata ai bianchi; un crimine passeggiare su una strada riservata ai bianchi, essere in strada dopo le 11 di sera, non avere il lasciapassare; era un crimine essere disoccupati e un crimine lavorare nel posto sbagliato, un crimine vivere in certi posti e un crimine non avere un posto dove vivere».

E sono, quelli, anche i giorni delle evacuazioni di massa a Sophiatown, Martindale, Newclarc, dove quasi 100.000 africani vengono brutalmente buttati fuori dalle loro case. A lui intanto, rilasciato dal carcere, viene consegnata un’ingiunzione che gli impone di dimettersi dall’ANC; di non uscire dal distretto di Johannesburg; e di non partecipare a riunioni o convegni di qualsiasi tipo per due anni. E contemporaneamente viene chiesta la sua radiazione dall’Albo degli avvocati.

Sono anche i giorni in cui Sophiatown, che ha cercato di ribellarsi all’evacuazione, deve cedere sotto i colpi della violenza afrikaner; e anche i giorni in cui, grazie al Bantu Educational Action, il governo si accaparrava direttamente il controllo di tutta l’istruzione, in pratica imponendo per gli africani una scuola di livello inferiore.

Sulle ali della lotta. La Carta delle Libertà nasce il 26 giugno 1955 in una straordinaria manifestazione promossa a Kiptown dal’ANC: «Noi, il popolo del Sudafrica». È un testo poetico e fortissimo, di denuncia e ribellione in nome dei diritti dell’uomo e della dignità, alla cui stesura collabora con slancio anche Mandela. Le inaudite parole sono state scritte. «Il Sudafrica appartiene a tutti coloro che ci vivono, bianchi e neri». «Il nostro popolo è stato defraudato dal diritto, acquisito alla nascita, alla terra, alla libertà e alla pace, da una forma di governo basata sulla ingiustizia e l’ineguaglianza». «Il popolo governerà». «Tutti saranno uguali davanti alla legge e tutti godranno degli stessi diritti dell’uomo».

Sulle ali della Carta. Arrivano le prime grandi manifestazioni di massa, e la repressione è durissima; cariche della polizia, denunce, arresti, sedi e movimenti dichiarati fuorilegge. E parte anche la caccia agli attivisti e agli animatori della Carta. Inevitabilmente tocca a Mandela.

All’alba del 5 dicembre ’56 la polizia irrompe nella sua casa e lo arresta davanti ai due figli; l’accusa è alto tradimento; con lui, altri 156 compagni subiscono la stessa sorte, e tutti sono trasferiti nella prigione di Johannesburg, “La Fortezza”, una tetra costruzione in cima a una collina nel cuore della città.

Per “alto tradimento”, la legge afrikaner prevede la pena di morte. Il 19 dicembre si apre il processo: ci vogliono due giorni per leggere le 18.000 parole dei capi d’accusa; ma, grazie a un grande collegio di difesa e ai fondi raccolti dall’ANC, quella volta – dopo un processo che si trascina per cinque anni – tutti vengono assolti e rilasciati su cauzione.

Non c’è pace né giustizia e nemmeno pietà. Il 10 marzo 1960 a Shaperville la polizia spara su un corteo di manifestanti disarmati; una strage. Il tragico episodio segna una svolta per l’ANC e anche per Mandela. Per cinquant’anni la non-violenza è stato uno dei principi basilari del movimento anti-apartheid. Ma ora, di fronte alla repressione sempre più brutale e sanguinosa, brandire la Carta e i suoi nobili principi, organizzare solo cortei di protesta sembra non bastare più; ora sembra giunto il momento di ricorrere anche a più drastici mezzi. Nasce il Mk – acronimo di “Umkhonto we Sizwe”, che vuol dire “Lancia della Nazione” – l’ala armata dell’ANC e Mandela ne diventa il comandante. Sabotaggio, scontri con la polizia, contro-assalti, propaganda, raccolta

di fondi anche all’estero, campi di addestramento para-militari. Dicesi lotta.

Mandela è costretto a darsi alla clandestinità, diventa la “Primula Nera”, l’africano più ricercato del continente. Dura diciassette mesi; ma una sera, sulla strada di Johannesburg – si sospetta su segnalazione della Cia – viene catturato. Processo, autodifesa, pesante condanna: cinque anni di durissimo carcere a Esiquitin, uno scoglio a 18 miglia da Città del Capo.

Passa solo qualche mese. Ma un’irruzione della polizia nella sede generale del Mk a Rivonia mette le mani su documenti che attesterebbero un piano di cospirazione, invasione armata, insurrezione; è un’ondata di arresti e per Mandela, già incarcerato, scattano nuove e più gravi accuse. Sono reati da pena di morte; e lui la morte se l’aspetta. Coi suoi compagni concorda una strategia di difesa: più che sulla legalità sarà basata sui «principi morali». Impiega quindici giorni a preparare il suo intervento davanti alla Corte. «Vostro Onore, io sono l’imputato numero uno Nelson Mandela. Non io, ma il governo dovrebbe trovarsi alla sbarra. Mi dichiaro non colpevole». Parlerà per oltre quattro ore. «Il mondo seguiva con grande attenzione il Processo Rivonia. Nella cattedrale di St.Paul a Londra si tennero veglie per noi; gli studenti dell’università di Londra mi elessero presidente in absentia della loro associazione». Venerdì 12 giugno 1964, «tornammo per l’ultima volta in tribunale. Il servizio di sicurezza era più imponente che mai», strade bloccate al traffico e polizia ovunque. Ma, «nonostante le intimidazioni, almeno duemila persone si erano radunate davanti al tribunale con striscioni e cartelli che dicevano: “Siamo al fianco dei nostri capi”».

Non furono condannati a morte (anche grazie alla grande pressione internazionale). La sentenza fu l’ergastolo per tutti gli imputati.

Agli anni del carcere, Mandela dedica un lungo capitolo intitolato: “Robben Island, gli anni bui”. Anni terribili in un carcere spaventoso; la cella lunga 3 passi e larga meno di 2 metri, i pochi oggetti disponibili, la sporcizia, la quasi mancanza di corrispondenza, il vitto orribile, il lavoro massacrante nella cava di pietra.

Ma lui non cessa di combattere. È rinchiuso da più di vent’anni, ma in quell’anno 1985 perviene all’ANC il suo “Manifesto”: «Unitevi! Mobilitatevi! Lottate! Tra l’incudine delle azioni di massa e il martello della lotta armata dobbiamo annientare l’apartheid!»

Mandela rimane in carcere fino all’11 febbraio 1990. Fu lo stesso nuovo presidente del Sudfrica a dargli la notizia della scarcerazione. Subito dopo essere stato eletto, de Klerk aveva cominciato a smantellare l’apartheid: apre le spiagge sudafricane ai cittadini di tutte le razze, annuncia l’abrogazione del “Reservation of Separation Amenities Part”; il 2 febbraio 1990 revoca la messa al bando dell’ANC, del Communist Part e di altre 317 organizzazioni che erano state dichiarate illegali; decreta la scarcerazione di tutti i prigionieri politici non colpevoli di atti di violenza, nonché l’abrogazione della pena capitale.

Il 27 aprile 1994 è la data delle prime elezioni non razziali e a suffragio universale del Paese. Mandela diventa presidente: è il primo presidente nero del Sudafrica. Resterà in carica fino al 1999. Le ferite sono profonde e laceranti. Ma il presidente nero non insegue la ritorsione e la vendetta. In nome di quel suo popolo che ha tanto sofferto, ha creato una “Commissione per la Verità e la Riconciliazione” per far luce sui crimini dell’Apartheid; i colpevoli che confessano sono perdonati, ed è concessa un’amnistia pacificatrice. Per questo, dopo il Premio Lenin ricevuto nel 1962, nel 1993 gli viene dato il Nobel per la pace.

Tanti anni sono passati. Il Combattente ora è un po’ stanco. «Mi sono fermato un istante per riposare, per svolgere lo sguardo allo splendido panorama che mi circonda, e per guardare la strada che ho percorso».

Nell’ultima riga della sua autobiografia ha lasciato scritto che il «lungo cammino» deve continuare. «Non vi è alcuna strada facile per la libertà».

