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di Vittorio Casula

 
 

 

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Messaggi del 30/03/2015

Legge Fornero

Post n°2258 pubblicato il 30 Marzo 2015 da deosoe

 

Pensioni, la Cgil chiede un tavolo per cambiare legge Fornero

"Nonostante i reiterati annunci, non ci è ancora arrivata la convocazione del ministro Poletti per discutere di previdenza. Ribadiamo la necessità di aprire il prima possibile un tavolo per cambiare in modo radicale la legge Fornero". Con queste parole la segretaria confederale della Cgil Vera Lamonica, intervenendo all'iniziativa dello Spi Cgil 'Pensieri e Pensioni', è tornata a chiedere un incontro al governo, come fatto più volte nelle ultime settimane, anche con Cisl e Uil.

"Non si può più aspettare, occorre introdurre meccanismi di flessibilità in un sistema rigido e iniquo - continua Lamonica - in cui l'innalzamento dell'età pensionabile, destinato a crescere progressivamente con l'aumento delle aspettative di vita, ha portato al raggiungimento di soglie insostenibili. Soglie che vanno abbassate modificando i requisiti di accesso alla pensione". La dirigente sindacale precisa che "la flessibilità non può però essere barattata con ulteriori penalizzazioni: il sistema contributivo comporta già una riduzione dell'assegno in caso di pensionamento anticipato, e ulteriori tagli non sarebbero ammissibili". "Un intervento è doveroso anche in nome della giustizia sociale", sostiene Lamonica, che spiega come l'innalzamento dell'età pensionabile si abbatta "su tutti i lavoratori e su tutte lavoratrici, indipendentemente dagli impieghi svolti". "È inaccettabile: i lavori non sono tutti uguali e non si può chiedere a chi ha un'occupazione usurante o comunque gravosa, di lavorare fino a 67 anni. Così come non è possibile non tener conto dei lavoratori precoci".

Infine, per la segretaria confederale della Cgil "mettere mano alla legge Fornero è necessario anche per il futuro dei giovani". Infatti "ad essere maggiormente penalizzati dalle norme introdotte dal governo Monti, oltre alle donne, sono coloro che a causa della dilagante precarietà hanno carriere e storie contributive discontinue". "Se oggi vivono una condizione occupazionale di incertezza e di bassi salari - sottolinea - rischiano domani di diventare pensionati poveri, un danno enorme per il futuro del Paese". 

 

 

 
 
 

Ospedali

Post n°2257 pubblicato il 30 Marzo 2015 da deosoe

 

Ultimo giorno per gli ospedali psichiatrici giudiziari

Sulla carta è prevista per domani la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, gli OPG, l'ultimo baluardo della logica manicomiale. "Luoghi orrendi, indegni per un paese civile" (come li ha definiti più volte il Presidente Napolitano) in cui sono ancora internate più di 700 persone. Devono essere chiusi gli OPG, senza proroghe e senza trucchi; questo lo slogan attorno al quale questo si stanno svolgendo le iniziative di mobilitazione in tante città italiane; e tra queste il digiuno a staffetta. Promosso da stopOPG, un vasto cartello di associazioni tra cui Cgil e Fp Cgil nazionali, Cosa vuol dire "senza proroghe" è chiaro: nessuna deroga al 31 marzo 2015. "Senza trucchi" invece vuol dire che dobbiamo lottare ancora: perché al posto dei vecchi Opg non nascano nuove strutture manicomiali (i "mini Opg"), disseminate nelle regioni.  Il numero di uomini e donne internati negli Opg è sceso notevolmente in questi ultimi anni: erano 1400 nel 2011, ora sono meno di 800 - secondo le Relazioni del Governo - le persone ancora rinchiuse nei sei manicomi giudiziari (Barcellona Pozzo di Gotto, Aversa, Napoli, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere). Grazie all'ultima legge, approvata a maggio 2104, che privilegia le misure non detentive alternative all'internamento in Opg, le persone cosiddette "non dimissibili" sono rimaste davvero una piccola minoranza. Ma i nuovi ingressi continuano e c'è il pericolo che al posto degli Opg crescano nuove strutture manicomiali, le cosiddette Rems (i "mini Opg"), in cui si continuerà ad internare le persone invece che curarle.

