Triballadoresdi Vittorio Casula |
Messaggi del 01/05/2014
Post n°1681 pubblicato il 01 Maggio 2014 da deosoe
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Post n°1678 pubblicato il 01 Maggio 2014 da deosoe
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Post n°1674 pubblicato il 01 Maggio 2014 da deosoe
Su patriota sardu a sos feudatarios de Frantziscu Casula Post n°796 pubblicato il 29 Aprile 2014 da asu1000
FRANCESCO IGNAZIO MANNU Il magistrato e il poeta cantore delle rivolte antifeudali in Sardegna alla fine del '700 (1758-1839) di Francesco Casula Nasce a Ozieri (Sassari) il 18 Maggio del 1758 da Michele e Margherita. Frequenta l'Università di Sassari ed il 6 Febbraio del 1783 consegue la laurea in leggi e subito dopo si trasferisce a Cagliari per esercitarvi la professione di procuratore legale. Intellettuale proveniente dalla piccola nobiltà rurale, membro attivo dello stamento militare, è seguace di Giovanni Maria Angioy ed ha un ruolo importante nel triennio rivoluzionario e antifeudale (1793-96). E' ricordato nella storia e dunque deve la sua fama all'Inno Su patriottu sardu a sos feudatarios, un volumetto di 12 pagine. L'edizione critica del testo fu curata da Raffa Garzia ed edito nel volume Il canto di una rivoluzione, Appunti di storia e storia letteraria sarda (Tipografia dell'Unione sarda, Cagliari 1809) . "La tradizione -scrive lo storico sardo Luciano Carta- vuole che l'inno sia stato stampato clandestinamente in Corsica nel pieno della lotta antifeudale. R. Garzia, codificando una consolidata tradizione ottocentesca, volle ribattezzare l'inno come la «Marsigliese sarda», attribuendogli significati e valenze di carattere democratico e giacobino storicamente improbabili e sotto il profilo dell'analisi testuale del tutto improponibili. In realtà l'inno del M., come i più recenti studi hanno messo in luce, è il più noto manifesto politico della fase moderata del movimento antifeudale, avviata con le aperture del governo viceregio e dei feudatari del Capo meridionale nell'estate del 1795, al fine di sanare gli abusi di cui si era reso storicamente responsabile il sistema feudale. L'inno veicola una visione moderatamente riformatrice della società e del Regno di Sardegna di fine Settecento, sebbene i toni di alcune strofe denotino una convinta e robusta denuncia dei mali indotti dal sistema feudale nella società sarda. Ripercorre, inoltre, con toni duramente polemici, le principali vicende del «triennio rivoluzionario», denunciando il tradimento della «sarda rivoluzione» da parte di coloro che, per interesse personale e di parte, ne avevano abbandonato l'originaria ispirazione autonomistica e vanificato quel progetto di riforma politica e sociale, da realizzare all'interno dell'istituto monarchico, del tutto alieno da propositi di carattere democratico e giacobino. L'Inno è un lungo e complesso carme in sardo logudorese, di 47 ottave in ottonari,- modellato sui gosos, inni di origine spagnola che nella tradizione religiosa locale venivano cantati in onore dei santi- per un totale di 376 versi in cui ripercorre le vicende di un momento cruciale della storia della Sardegna contemporanea: il periodo del triennio rivoluzionario sardo (1793-96) -che la ricerca storica più recente indica come l'alba della Sardegna contemporanea- anni drammatici, di profondissimi sconvolgimenti e di grandi speranze in cui il popolo sardo -oppresso da un intollerabile regime feudale- riuscì a esprimere in modo corale le sue rivendicazioni di autonomia politica e di riforma sociale. L'inno è legato dunque ai momenti più fervidi della rivolta dei vassalli contro i feudatari, quando alla fine del secolo XVIII i Sardi, acquistata coscienza del loro valore contro i Francesi del generale Troguet, vollero spezzare il giogo dei baroni e dei Piemontesi e reclamarono per sé libertà e giustizia. Esso è dunque imbevuto del diritto naturale della "bona filosofia" illuminista e delle letture degli enciclopedisti francesi: Diderot, Montesquieu, Rousseau. Si tratta dunque di un terribile giambo contro i feudatari, anzi, più che un giambo il suo doveva essere un canto di marcia, una vibrata e ardente requisitoria contro le prepotenze feudali, animata dall'inizio alla fine da un'ira violenta. L'andamento della strofa è concitato e commosso, il contrasto fra l'ozio beato dei feudatari e la vita misera dei vassalli è rappresentata con crudezza: l'inno però, più oratorio che canto, raramente viene trasfigurato in una superiore visione poetica. Comunque dopo tanta arcadia è una voce schietta, maschia e vigorosa e come tale sarà destinato ad avere una enorme risonanza, tanto da diventare il simbolo stesso della sollevazione contro i baroni e da