 
 
 

Rapporto censis

Post n°1512 pubblicato il 07 Dicembre 2013 da deosoe

RS47_gif_w170_hRoma, 6 dicembre 2013 - Mix settoriali e nuove strategie: il tessuto produttivo oltre la crisi. Il confronto tra i dati degli ultimi due Censimenti dell'industria e dei servizi realizzati nel 2001 e nel 2011 evidenzia: la flessione del numero di imprese delle attività a supporto dell'agricoltura (-7.677), dell'industria in senso stretto (-95.388) e in particolare dei comparti manifatturieri (-105.088), del commercio (-36.703) e dei trasporti (-18.359); l'incremento delle imprese di costruzioni (+57.812), delle attività di ristorazione e alloggio (+57.527) e di quelle ricomprese nella branca molto estesa dei servizi (+388.615). L'effetto finale di questi movimenti è l'incremento del peso del terziario, sia in termini di unità produttive che di addetti, e di un parallelo ridimensionamento strutturale dell'industria, in particolare del manifatturiero.

Localismi produttivi nel cortocircuito della crescita. L'onda della ristrutturazione non ha risparmiato i distretti industriali, ridefinendone i contorni, mettendone in discussione l'organizzazione, imponendo nuovi equilibri nei rapporti tra impresa e comunità di riferimento. Tra il 2009 e il 2012, in un campione di 56 distretti industriali - da più lungo tempo presenti nel Paese -, il Censis ha stimato una flessione del numero di imprese collocate nelle singole filiere di specializzazione pari al 3,8%. Si tratta di quasi 2.000 unità produttive uscite dal mercato in un breve arco temporale. Questo ridimensionamento strutturale contrasta con la crescita sostenuta sui mercati esteri. Nella prima metà del 2013 le esportazioni di 150 distretti manifatturieri italiani sono cresciute del 3%, a fronte di una flessione dello 0,6% registrata dal resto del manifatturiero. Un panel analizzato dal Censis composto da 230 aziende di distretto lascia emergere una spinta vitale tutt'altro che sopita: il 78% ha tentato di realizzare nuove linee di prodotto, il 75% ha cercato di rendere più efficienti le procedure di lavoro, quasi il 69% ha ridefinito le politiche commerciali, il 65% ha migliorato o apportato modifiche agli impianti di produzione, quasi nel 58% dei casi sono state apportate modifiche ai vertici aziendali.

Un nuovo modello di sviluppo per il rilancio dell'agricoltura. Il sistema agricolo è il segmento essenziale di una filiera più ampia, quella agroalimentare, che comprende strutture di tipo industriale dedite alla lavorazione e alla trasformazione dei prodotti. Visto in quest'ottica, il valore dell'export è pari all'8% del totale delle vendite all'estero: il quinto comparto per presenza sui mercati esteri. A trainare le vendite all'estero sono 21 miliardi di euro provenienti dal made in Italy agroalimentare, ossia un paniere di 13 prodotti, sia freschi che trasformati, caratterizzati da forte tipicità, da un diretto legame con il territorio e per i quali l'Italia può godere di vantaggi competitivi legati all'ambiente, ai sistemi produttivi e alle tradizioni locali.

Meridione: problema irrisolto. L'incidenza del Pil del Mezzogiorno su quello nazionale è passata dal 24,3% al 23,4% nel periodo 2007-2012, frutto di una contrazione di 41 miliardi di euro, il 36% dei 113 miliardi persi dall'Italia a causa della crisi economica. Nel 2013 si contano 39.500 imprese in meno rispetto al 2009, tra cui 9.900 scomparse nel manifatturiero. Il tasso di occupazione è al 42,1% nel secondo trimestre del 2013, a fronte del 55,7% nazionale, e il tasso di disoccupazione sfiora il 20% (8 punti in più rispetto alla media del Paese). La ricchezza pro-capite è pari al 57% di quella del Centro-Nord e le famiglie materialmente povere (cioè con difficoltà oggettive ad affrontare spese essenziali o impossibilitate ad affrontare tali spese per mancanza di denaro) è pari al 26% di quelle residenti nel Mezzogiorno, a fronte di una media nazionale del 15,7%. L'Italia appare tra i sistemi dell'eurozona quello in cui più rilevanti sono le disuguaglianze territoriali. In termini di Pil pro-capite il Centro-Nord, con 31.124 euro per abitante, è vicino ai valori dei Paesi più ricchi come la Germania, dove il Pil pro-capite è di 31.703 euro. Viceversa, i livelli del Mezzogiorno sono più vicini o inferiori a quelli della Grecia (il Sud ha meno di 18.000 euro per abitanti e la Grecia registra 18.500 euro di Pil pro-capite).

Il welfare aziendale per la crescita del sistema d'impresa. Uno dei punti di debolezza del Paese è senza dubbio la bassa produttività del lavoro. In Italia ogni unità di lavoro produce in media 32 euro per ogni ora lavorata, cifra poco superiore al sistema produttivo spagnolo (31,5), sostanzialmente equivalente alla media comunitaria, ma ben distante dai principali Paesi dell'Unione europea; in particolare, risulta consistente il distacco rispetto ai 45,4 euro della Francia, ai 42,6 della Germania e ai 39,3 del Regno Unito. Nelle determinanti dell'aspetto motivazionale va certamente incluso il grado di soddisfazione per l'ambiente in cui si opera, fattore a cui può contribuire positivamente il welfare aziendale (o company welfare), ossia quell'insieme di servizi e iniziative che le imprese realizzano a favore dei propri dipendenti per assicurarne il benessere all'interno della struttura produttiva e nella loro vita privata, iniziative che assumono un'importanza crescente anche a causa delle criticità del sistema di welfare statale.

Quei trend di consumo che parlano di un Paese smarrito. I consumi descrivono un Paese sotto sforzo, profondamente fiaccato da una crisi persistente. Dai primi anni 2000 a oggi sono diminuite del 6,7% le spese per prodotti alimentari, del 15% quelle per abbigliamento e calzature, dell'8% quelle per l'arredamento e per la manutenzione della casa, del 19% quelle per i trasporti. Viceversa sono cresciute alcune spese incomprimibili, come quelle per le utenze domestiche e la manutenzione della casa (+6,3%) e quelle medico-sanitarie (+19%). Nell'ultima parte del 2013 ben il 69% di un campione di 1.200 famiglie analizzate dal Censis e Confcommercio ha indicato una riduzione e un peggioramento della capacità di spesa nel corso dell'anno, appena il 2% ha indicato un miglioramento. L'incertezza assume spesso la forma della preoccupazione e dell'inquietudine: il 52% delle famiglie sente di avere difficoltà a preservare i propri risparmi, quasi il 50% teme di non riuscire a mantenere il proprio tenore di vita. In questo contesto, quasi il 50% prevede di moderare e di contenere, nei prossimi mesi, le spese familiari.

 
 
 

Rapporto censis

Post n°1511 pubblicato il 07 Dicembre 2013 da deosoe

RS47_gif_w170_hRoma, 6 dicembre 2013 - L'importanza di garantire la sopravvivenza di un ambiente insediativo diffuso. 27 milioni di italiani vivono in territori a minore concentrazione urbana (bassa densità abitativa e lontananza dalle principali agglomerazioni). Nell'ultimo intervallo intercensuario la popolazione di questi piccoli comuni (sotto i 2.000 abitanti) è aumentata del 3,7%. Essi costituiscono il 29% circa della superficie nazionale e accolgono meno del 6% della popolazione. Chi vive in piccoli comuni sopporta abitualmente il disagio connesso al raggiungimento dei servizi di cui necessita. Su 3.491 comuni piccoli e periferici solo 42 dispongono di un liceo o di un istituto tecnico, solo 263 sono serviti da una piccola stazione ferroviaria. Differenze minime si registrano per gli uffici postali, sicuramente il servizio a maggior livello di distribuzione sul territorio nazionale: la copertura è del 96,3% a livello nazionale e del 92,1% per i piccoli comuni lontani dalle aree urbane. Molto più contenuta la dotazione di stazioni ferroviarie bronze (impianti piccoli con bassa frequentazione), che passa da una copertura del 21,1% a livello nazionale al 7,5% per i piccoli comuni. Situazione ancora più penalizzante per quanto concerne le scuole superiori (18,3% contro 1,2%).

Piano città e fondi strutturali: prospettive e criticità di una nuova stagione di politiche di rigenerazione. Per il periodo di programmazione 2014-2020 almeno il 5% dei nuovi fondi Fesr dovrà andare a programmi integrati di sviluppo urbano. Per l'Italia si tratta di circa 2 miliardi di euro, considerando il cofinanziamento nazionale. È una buona notizia? Dipenderà dalla capacità di elaborare progetti credibili e di saperne gestire l'attuazione. Proprio la recente vicenda del Piano città, il programma nazionale per le città lanciato nel 2012 dal precedente governo, alimenta alcune preoccupazioni in questa direzione. Pur a fronte di risorse modeste, alla scadenza di ottobre 2012 sono arrivate a Roma oltre 450 candidature: una risposta di gran lunga superiore alle attese. Tra le tante proposte arrivate la cabina di regia ne ha dovute selezionare appena 28, quelle considerate ad alta priorità.Peraltro, i tempi di avvio della fase attuativa si sono rivelati ben più lenti di quelli annunciati ottimisticamente in partenza, quando si parlava di cantieri aperti per Natale 2012. Teoricamente la somma dei 28 progetti corrisponde, in termini di valore degli interventi inclusi in ciascuna proposta a ben 4,4 miliardi di euro, tra finanziamenti pubblici e investimenti privati. Di fatto le risorse effettivamente disponibili sono prevalentemente quelle statali; complessivamente il finanziamento concesso dalla cabina di regia rappresenta meno dell'8% del valore globale dei progetti.

I comportamenti quotidiani: cittadini più evoluti delle città? Grazie ad una tecnologia sempre più diffusa e accessibile, ma anche a una maggiore consapevolezza dei cittadini, nei comportamenti quotidiani sempre maggiori quote di abitanti sperimentano, almeno parzialmente e alla piccola scala, nuove modalità per semplificare i processi e abbattere gli impatti sull'ambiente. Lo confermano i dati di una recente indagine realizzata da Rur e Censis. Sempre meno italiani devono recarsi in un ufficio postale per operazioni elementari come il pagamento delle bollette, dato che ormai il 48% ha la domiciliazione bancaria delle utenze, un altro 9% si reca in una qualsiasi tabaccheria e il 5% opera online. Dalle nuove generazioni viene la richiesta di una città in cui la connessione sia gratuita e accessibile ovunque grazie al wifi. Tra i giovani fino a 29 anni, più del 60% lo ritiene un importante servizio di base che dovrebbe essere garantito al pari dell'illuminazione pubblica, mentre un altro 27% lo considera utile ma limitatamente a determinati luoghi della città. passi avanti fatti negli ultimi anni nella separazione domestica dei rifiuti sono rilevanti: più dei due terzi degli intervistati (67,5%) affermano di aver ricevuto adeguate informazioni e di essere a conoscenza delle regole di base della raccolta differenziata, un altro 20%, pur essendo stato informato, è confuso e non ha le idee chiare al riguardo, infine il 12,6% si dichiara del tutto disinformato.

Evoluzione della famiglia e frazionamento degli alloggi. La moltiplicazione dei soggetti di domanda abitativa legata all'aumento del numero di famiglie rappresenta un fattore rilevante di lunga deriva. Non solo gran parte dello stock, essendo stato realizzato in un'altra fase storica, non possiede le caratteristiche costruttive e tecnologiche oggi richieste, ma anche dal punto di vista dimensionale e tipologico appare sempre più sfasato rispetto all'evoluzione della famiglia italiana. Nel 1971 il numero medio di stanze per abitazione occupata (3,68) era sostanzialmente in linea con il numero medio di componenti per famiglia (3,35). Negli anni successivi l'obiettivo del continuo miglioramento della condizione abitativa ha contribuito a far crescere le dimensioni delle case, mentre parallelamente la dimensione delle famiglie diminuiva in modo costante. Il risultato è che oggi si registra una dimensione media degli alloggi in termini di stanze (4,2) sproporzionata rispetto alla dimensione media della famiglia (scesa a 2,4 componenti). Il mercato immobiliare, anche per il calo del potere di acquisto delle famiglie, registra il convergere della domanda sulla piccola dimensione. La quota di monolocali e piccole abitazioni sul totale delle abitazioni scambiate nel 2012 a Torino supera il 55%, a Milano sfiora il 49%, a Roma si attesta sul 42% e a Napoli sul 36%.

 
 
 

rapporto censis

Post n°1510 pubblicato il 07 Dicembre 2013 da deosoe

 
Le energie affioranti per ripartire
Il sistema ha tenuto con fatica. I soggetti emergenti: donne imprenditrici, lavoratori stranieri, giovani che vivono all'estero. Ora puntare sul settore dei servizi (anche oltre confine), l'industria della cultura, l'edilizia innovativa, i grandi eventi internazionali

Roma, 6 dicembre 2013 - (LA FATICOSA TENUTA DEL SISTEMA) La messa in sicurezza delle reti familiari. Le famiglie italiane hanno attuato una profonda ridefinizione dei consumi, attaccando sprechi ed eccessi in nome di una nuova sobrietà. Il 76% dà la caccia alle promozioni, il 63% sceglie gli alimenti in base al prezzo più conveniente, il 62% ha aumentato gli acquisti di prodotti di marca commerciale, il 68% ha diminuito le spese per cinema e svago, il 53% ha ridotto gli spostamenti con auto e scooter per risparmiare benzina, il 45% ha rinunciato al ristorante. Nonostante ciò, la pressione fiscale e le spese non derogabili comportano uno stato di tensione continua. Per il 72,8% delle famiglie un'improvvisa malattia grave o la necessità di significative riparazioni per la casa o per l'auto sono un serio problema. Il pagamento di tasse e tributi (24,3%), bollette (22,6%), rate del mutuo (6,8%) mette in difficoltà una quota significativa di italiani. Sono poco meno di 8 milioni le famiglie che hanno ricevuto dalle rispettive reti familiari una forma di aiuto nell'ultimo anno. E 1,2 milioni di famiglie, che non sono riuscite a coprire le spese con il proprio reddito, hanno fatto ricorso a prestiti di amici.

Le reazioni alla crisi del tessuto d'impresa. La recessione ha portato alla cessazione di più di un 1,6 milioni di imprese tra il 2009 e oggi. Tuttavia nel piccolo commercio, che conta oltre 770.000 imprese, i negozi di vicinato che operano nell'alimentare, pur essendo stati spiazzati dalla grande distribuzione, hanno registrato un lieve incremento, vicino all'1% tra il 2009 e la prima metà del 2013. Il commercio ambulante è cresciuto di quasi l'8% (da 168.000 operatori a quasi 181.000). Gli operatori del commercio online sono quasi 12.000, aumentati del 20% tra il 2009 e oggi. A una difesa delle posizioni, negli anni della crisi, va anche ascritta la presenza endemica dell'abusivismo commerciale. La quota del commercio abusivo raggiunge il 7,1%, per un totale di circa 68.000 esercizi commerciali, di cui il 52% in aree pubbliche o aree mercatali e il restante 48% in sede fissa. Particolarmente elevato è l'abusivismo nell'ambulantato, pari al 19,4%. Il giro d'affari sottratto al commercio regolare è pari a 8,8 miliardi di euro.

(LE SOGGETTUALITÀ EMERGENTI) Le donne come nuovo ceto borghese produttivo. Capacità di resistenza e adattamento difensivo, ma anche di innovazione, rilancio e cambiamento, sono tratti essenziali delle strategie messe in atto dalle donne nel mondo produttivo. Alla fine del secondo trimestre del 2013, le imprese con titolare donna erano 1.429.880, il 23,6% del totale. Nell'ultimo anno il saldo è positivo (quasi 5.000 unità in più). Le «imprese rosa» sono concentrate nel commercio (28,7%), in agricoltura (16,2%), nei servizi di alloggio e ristorazione (9,2%). Sono prevalentemente di piccole dimensioni (quasi il 69% ha meno di un addetto) e di tipo individuale (il 60% del totale). L'incremento più significativo nell'ultimo anno si registra però per le società di capitali: 9.027 unità in più, +4,2%. E la partecipazione delle donne come libere professioniste al mercato del lavoro ha registrato un incremento del 3,7% tra il 2007 e il 2012.

Gli immigrati «volano» sulle ali dell'intrapresa. Nonostante non manchino fenomeni di irregolarità e circoscritte violazioni delle norme di sicurezza, l'impresa immigrata è ormai una realtà vasta e significativa nel nostro Paese. Sono 379.584 gli imprenditori stranieri che lavorano in Italia: +16,5% tra il 2009 e il 2012, +4,4% solo nell'ultimo anno. L'imprenditoria straniera rappresenta l'11,7% del totale. Si concentra nelle costruzioni (il 21,2% del totale) e nel commercio al dettaglio (20%). Di fronte alla crisi che sta colpendo i negozi italiani, che dal 2009 sono diminuiti del 3,3%, gli stranieri sono invece cresciuti del 21,3% nel comparto al dettaglio (dove gli esercizi commerciali a titolarità straniera sono 120.626) e del 9,1% nel settore dell'ingrosso (21.440). Quanto alla nazionalità dei proprietari, oltre 40.000 negozi sono gestiti da marocchini e più di 12.000 da cinesi. Sono 85.000 gli stranieri che lavorano in proprio e hanno dipendenti italiani e/o stranieri. Negli ultimi quattro anni, mentre gli italiani diminuivano del 3,6%, sono aumentati del 14,3%. Si tratta soprattutto di artigiani, sono più giovani degli italiani.