essere declamata dai vassalli in rivolta a guisa di "Marsigliese sarda". L'inno -che sotto il profilo linguistico, si articola su due livelli, uno alto e uno popolare- non è sardo solo nella lingua, ma anche nel repertorio concettuale e simbolico che utilizza. Infatti, anche se, come abbiamo visto, rappresenta un esplicito veicolo di cultura democratica d'oltralpe, esso è un primo esempio di discorso altrui divenuto autenticamente discorso sardo. La tradizione letteraria e musicale della Sardegna non offre molti canti patriottici. Dello stesso Inno sardo Cunservet deus su re,(Conservi Dio il re) che ricalca almeno nel titolo l'inno nazionale inglese, composto da Vittorio Angius nel 1844 e musicato dal maestro Giovanni Gonella, in voga tra i soldati dei reggimenti sardi fino alla Prima Guerra, oggi si conserva appena il ricordo. A un solo componimento i Sardi, almeno a partire dalla fine del XVIII secolo, hanno riconosciuto dignità di canto patriottico, attraverso il quale esprimere il sentimento di ribellione contro le ingiustizie e per una società più equa: è Su patriota (o patriottu) sardu a sos feudatarios di Mannu. Sono stati numerosi gli artisti -sardi e non- che lo hanno musicato, inciso e cantato: da ricordare fra gli altri i Cori di Orgosolo e di Nuoro; i cantanti Peppino Marotto, Anna Maria Puggioni e Maria Carta, Anna Loddo e Franco Madau; i Gruppi dei Cordas e Cannas, dei Tazenda ma anche il gruppo siciliano Kunsertu e il canzoniere del Lazio. Nel 2000 i tenores di Neoneli incidevano un CD "Barones" cui partecipano noti personaggi del panorama musicale italiano che interpreteranno 17 delle 47 strofe dell'Inno: da Francesco Baccini a Angelo Branduardi, da Francesco Guccini a Luciano Ligabue e Elio delle Storie Tese.
Su patriota sardu a sos feudatarios.
1.Procurade de moderare, 2.Mirade ch'est azzendende 3.No apprettedas s 'isprone
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Post n°1673 pubblicato il 01 Maggio 2014 da deosoe
Una piaga che colpisce soprattutto i Paesi più poveri
La mancanza di farmaci pediatrici è un problema globale ma colpisce in primo luogo, e in modo sempre più drammatico, i Paesi poveri. Ne è prova il fatto che quei pochi medicinali che ci sono, molto spesso non riescono ad arrivare a chi ne ha bisogno. La denuncia, in merito, arriva dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che, in uno studio pubblicato ieri, sottolinea come circa nove milioni di bambini sotto i cinque anni muoiano ogni giorno, molti dei quali per malattie che potrebbero essere trattate con medicine sicure ed efficaci. Il problema di fondo è che mancano farmaci fatti su misura per loro, in rapporto al loro peso, età e condizioni fisiologiche. In particolare malaria, aids, tubercolosi sono le patologie per le quali servirebbero farmaci a misura di bambino
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Post n°1672 pubblicato il 01 Maggio 2014 da deosoe
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Post n°1671 pubblicato il 01 Maggio 2014 da deosoe
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Post n°1670 pubblicato il 01 Maggio 2014 da deosoe
Istituto Nazionale Previdenza Sociale Ufficio Stampa Comunicato stampa Roma, 31 marzo 2014 CUD 2014: L'Inps ha illustrato con la circolare n. 45 del 28 marzo 2014 tutte le modalità di rilascio
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Post n°1669 pubblicato il 01 Maggio 2014 da deosoe
Uruguay. La ricetta Mujica per il disarmo: Armi in cambio di pc e biciclette Scritto da: G.B. il 7 ottobre 2013 in Esteri, News Inserisci un commento Pepe Mujica, presidente dell' Uruguay, ha lanciato una campagna nazionale di disarmo "Armi per la vita" ormai da qualche tempo. I cittadini consegneranno le armi in loro possesso in cambio di pc e biciclette. Quando si pensa all'Uruguay si dovrebbe pensare a un Paese avanti anni luce rispetto all'Occidente sotto vari punti di vista. Il merito è tutto di Pepe Mujica, ex guerrigliero e "presidente povero" che è amatissimo in patria e anche all'estero. Mujica è uno dei pochi presidenti al mondo che è in grado di parlare di temi delicati esponendone le soluzioni, e soprattutto affrontando i problemi dal punto di vista della povera gente. Mujica in pochi anni è riuscito a rilanciare una cultura solidarista nel Paese, e anche a opporsi alle ingerenze delle multinazionali a Montevideo. In poco tempo l'Uruguay ha ottenuto di dare protezione e diritti agli omosessuali, ma anche di aprire alla liberalizzazione delle droghe leggere. Mujica illumina anche gli oscuri tavoli dell'Onu rilanciando un messaggio positivo, americanista, e che riservi attenzione a problemi come "l'economia sporca, il narcotraffico, la truffa e la frode, la