I giovani, navigatori del nuovo mondo globale. L'Italia oltre confine ammonta a oltre 4,3 milioni di connazionali. Nell'ultimo decennio il numero di cittadini che si sono trasferiti all'estero è più che raddoppiato, passando dai circa 50.000 del 2002 ai 106.000 del 2012 (+115%). Ma è stato soprattutto nell'ultimo anno che l'incremento si è accentuato (+28,8%). Nel 54,1% dei casi si è trattato di giovani con meno di 35 anni. Secondo un'indagine del Censis, circa 1.130.000 famiglie italiane (il 4,4% del totale) hanno avuto nel corso del 2013 uno o più componenti residenti all'estero. A questa quota si aggiunge un altro 1,4% di famiglie in cui uno o più membri sono in procinto di trasferirsi. Chi se ne è andato lo ha fatto per cercare migliori opportunità di carriera e di crescita professionale (il 67,9%), per trovare lavoro (51,4%), per migliorare la propria qualità della vita (54,3%), per fare un'esperienza di tipo internazionale (43,2%), per lasciare un Paese in cui non si trovava più bene (26,5%), per vivere in piena libertà la propria vita sentimentale, senza essere vittima di pregiudizi o atteggiamenti discriminatori, come nel caso degli omosessuali (12%). Nel confronto con l'estero, per loro il difetto più intollerabile dell'Italia è l'assenza di meritocrazia, denunciata dal 54,9%, poi il clientelismo e la bassa qualità delle classi dirigenti (per il 44,1%), la scarsa qualità dei servizi (28,7%), la ridotta attenzione per i giovani (28,2%), lo sperpero di denaro pubblico (27,4%).

(SPAZI SEMIVUOTI ED ENERGIE AFFIORANTI) Per un terziario oltre confine. L'incidenza del comparto terziario in Italia è pari al 73,7% del Pil, in linea con il 79% della Francia, il 77,9% del Regno Unito, il 70,6% della Spagna, il 68,7% della Germania. Ma nel nostro Paese è elevata l'incidenza di servizi che danno minore dinamicità all'economia. La quota sul Pil di attività come l'intermediazione immobiliare, i servizi alla persona e la Pubblica Amministrazione raggiunge il 21,9% in Italia e il 18,3% nella media degli altri grandi Paesi europei. Altrettanto vale per il comparto commerciale, del turismo e della logistica, che registra un'incidenza del 20,6% contro una media del 17,9%. Al contrario, nei segmenti più propulsivi legati direttamente o indirettamente ai servizi alle imprese (dalla finanza all'informatica, alla consulenza) la quota italiana sul Pil è del 19,9% contro una media del 23%. Altrettanto vale per un segmento come la formazione e la cultura, dove siamo all'11,3% a fronte di una media del 14,7%. In più, per ogni ora lavorata nel terziario in Italia si producono 32 euro, mentre nell'area dell'euro si sale a 36 euro e soprattutto in Germania a 40 euro e in Francia a 45 euro. Il nostro terziario soffre di una composizione troppo tradizionale, più al servizio della famiglia che legata ai grandi processi di trasformazione organizzativa dell'impresa, più sostenuta dalla spesa pubblica che da un'autonoma ricerca di competitività. Ma soprattutto opera prevalentemente nel mercato interno, non esporta servizi all'estero ed è scarsamente internazionalizzato.

Una logica industriale per la cultura. Nel 2012 l'Italia, primo Paese al mondo nella graduatoria dei siti Unesco, presentava una dimensione del settore culturale fortemente contenuta se comparata ad altri Paesi europei. Il numero dei lavoratori (309.000, pari all'1,3% del totale) coincide con la metà di quello di Regno Unito (755.000) e Germania (670.000), ed è molto inferiore rispetto a Francia (556.000) e Spagna (409.000). Anche il valore aggiunto prodotto in Italia di 12 miliardi di euro (contro i 35 miliardi della Germania e i 26 miliardi della Francia) contribuisce solo per l'1,1% a quello totale del Paese (meno che negli altri Paesi europei). Mentre in Spagna (+14,7%), Francia (+9,2%), Germania (+4,8%) il valore aggiunto prodotto in ambito culturale è cresciuto significativamente tra il 2007 e il 2012, da noi l'incremento è stato molto debole, pari all'1%. A impedirne la crescita è la logica di governo del settore e modelli gestionali che ostacolano una maggiore integrazione tra pubblico e privato.

L'edilizia innovativa come leva per la ripresa. È ora di guardare anche in Italia all'economia della trasformazione urbana e territoriale, con i suoi diversi segmenti (grandi opere, rigenerazione urbana, edilizia residenziale, immobiliare, recupero del patrimonio storico-artistico) non più come un settore tradizionale in crisi di fatturato e occupazione, ma come un ambito in cui il ripensamento dei modelli può creare enormi opportunità. Dal 2007 al 2012 le compravendite di abitazioni sono diminuite del 45%, nel 2013 il calo potrebbe arrivare al 50% (400.000 abitazioni vendute). Ma le famiglie che hanno manifestato l'intenzione di acquistare casa sono state 907.000 e solo il 53,5% è riuscito a realizzare l'acquisto. Infatti, dal 2007 al 2012 il risparmio netto annuo per famiglia è passato da 4.000 euro a 1.300 euro. Il comparto in affitto riguarda oggi il 14,9% delle famiglie. I nuclei giovani sono il 23,8% degli inquilini. La parte più consistente degli inquilini è localizzata nel Mezzogiorno (39,2%) e nelle grandi città, con oltre 100.000 abitanti (31,4%). Il 40,8% ha un reddito netto mensile di 1.000 euro e un ulteriore 44,1% compreso fra 1.000 e 2.000 euro.

La funzione shock dei grandi eventi internazionali. Cresce nel Paese l'attenzione attorno all'Expo di Milano che aprirà i battenti il 1° maggio 2015 e, nelle attese, dovrebbe portare in sei mesi oltre 20 milioni di visitatori. Il dibattito sui grandi eventi si riaffaccia anche in relazione all'ipotesi di una candidatura italiana alle Olimpiadi 2024, a fronte di buone chance di una localizzazione europea dopo gli appuntamenti di Rio 2016 e Tokyo 2020. Che ci sia voglia nel Paese di scommettere sui grandi eventi lo dimostra anche la competizione intrapresa da numerosi comuni italiani per la selezione della città Capitale europea della cultura 2019, con 21 candidature iniziali.

Una strategia di nicchia anche per i servizi. La bilancia dei pagamenti dei servizi legali e di consulenza e di quelli pubblicitari e di ricerche di mercato presenta un deficit di 2 miliardi di euro (in peggioramento) originato, più che dall'ampiezza del flusso di import (4,8 miliardi di euro, sostanzialmente in linea, tenuto conto delle dimensioni economiche, con quello di altri Paesi europei), dalla modestia di quello dell'export: appena 2,8 miliardi di euro, che collocano l'Italia all'ottava posizione tra i Paesi dell'Ue, preceduta anche dalla Polonia. Ma tra il 2009 e il 2012 l'export italiano dei servizi di ingegneria, architettura e altre consulenze tecniche è stato protagonista di una crescita impressiva, risalendo da meno di 1 miliardo di euro a più di 2,5 miliardi e portando il saldo settoriale a un attivo record di 1,2 miliardi. La crescita triennale è del 165% e il dato del 2012 supera anche i valori pre-crisi.

(AVVITAMENTO DELLA POLITICA E NUOVE TENDENZE VALORIALI) Il ritorno del decisionismo dal centro. La quota dei disegni di legge provenienti dal Parlamento nelle due ultime legislature è pari al 94,4%, contro il 4,4% del Governo. La quota delle leggi approvate si ferma però al 22,2% per il Parlamento e raggiunge il 76,6% per quelle promosse dal Governo. L'indice di approvazione delle leggi è incontrovertibile: 0,8% per il Parlamento (superato in termini di efficacia anche dalle Regioni, che presentano un indice di finalizzazione del 5,1%) e 62,2% per il Governo.

La difesa del microterritorio come residuale partecipazione politica. Il 56% degli italiani (contro il 42% della media europea) non ha attuato nessun tipo di coinvolgimento civico negli ultimi due anni, neppure quelli di minore impegno, come la firma di una petizione. Più di un quarto dei cittadini manifesta una lontananza pressoché totale dalla dimensione politica, non informandosi mai al riguardo. Al contrario, si registrano nuove energie difensive in tanta parte del territorio nazionale contro la chiusura di ospedali, tribunali, uffici postali o presidi di sicurezza.

 
 
 

Rapporto censis

Post n°1509 pubblicato il 07 Dicembre 2013 da deosoe

Roma, 6 dicembre 2013 - L'empowerment degli operatori fa la buona sanità. Nella tensione alla razionalizzazione del servizio sanitario, una nuova attenzione sta maturando per l'analisi e la promozione di tutti i fattori che, all'interno dei servizi e delle organizzazioni sanitarie, possono impattare positivamente sul benessere e il clima organizzativo. Dalle diverse indagini che analizzano l'empowermet degli operatori sanitari, tra cui la recente sperimentazione Agenas-Censis, emergono alcuni elementi ricorrenti. Gli aspetti del clima organizzativo definiti più positivamente dagli operatori risultano quelli che attengono al rapporto con i pazienti (per il 98,5% di quanti si ritengono soddisfatti) e i loro familiari (93,9%), ma nelle relazioni con i colleghi e soprattutto con i superiori emergono le criticità legate alla mancata corrispondenza tra impegno, risultato e riconoscimento.

La spesa farmaceutica nella crisi del Ssn. La progressiva riduzione della spesa farmaceutica territoriale totale, pubblica e privata, ha fatto registrare in Italia nel 2012 un totale di 19.389 milioni di euro, con una riduzione rispetto al 2008 di -1,9% e di -5,6% rispetto all'anno precedente. A fronte della riduzione costante della spesa pubblica, diminuita in termini nominali in un solo anno dell'8%, la spesa privata fa registrare un andamento opposto di crescita costante (dal 2008 al 2012 +12,3%), in particolare la spesa per ticket sui farmaci (aumentata del 117,3% dal 2008 al 2012), che nell'ultimo anno ha raggiunto la quota di 1,4 miliardi di euro. Diminuisce pertanto la quota di spesa coperta dal Ssn, che è passata dal 65,9% del 2008 al 61% del 2012. Non stupisce quindi che a questi dati strutturali corrisponda la sensazione espressa dalla maggioranza dei cittadini che la spesa di tasca propria per l'acquisto dei farmaci, sia essa legata al pagamento dei ticket, che per il pagamento eventuale della differenza di prezzo per i farmaci con marchio, sia per quelli a pagamento intero, sia aumentata.

Finanziare e impiegare meglio le risorse, vera priorità del welfare. La spesa pubblica per la protezione sociale in Italia è pari a quasi il 30% del Prodotto interno lordo e in rapporto al Pil nel periodo di crisi è cresciuta di 3,2 punti percentuali. Il dato poco riflette la limatura progressiva della spesa pubblica per il welfare che sta impattando seriamente sui bilanci delle famiglie. Da un'indagine realizzata dal Censis si evidenzia infatti che il 27% degli intervistati dichiara che gli è capitato di dover pagare un ticket su una prestazione sanitaria superiore al costo che avrebbe sostenuto se avesse acquistato la prestazione nel privato pagando il costo per intero di tasca propria. Cresce quindi il ricorso al privato e all'intramoenia. Le prestazioni svolte più frequentemente in strutture private a pagamento intero riguardano: l'odontoiatria, con quasi il 90% dei cittadini che vi ha svolto estrazioni dentarie semplici, con anestesia; la ginecologia (57%); la riabilitazione motoria in motuleso semplice (36%); le visite ortopediche (34,4%). Il 38% degli italiani ha aumentato negli ultimi anni il ricorso al privato per la riabilitazione motoria, oltre il 35% per la colonscopia, il 34% per le visite ortopediche; per l'intramoenia invece il 23,3% degli intervistati ha aumentato il ricorso per la riabilitazione motoria, oltre il 17% per l'ecografia all'addome completo, il 16,7% per le visite ortopediche. gli italiani giudicano negativamente le manovre di finanza pubblica sulla sanità, non solo perché hanno tagliato i servizi e ridotto la qualità (61%), o perché hanno accentuato le differenze di copertura tra regioni, ceti sociali (73%), ma perché hanno puntato troppo sui tagli e poco sulla ricerca di nuove fonti di finanziamento, dai fondi sanitari alle polizze malattie (67%).

Centralità delle reti di relazioni e rischi di erosione. L'incremento delle persone che vivono sole rischia di scardinare l'organizzazione del sistema di welfare italiano, che tende a internalizzare nelle famiglie, sia pure allargate, le risposte ad una molteplicità di bisogni sociali. Le persone che vivono sole sono oltre 7,5 milioni, pari al 14,5% della popolazione da 15 anni in poi; di queste, quasi 2 milioni hanno tra 15 e 45 anni, pari all'8,2% di questa classe di età (in aumento rispetto al 2002 del 31%), poco più di 2 milioni hanno tra 45 e 64 anni, pari al 12,2% (+71%) e oltre 3,6 milioni sono anziani, pari al 29,5% (+24,8%). Rispetto al 2002 si registra un aumento del 36,6%, pari a quasi 2 milioni di persone in più. Piace vivere da soli a oltre l'83% degli intervistati con età fino a 34 anni, al 69% degli adulti fino a 54 anni, a meno di un quarto tra i 55-64enni e a meno del 16% tra i longevi. Vivere da soli è una condizione che proietta verso l'esterno una domanda di relazionalità e di tutela, e che richiede l'integrazione di una efficace rete di relazioni. Così, le istituzioni non profit nel nostro Paese al 2011 sono 301.191, con un incremento di quasi 66.000 unità, pari a +28% rispetto al 2001; nel complesso vi operano 5,7 milioni di persone, di cui 4.759.000 volontari, quasi 681.000 dipendenti, 270.769 lavoratori esterni (collaboratori a progetto, con contratto occasionale, con contratto occasionale di tipo accessorio) e 5.544 lavoratori temporanei. Rispetto al 2001 si registrano dinamiche di crescita significative: i volontari sono aumentati del 43,5%, i dipendenti del 39,4%, i lavoratori esterni del 169,4% e i temporanei del 48%.

Previdenza complementare e sanità integrativa, queste semisconosciute. Esiste un buco nero informativo e di conoscenza molto ampio per i filoni di welfare che dovrebbero potenzialmente affiancare il pilastro pubblico, dalla sanità integrativa (che oggi conta oltre 11 milioni di assistiti) alla previdenza complementare (con oltre 6 milioni di iscritti). Da un'indagine del Censis emerge che il 33,6% degli intervistati non ha mai sentito parlare di fondi sanitari integrativi e polizze malattia, e un ulteriore 34,9%, pur avendone sentito parlare, non sa esattamente cosa siano. Più del 53% dichiara di non conoscere le differenze tra un fondo sanitario integrativo e una polizza malattia, e oltre il 57% non è a conoscenza del fatto che i fondi sanitari integrativi garantiscono un vantaggio fiscale rispetto alle polizze malattia. Anche per la previdenza complementare, da un'indagine Censis-Covip su un ampio campione nazionale di lavoratori emerge una ridotta conoscenza di aspetti essenziali: il 35% degli intervistati dichiara di non conoscere il rapporto tra i benefici fiscali della previdenza complementare e quelli relativi ad altre forme di investimento; il 33% non è informato sui parametri per la rivalutazione dei contributi versati; oltre il 16% non sa della possibilità o meno di disporre in tutto o in parte del capitale prima del pensionamento. All'esercito degli estranei alla previdenza complementare va aggiunto quello dei lavoratori che hanno conoscenza errata; in totale sono 16 milioni i lavoratori italiani che di fatto non conoscono o conoscono male la previdenza complementare.

 
 
 

Rapporto censis

Post n°1508 pubblicato il 07 Dicembre 2013 da deosoe

Roma, 6 dicembre 2013 - Il ruolo strategico dell'istruzione degli adulti. Il 21,7% della popolazione italiana con più di 15 anni ancora oggi possiede al massimo la licenza elementare. Per quanto si tratti di un fenomeno concentrato nelle fasce d'età più anziane, un campanello d'allarme squilla per il 2% di 15-19enni, l'1,5% di 20-24enni, il 2,4% di 25-29enni e il 7,7% di 30-59enni che non hanno mai conseguito un titolo di scuola secondaria di primo grado. E anche per quel 56,2% di ultrasessantenni senza licenza media (23% tra gli occupati) i vantaggi di un "ritorno a scuola" sarebbero indiscutibili per il rafforzamento del loro kit di strumenti utili ad affrontare le sfide della complessità sociale. Inoltre, si è fermato alla licenza media il 43,1% dei 25-64enni. Il circuito vizioso tra bassi titoli di studio, problemi occupazionali e scarsa propensione all'ulteriore formazione è, infine, testimoniato: dalla significativa incidenza tra i giovani Neet di individui con al massimo la licenza media (43,7%); dalla marginale partecipazione complessiva della popolazione adulta ad attività formative, se in possesso della sola licenza elementare (0,8% del totale) o diploma di scuola secondaria di primo grado (1,9%).