corruzione, piaghe contemporanee generate dall'antivalore che sostiene che saremo più felici nell'arricchirci non importa come¨. E Mujica a differenza di altri molto più abili di lui con promesse e parole, mostra la sua differenza mantenendo quello che dice. Basti pensare alla campagna "Armas para la vida" lanciata nel 2013 che ha come obiettivo quello del disarmo della società uruguayana. I cittadini che consegneranno le armi insomma, riceveranno in cambio un personal computer oppure una bicicletta, una proposta di valore che potrebbe seriamente convincere molti cittadini uruguayani a rinunciare a una pistola in cambio di un mezzo di trasporto o di un pc. Il tempo per il baratto è di sei mesi, dopodichè entrerà in vigore la legge che prevede una pena da uno a 12 anni a chi porterà illegalmente un'arma. Insomma non solo parole e idee sui massimi sistemi, ma anche proposte concrete volte a migliorare il vivere civile, ma anche la vita dei singoli cittadini
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Post n°1668 pubblicato il 01 Maggio 2014 da deosoe
San Giuseppe Nome: San GiuseppeTitolo: LavoratoreRicorrenza: 01 maggio Nel Vangelo S. Giuseppe viene chiamato fabbro. Quando i Nazaretani udirono Gesù insegnare nella loro sinagoga, dissero di lui: « Non è Egli il figlio del legnaiuolo? ». E altra volta con stupore e disprezzo: « Non è costui il falegname? ». Nessun dubbio quindi che S. Giuseppe non fosse un operaio vero, un lavoratore, un uomo di fatica. Si ritiene che sia stato falegname, e all'occasione anche fabbro, carpentiere, carradore. Maneggiava la pialla, la scure, la sega, il martello. Così tutti i giorni, dal mattino alla sera, per tutta la vita, faticando, sudando, consumando le forze. Una delle raffigurazioni più frequenti del Santo Patriarca è quella in cui viene ritratto al banco con la pialla in mano e la sega accanto. Uomo giusto, sapeva che il lavoro è legge per tutti. Non si ribellò, non si lamentò del suo mestiere, nè della fatica. Lavorò con assiduità, non di malavoglia, eseguendo bene, disimpegnando onestamente gli obblighi e i contratti. Amò il lavoro. Nella sua umiltà non badò a tutte quelle ragioni che potevano parer buone e che avrebbero potuto indurlo a non occuparsi in cose materiali: l'essere discendente del grande Re Davide, l'essere sposo della Madre di Dio, il Padre putativo del Verbo Incarnato e la di lui guida. L'umiltà gli insegnò a conciliare la sua dignità con l'esercizio di un mestiere molto ordinario e faticoso. Non si rammaricava di lasciare le sante conversazioni e la preghiera assieme a Gesù e Maria, che tanto consolavano ed elevavano il suo cuore, per attendere per lunghe ore ai lavori dell'officina. Non ebbe mai la preoccupazione che gli mancasse il necessario. Non ebbe l'ansia e l'assillo di chi non ha fede in quella Provvidenza che sfama i passeri. Perciò, da uomo giusto, osservava esattamente il riposo settimanale del sabato prescritto da Dio agli Ebrei. Lasciava l'officina quando i doveri delle celebrazioni religiose glielo imponevano, o quando speciali voleri di Dio lo ispiravano a intraprendere dei viaggi. S. Giuseppe non cercò nel lavoro il mezzo di soddisfare la cupidigia di guadagno o di ricchezza. Non fu un operaio incontentabile, pur essendo previdente. Non volle essere ricco, e non invidiò i ricchi. Sapeva essere sempre contento. Da uomo di fede trasformò la fatica quotidiana in un grande mezzo di elevazione, di merito, di esercizio di virtù. Nutrire e crescere il Fanciullo Divino che si preparava a essere la vittima per la redenzione del mondo: questo era il motivo che rendeva sante e sommamente meritorie le fatiche di S. Giuseppe. « Chi lo crederebbe? Un uomo acquista col sudore della sua fronte vestiario, nutrimento e sostentamento per il suo Dio! Mani consacrate, destinate a mantenere una vita così bella, quanto è glorioso il vostro ministero, e quanto mi sembra degna degli angeli la vostra sorte! Sudori veramente preziosi! » (Huguet). Col canto nel cuore é la preghiera sulle labbra, S. Giuseppe fu il più fortunato di tutti i lavoratori. PRAITICA. Stimiamo il lavoro. Lavoriamo con onestà, con diligenza, con pazienza, di buona voglia. Amiamo il lavoro. Santifichiamolo e rendiamolo meritorio vivendo abitualmente in grazia e offrendolo ogni giorno al Signore. PREGHIERA. O Dio, Creatore delle cose, che hai stabilito la legge del lavoro al genere umano, concedici propizio che, sull'esempio e col patrocinio di S. Giuseppe, facciamo bene le opere che ci comandi e raggiungiamo il premio che prometti.
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PAE
ARCIPELAGHI DI GIOVANNI COLUMBU
"SU RE" DI GIOVANNI COLUMBU
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