Aggredire la dispersione includendo il territorio. Nel nostro Paese la quota di early school leavers, seppure in tendenziale diminuzione, continua a essere significativa e in alcune aree geografiche pericolosamente endemica. Se nel 2012 la popolazione di 18-24 anni con al più la licenza media che non frequentava altri corsi scolastici o attività formative superiori ai due anni era pari al 17,6%, in alcune aree del Paese restava al di sopra della soglia del 20%: ad esempio nel complesso delle regioni meridionali (21,1%). Lo scenario nazionale è distante non solo da quello medio europeo (12,8%), ma soprattutto dall'obiettivo fissato da Europa 2020, secondo il quale i giovani che abbandonano precocemente gli studi non dovranno superare la soglia del 10%. In Italia nel 2011 alla fine del primo anno aveva abbandonato gli studi l'11,4% degli studenti iscritti. Lo stesso indicatore nelle regioni del Nord e del Centro era rispettivamente 10,4% e 10,3%, mentre i tassi di abbandono erano del 13% nel Mezzogiorno nel complesso e del 14,9% nelle sole isole.

L'integrazione scolastica degli alunni disabili: un processo sinergico. I dati sulla distribuzione nell'anno scolastico 2013-2014 dei 207.244 alunni disabili, pari al 2,6% del totale degli alunni iscritti, attestano una loro maggiore presenza nella ripartizione settentrionale del Paese, dove si concentra il 38% del totale, seguita dal Sud e isole (35,6%) e infine dal Centro, dove la percentuale è del 19,9%. La periodica rilevazione del Censis sui dirigenti scolastici, che quest'anno ne ha coinvolti 2.178, evidenzia che il 47,1% ha dichiarato che nel proprio istituto l'integrazione degli alunni con disabilità non è un problema, mentre per il 29,3% è un problema in via di risoluzione. Tuttavia, ancora per quasi un dirigente su quattro (23,6%) tale processo resta un problema di difficile soluzione. I principali problemi sono: l'insufficiente numero di insegnanti per le attività di sostegno rispetto alla numerosità dell'utenza (70,6%), la difficoltà nella gestione dei rapporti con gli altri soggetti coinvolti nel processo di inserimento - servizi socio-sanitari, enti locali, altre scuole/enti formativi, ecc. - (39,9%) e la inadeguata specializzazione dei docenti di sostegno rispetto alle specifiche disabilità (26,5%).

Il sistema di istruzione e formazione professionale di fronte alla sfida della sussidiarietà. I percorsi triennali d'istruzione e formazione professionale costituiscono ormai una scelta concreta e sempre più perseguita al termine della scuola secondaria di primo grado. Degli appena 23.563 allievi dei primi corsi si è giunti ai 241.620 dell'anno formativo 2011/2012. Secondo l'indagine del Censis, numerose e diversificate sono le azioni intraprese dagli istituti professionali per incrementare il successo formativo degli iscritti ai percorsi triennali. Le azioni più diffuse sono quelle finalizzate a garantire il raccordo tra studio e lavoro, in primo luogo l'attivazione di stage (74,3%) o di percorsi in alternanza scuola/lavoro (72,9%). Un analogo livello di diffusione (72,2%) sembra caratterizzare la realizzazione di una didattica laboratoriale, seguita dalle attività di raccordo tra le competenze di base e le competenze professionalizzanti (64,6%).

L'università italiana: un sistema squilibrato territorialmente e con scarsa capacità di globalizzazione. Le università italiane stentano a collocarsi all'interno delle reti internazionali di ricerca. Secondo l'indagine del Censis sui rettori italiani, tra i fattori più efficaci per accrescere la competitività dei loro atenei c'è al primo posto il miglioramento della qualità dei servizi e delle strutture di supporto alla didattica (73,8%), poi lo sviluppo di collaborazioni internazionali nelle attività di ricerca (54,8%), lo sviluppo di percorsi di laurea a doppio titolo/titolo aggiunto con atenei stranieri (52,4%), le ricerche di grande rilevanza scientifica (40,5%) e l'incremento del numero di laureati in corso (38,1%). Le criticità esistenti sono aggravate dal divario territoriale tra Nord e Sud del Paese. Nel decennio 2002-2012 l'indice regionale di attrattività delle università passa nel Mezzogiorno da -20,7% a -28,3%, incrementandosi negativamente di oltre 7 punti percentuali. Nelle regioni insulari l'indice precipita da -10,1% nel 2002 a -26,2% nel 2012.

 
 
 

rapporto censis

Post n°1507 pubblicato il 07 Dicembre 2013 da deosoe

 
Le energie affioranti per ripartire
Il sistema ha tenuto con fatica. I soggetti emergenti: donne imprenditrici, lavoratori stranieri, giovani che vivono all'estero. Ora puntare sul settore dei servizi (anche oltre confine), l'industria della cultura, l'edilizia innovativa, i grandi eventi internazionali

Roma, 6 dicembre 2013 - (LA FATICOSA TENUTA DEL SISTEMA) La messa in sicurezza delle reti familiari. Le famiglie italiane hanno attuato una profonda ridefinizione dei consumi, attaccando sprechi ed eccessi in nome di una nuova sobrietà. Il 76% dà la caccia alle promozioni, il 63% sceglie gli alimenti in base al prezzo più conveniente, il 62% ha aumentato gli acquisti di prodotti di marca commerciale, il 68% ha diminuito le spese per cinema e svago, il 53% ha ridotto gli spostamenti con auto e scooter per risparmiare benzina, il 45% ha rinunciato al ristorante. Nonostante ciò, la pressione fiscale e le spese non derogabili comportano uno stato di tensione continua. Per il 72,8% delle famiglie un'improvvisa malattia grave o la necessità di significative riparazioni per la casa o per l'auto sono un serio problema. Il pagamento di tasse e tributi (24,3%), bollette (22,6%), rate del mutuo (6,8%) mette in difficoltà una quota significativa di italiani. Sono poco meno di 8 milioni le famiglie che hanno ricevuto dalle rispettive reti familiari una forma di aiuto nell'ultimo anno. E 1,2 milioni di famiglie, che non sono riuscite a coprire le spese con il proprio reddito, hanno fatto ricorso a prestiti di amici.

Le reazioni alla crisi del tessuto d'impresa. La recessione ha portato alla cessazione di più di un 1,6 milioni di imprese tra il 2009 e oggi. Tuttavia nel piccolo commercio, che conta oltre 770.000 imprese, i negozi di vicinato che operano nell'alimentare, pur essendo stati spiazzati dalla grande distribuzione, hanno registrato un lieve incremento, vicino all'1% tra il 2009 e la prima metà del 2013. Il commercio ambulante è cresciuto di quasi l'8% (da 168.000 operatori a quasi 181.000). Gli operatori del commercio online sono quasi 12.000, aumentati del 20% tra il 2009 e oggi. A una difesa delle posizioni, negli anni della crisi, va anche ascritta la presenza endemica dell'abusivismo commerciale. La quota del commercio abusivo raggiunge il 7,1%, per un totale di circa 68.000 esercizi commerciali, di cui il 52% in aree pubbliche o aree mercatali e il restante 48% in sede fissa. Particolarmente elevato è l'abusivismo nell'ambulantato, pari al 19,4%. Il giro d'affari sottratto al commercio regolare è pari a 8,8 miliardi di euro.

(LE SOGGETTUALITÀ EMERGENTI) Le donne come nuovo ceto borghese produttivo. Capacità di resistenza e adattamento difensivo, ma anche di innovazione, rilancio e cambiamento, sono tratti essenziali delle strategie messe in atto dalle donne nel mondo produttivo. Alla fine del secondo trimestre del 2013, le imprese con titolare donna erano 1.429.880, il 23,6% del totale. Nell'ultimo anno il saldo è positivo (quasi 5.000 unità in più). Le «imprese rosa» sono concentrate nel commercio (28,7%), in agricoltura (16,2%), nei servizi di alloggio e ristorazione (9,2%). Sono prevalentemente di piccole dimensioni (quasi il 69% ha meno di un addetto) e di tipo individuale (il 60% del totale). L'incremento più significativo nell'ultimo anno si registra però per le società di capitali: 9.027 unità in più, +4,2%. E la partecipazione delle donne come libere professioniste al mercato del lavoro ha registrato un incremento del 3,7% tra il 2007 e il 2012.

Gli immigrati «volano» sulle ali dell'intrapresa. Nonostante non manchino fenomeni di irregolarità e circoscritte violazioni delle norme di sicurezza, l'impresa immigrata è ormai una realtà vasta e significativa nel nostro Paese. Sono 379.584 gli imprenditori stranieri che lavorano in Italia: +16,5% tra il 2009 e il 2012, +4,4% solo nell'ultimo anno. L'imprenditoria straniera rappresenta l'11,7% del totale. Si concentra nelle costruzioni (il 21,2% del totale) e nel commercio al dettaglio (20%). Di fronte alla crisi che sta colpendo i negozi italiani, che dal 2009 sono diminuiti del 3,3%, gli stranieri sono invece cresciuti del 21,3% nel comparto al dettaglio (dove gli esercizi commerciali a titolarità straniera sono 120.626) e del 9,1% nel settore dell'ingrosso (21.440). Quanto alla nazionalità dei proprietari, oltre 40.000 negozi sono gestiti da marocchini e più di 12.000 da cinesi. Sono 85.000 gli stranieri che lavorano in proprio e hanno dipendenti italiani e/o stranieri. Negli ultimi quattro anni, mentre gli italiani diminuivano del 3,6%, sono aumentati del 14,3%. Si tratta soprattutto di artigiani, sono più giovani degli italiani.

I giovani, navigatori del nuovo mondo globale. L'Italia oltre confine ammonta a oltre 4,3 milioni di connazionali. Nell'ultimo decennio il numero di cittadini che si sono trasferiti all'estero è più che raddoppiato, passando dai circa 50.000 del 2002 ai 106.000 del 2012 (+115%). Ma è stato soprattutto nell'ultimo anno che l'incremento si è accentuato (+28,8%). Nel 54,1% dei casi si è trattato di giovani con meno di 35 anni. Secondo un'indagine del Censis, circa 1.130.000 famiglie italiane (il 4,4% del totale) hanno avuto nel corso del 2013 uno o più componenti residenti all'estero. A questa quota si aggiunge un altro 1,4% di famiglie in cui uno o più membri sono in procinto di trasferirsi. Chi se ne è andato lo ha fatto per cercare migliori opportunità di carriera e di crescita professionale (il 67,9%), per trovare lavoro (51,4%), per migliorare la propria qualità della vita (54,3%), per fare un'esperienza di tipo internazionale (43,2%), per lasciare un Paese in cui non si trovava più bene (26,5%), per vivere in piena libertà la propria vita sentimentale, senza essere vittima di pregiudizi o atteggiamenti discriminatori, come nel caso degli omosessuali (12%). Nel confronto con l'estero, per loro il difetto più intollerabile dell'Italia è l'assenza di meritocrazia, denunciata dal 54,9%, poi il clientelismo e la bassa qualità delle classi dirigenti (per il 44,1%), la scarsa qualità dei servizi (28,7%), la ridotta attenzione per i giovani (28,2%), lo sperpero di denaro pubblico (27,4%).

(SPAZI SEMIVUOTI ED ENERGIE AFFIORANTI) Per un terziario oltre confine. L'incidenza del comparto terziario in Italia è pari al 73,7% del Pil, in linea con il 79% della Francia, il 77,9% del Regno Unito, il 70,6% della Spagna, il 68,7% della Germania. Ma nel nostro Paese è elevata l'incidenza di servizi che danno minore dinamicità all'economia. La quota sul Pil di attività come l'intermediazione immobiliare, i servizi alla persona e la Pubblica Amministrazione raggiunge il 21,9% in Italia e il 18,3% nella media degli altri grandi Paesi europei. Altrettanto vale per il comparto commerciale, del turismo e della logistica, che registra un'incidenza del 20,6% contro una media del 17,9%. Al contrario, nei segmenti più propulsivi legati direttamente o indirettamente ai servizi alle imprese (dalla finanza all'informatica, alla consulenza) la quota italiana sul Pil è del 19,9% contro una media del 23%. Altrettanto vale per un segmento come la formazione e la cultura, dove siamo all'11,3% a fronte di una media del 14,7%. In più, per ogni ora lavorata nel terziario in Italia si producono 32 euro, mentre nell'area dell'euro si sale a 36 euro e soprattutto in Germania a 40 euro e in Francia a 45 euro. Il nostro terziario soffre di una composizione troppo tradizionale, più al servizio della famiglia che legata ai grandi processi di trasformazione organizzativa dell'impresa, più sostenuta dalla spesa pubblica che da un'autonoma ricerca di competitività. Ma soprattutto opera prevalentemente nel mercato interno, non esporta servizi all'estero ed è scarsamente internazionalizzato.

Una logica industriale per la cultura. Nel 2012 l'Italia, primo Paese al mondo nella graduatoria dei siti Unesco, presentava una dimensione del settore culturale fortemente contenuta se comparata ad altri Paesi europei. Il numero dei lavoratori (309.000, pari all'1,3% del totale) coincide con la metà di quello di Regno Unito (755.000) e Germania (670.000), ed è molto inferiore rispetto a Francia (556.000) e Spagna (409.000). Anche il valore aggiunto prodotto in Italia di 12 miliardi di euro (contro i 35 miliardi della Germania e i 26 miliardi della Francia) contribuisce solo per l'1,1% a quello totale del Paese (meno che negli altri Paesi europei). Mentre in Spagna (+14,7%), Francia (+9,2%), Germania (+4,8%) il valore aggiunto prodotto in ambito culturale è cresciuto significativamente tra il 2007 e il 2012, da noi l'incremento è stato molto debole, pari all'1%. A impedirne la crescita è la logica di governo del settore e modelli gestionali che ostacolano una maggiore integrazione tra pubblico e privato.

L'edilizia innovativa come leva per la ripresa. È ora di guardare anche in Italia all'economia della trasformazione urbana e territoriale, con i suoi diversi segmenti (grandi opere, rigenerazione urbana, edilizia residenziale, immobiliare, recupero del patrimonio storico-artistico) non più come un settore tradizionale in crisi di fatturato e occupazione, ma come un ambito in cui il ripensamento dei modelli può creare enormi opportunità. Dal 2007 al 2012 le compravendite di abitazioni sono diminuite del 45%, nel 2013 il calo potrebbe arrivare al 50% (400.000 abitazioni vendute). Ma le famiglie che hanno manifestato l'intenzione di acquistare casa sono state 907.000 e solo il 53,5% è riuscito a realizzare l'acquisto. Infatti, dal 2007 al 2012 il risparmio netto annuo per famiglia è passato da 4.000 euro a 1.300 euro. Il comparto in affitto riguarda oggi il 14,9% delle famiglie. I nuclei giovani sono il 23,8% degli inquilini. La parte più consistente degli inquilini è localizzata nel Mezzogiorno (39,2%) e nelle grandi città, con oltre 100.000 abitanti (31,4%). Il 40,8% ha un reddito netto mensile di 1.000 euro e un ulteriore 44,1% compreso fra 1.000 e 2.000 euro.

La funzione shock dei grandi eventi internazionali. Cresce nel Paese l'attenzione attorno all'Expo di Milano che aprirà i battenti il 1° maggio 2015 e, nelle attese, dovrebbe portare in sei mesi oltre 20 milioni di visitatori. Il dibattito sui grandi eventi si riaffaccia anche in relazione all'ipotesi di una candidatura italiana alle Olimpiadi 2024, a fronte di buone chance di una localizzazione europea dopo gli appuntamenti di Rio 2016 e Tokyo 2020. Che ci sia voglia nel Paese di scommettere sui grandi eventi lo dimostra anche la competizione intrapresa da numerosi comuni italiani per la selezione della città Capitale europea della cultura 2019, con 21 candidature iniziali.

Una strategia di nicchia anche per i servizi. La bilancia dei pagamenti dei servizi legali e di consulenza e di quelli pubblicitari e di ricerche di mercato presenta un deficit di 2 miliardi di euro (in peggioramento) originato, più che dall'ampiezza del flusso di import (4,8 miliardi di euro, sostanzialmente in linea, tenuto conto delle dimensioni economiche, con quello di altri Paesi europei), dalla modestia di quello dell'export: appena 2,8 miliardi di euro, che collocano l'Italia all'ottava posizione tra i Paesi dell'Ue, preceduta anche dalla Polonia. Ma tra il 2009 e il 2012 l'export italiano dei servizi di ingegneria, architettura e altre consulenze tecniche è stato protagonista di una crescita impressiva, risalendo da meno di 1 miliardo di euro a più di 2,5 miliardi e portando il saldo settoriale a un attivo record di 1,2 miliardi. La crescita triennale è del 165% e il dato del 2012 supera anche i valori pre-crisi.

(AVVITAMENTO DELLA POLITICA E NUOVE TENDENZE VALORIALI) Il ritorno del decisionismo dal centro. La quota dei disegni di legge provenienti dal Parlamento nelle due ultime legislature è pari al 94,4%, contro il 4,4% del Governo. La quota delle leggi approvate si ferma però al 22,2% per il Parlamento e raggiunge il 76,6% per quelle promosse dal Governo. L'indice di approvazione delle leggi è incontrovertibile: 0,8% per il Parlamento (superato in termini di efficacia anche dalle Regioni, che presentano un indice di finalizzazione del 5,1%) e 62,2% per il Governo.

La difesa del microterritorio come residuale partecipazione politica. Il 56% degli italiani (contro il 42% della media europea) non ha attuato nessun tipo di coinvolgimento civico negli ultimi due anni, neppure quelli di minore impegno, come la firma di una petizione. Più di un quarto dei cittadini manifesta una lontananza pressoché totale dalla dimensione politica, non informandosi mai al riguardo. Al contrario, si registrano nuove energie difensive in tanta parte del territorio nazionale contro la chiusura di ospedali, tribunali, uffici postali o presidi di sicurezza.

 
 
 

rapporto censis

Post n°1506 pubblicato il 07 Dicembre 2013 da deosoe

Le «Considerazioni generali» del 47° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2013
Una società sciapa e infelice in cerca di connettività
Il crollo non c'è stato, ma troppe persone scendono nella scala sociale. Nuovi spazi imprenditoriali e occupazionali in due ambiti: revisione del welfare e economia digitale. Il sistema ha bisogno e voglia di tornare a respirare, oltre le istituzioni e la politica

Roma, 6 dicembre 2013 - Una sospensione da «reinfetazione». Oggi la società ha bisogno e voglia di tornare a respirare per reagire a due fattori che hanno caratterizzato l'anno. Il primo fattore è lo stato di sospensione da «reinfetazione» dei soggetti politici, delle associazioni di rappresentanza, delle forze sociali nelle responsabilità del Presidente della Repubblica. Ma la reinfetazione, in nome del valore della stabilità, riduce la liberazione delle energie vitali e implica il sottrarsi alle proprie responsabilità dei soggetti che, a diverso titolo e con differenti funzioni, dovrebbero concorrere allo sviluppo, che è sempre un processo di molti. Il secondo fattore è la scelta implicita e ambigua di «drammatizzare la crisi per gestire la crisi» da parte della classe dirigente, che tende a ricercare la sua legittimazione nell'impegno a dare stabilità al sistema partendo da annunci drammatici, decreti salvifici e complicate manovre. Nel progressivo vuoto di classe politica e di leadership collettiva, i soggetti della vita quotidiana rischiano di restare in una condizione di incertezza senza prospettive di élite.

Il crollo non c'è. Il crollo atteso da molti non c'è stato. Negli anni della crisi abbiamo avuto il dominio di un solo processo, che ha impegnato ogni soggetto economico e sociale: la sopravvivenza. C'è stata la reazione di adattamento continuato (spesso il puro galleggiamento) delle imprese e delle famiglie. Abbiamo fatto tesoro di ciò che restava nella cultura collettiva dei valori acquisiti nello sviluppo passato (lo «scheletro contadino», l'imprenditorialità artigiana, l'internazionalizzazione su base mercantile), abbiamo fatto conto sulla capacità collettiva di riorientare i propri comportamenti (misura, sobrietà, autocontrollo), abbiamo sviluppato la propensione a riposizionare gli interessi (nelle strategie aziendali come in quelle familiari).

Una società sciapa e infelice. Quale realtà sociale abbiamo di fronte dopo la sopravvivenza? Oggi siamo una società più «sciapa»: senza fermento, circola troppa accidia, furbizia generalizzata, disabitudine al lavoro, immoralismo diffuso, crescente evasione fiscale, disinteresse per le tematiche di governo del sistema, passiva accettazione della impressiva comunicazione di massa. E siamo «malcontenti», quasi infelici, perché viviamo un grande, inatteso ampliamento delle diseguaglianze sociali. Si è rotto il «grande lago della cetomedizzazione», storico perno della agiatezza e della coesione sociale. Troppa gente non cresce, ma declina nella scala sociale. Da ciò nasce uno scontento rancoroso, che non viene da motivi identitari, ma dalla crisi delle precedenti collocazioni sociali di individui e ceti.

Dov'è oggi il «sale alchemico»? Quel fervore che ha fatto da «sale alchemico» ai tanti mondi vitali che hanno operato come motori dello sviluppo degli ultimi decenni si intravede, tuttavia, nella lenta emersione di processi e soggetti di sviluppo che consentirebbero di andare oltre la sopravvivenza. Si registra una sempre più attiva responsabilità imprenditoriale femminile (nell'agroalimentare, nel turismo, nel terziario di relazione), l'iniziativa degli stranieri, la presa in carico di impulsi imprenditoriali da parte del territorio, la dinamicità delle centinaia di migliaia di italiani che studiano e/o lavorano all'estero (sono più di un milione le famiglie che hanno almeno un proprio componente in tale condizione) e che possono contribuire al formarsi di una Italia attiva nella grande platea della globalizzazione.

Nuove energie e responsabilità in due ambiti: revisione del welfare e economia digitale. Ci sono poi due grandi ambiti che consentirebbero l'apertura di nuovi spazi imprenditoriali e di nuove occasioni occupazionali. Il primo è il processo di radicale revisione del welfare: crescono il welfare privato (il ricorso alla spesa «di tasca propria» e/o alla copertura assicurativa), il welfare comunitario (attraverso la spesa degli enti locali, il volontariato, la socializzazione delle singole realtà del territorio), il welfare aziendale, il welfare associativo (con il ritorno a logiche mutualistiche e la responsabilizzazione delle associazioni di categoria). Il secondo ambito è quello della economia digitale: dalle reti infrastrutturali di nuova generazione al commercio elettronico, dalla elaborazione intelligente di grandi masse di dati agli applicativi basati sulla localizzazione geografica, dallo sviluppo degli strumenti digitali ai servizi innovativi di comunicazione, alla crescita massiccia di giovani «artigiani digitali».

In cerca di connettività. Il filo rosso che può fare da nuovo motore dello sviluppo è la connettività (non banalmente la connessione tecnica) fra i soggetti coinvolti in questi processi. È vero che restiamo una società caratterizzata da individualismo, egoismo particolaristico, resistenza a mettere insieme esistenze e obiettivi, gusto per la contrapposizione emotiva, scarsa immedesimazione nell'interesse collettivo e nelle istituzioni. Eppure la crisi antropologica prodotta da queste propensioni sembra aver raggiunto il suo apice ed è destinata a un progressivo superamento. Oggi le istituzioni non possono fare connettività, perché sono autoreferenziali, avvitate su se stesse, condizionate dagli interessi delle categorie, avulse dalle dinamiche che dovrebbero regolare, pericolosamente politicizzate, con il conseguente declino della terzietà necessaria per gestire la dimensione intermedia fra potere e popolo. E la connettività non può lievitare nemmeno nella dimensione politica, che è più propensa all'enfasi della mobilitazione che al paziente lavoro di discernimento e mediazione necessario per fare connettività, scivolando di conseguenza verso l'antagonismo, la personalizzazione del potere, la vocazione maggioritaria, la strumentalizzazione delle istituzioni, la prigionia decisionale in logiche semplificate e rigide (dalla selva dei decreti legge all'uso continuato dei voti di fiducia). Se istituzioni e politica non sembrano in grado di valorizzarla, la spinta alla connettività sarà in orizzontale, nei vari sottosistemi della vita collettiva. A riprova del fatto che questa società, se lasciata al suo respiro più spontaneo, produce frutti più positivi di quanto si pensi. Sarebbe cosa buona e giusta fargli «tirar fuori il fiato».

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: deosoe
Data di creazione: 30/12/2012
 

PAE

 

BLOG

In classifica

 

VISIONE

blog.libero.it/triballadores

 

 

 

ARCIPELAGHI DI GIOVANNI COLUMBU

 

"SU RE" DI GIOVANNI COLUMBU

 

 

 

 

 

 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

ULTIME VISITE AL BLOG

deosoeViddameabella.itasu1000fcasula45salangelo45luigi.marionidennytaorminalorenzo85dgl2avvbubbabello.mEremoDelCuorehuddle25pandolfi.emilioantonioforevegranatatecnovisual
 

ULTIMI COMMENTI

 

CHI PUÒ SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
I messaggi e i commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963