L'appello StopOpg è firmato da: Stefano Cecconi (Cgil),  don Luigi Ciotti (Gruppo Abele), Franco Corleone (Garante diritti dei detenuti Toscana), Adriano Amadei (Cittadinanzattiva referente salute mentale), Denise Amerini (Fp Cgil), Stefano Anastasia (Società della Ragione), Cesare Bondioli (Psichiatria Democratica), Antonella Calcaterra (Camera Penale di Milano), Enzo Costa (Auser nazionale), Vito D'Anza, Peppe Dell'Acqua (Forum Salute Mentale), Giovanna Del Giudice (Conferenza Permanente Salute Mentale nel Mondo), Antonio Gaudioso, Tonino Aceti, Francesca Moccia (Cittadinanattiva), Maria Grazia Giannichedda (Fondazione Basaglia), Patrizio Gonnella (Antigone), Fabio Gui (Forum Salute e Carcere), don Giuseppe Insana (Ass. Casa di Barcellona Pozzo di Gotto), Elisabetta Laganà (Presidente Conf. Naz. Volontariato Giustizia), Aldo Mazza (Edizioni Alphabeta Verlag), Michele Passione (Camera Penale di Firenze), Anna Poma (coop. Con.Tatto), Alessandro Sirolli (Associazione180Amici Aq), Gabriella Stramaccioni (Libera), Gisella Trincas (Unasam), Tiziano Vecchiato (Fondazione Zancan), don Armando Zappolini (Cnca)

 

 

 
 
 

Neoplasie

Post n°2256 pubblicato il 30 Marzo 2015 da deosoe

 

Il nesso di causalità nelle neoplasie di tipo probabilistico

Una recente sentenza della Corte di Appello di Bologna interviene con una approfondita sentenza sul tema del nesso di causalità delle malattie professionali di tipo probabilistico con una critica alla metodologia della "Probability of Causation" adottata nell'ultimo decennio da parte dell'INAIL.

Gli eredi di un medico esposto a radiazioni ionizzanti deceduto per leucemia mieloide acuta avevano presentato domanda di riconoscimento dell'origine professionale e a fronte del diniego da parte dell'Istituto Assicuratore avevano  adito le vie legali.
L'INAIL  nel costituirsi in giudizio escludeva l'esistenza del nesso causale per inidoneità della dose assorbita ad indurre la patologia denunciata in applicazione del metodo della "Probability of Causation" da adottarsi nei casi di malattie tabellate non deterministiche ma probabilistiche.

Sulla base della CTU del professor Violante (direttore Istituto Medicina del Lavoro Università di Bologna)  che concludeva che la dose di radiazioni ionizzanti  ricevuta dal .... può determinare, secondo gli studi epidemiologici esaminati, un incremento del sette per cento dei casi di leucemia nei soggetti esposti il che non prova ma neppure esclude, che l'esposizione ad un tale livello di radiazioni ionizzanti possa essere considerata la causa in un singolo caso di leucemia, il Tribunale di Bologna riconosceva l'origine professionale.

L'INAIL nel proporre appello  ribadiva che la patologia in esame "figura tra le malattie tabellate non deterministiche ma probabilistiche, per cui la correlabilità lavorativa viene calcolata sulla base di vari parametri;  radiosensibilità del tessuto, età, sesso, dose cumulata di esposizione" e quindi in sede di valutazione della probabilità che tale malattia sia stata causata dall'esposizione probabilisti a radiazioni ionizzanti l'aver qualificato e quantificato con la metodica della Probaility of Causation la probabilità di nesso ponendola nella fascia sotto il 30% con un livello di confidenza del 99% (che indica quasi certezza) è nella sostanza la prova inconfutabile della inidoneità della dose assorbita nell'indurre la patologia denunciata".

La Corte di Appello sulla base degli approfondimenti richiesti al medesimo CTU professore Violante perveniva a confermare l'origine professionale della leucemia.

 

 

 
 
 

UE

Post n°2255 pubblicato il 30 Marzo 2015 da deosoe

 

Italia terza in Ue per peso oneri vari su costo lavoro

L'Italia anche nel 2014 è rimasta al top tra i Paesi Ue per l'incidenza degli oneri vari sul costo del lavoro (il 28,2%): secondo i dati Eurostat diffusi oggi solo la Francia e la Svezia ci superano con quote pari rispettivamente al 33,1 e al 31,6%. Lo scorso anno il costo complessivo di un'ora di lavoro in Italia è però cresciuto solo dello 0,7% rispetto al 2013, un tasso inferiore sia alla media dell'Eurozona (1,1%) che a quella Ue (1,4%).

Nella media Ue, il peso degli oneri extra-salariali sul costo orario del lavoro (principalmente quelli previdenziali e fiscali) si è attestato al 24,4%, incidenza che sale al 26,1% nella media dell'Eurozona. Alle spalle dell'Italia, secondo i dati Eurostat, si collocano la Lituania (28%), il Belgio (27,8%) e la Repubblica ceca (27,1%). I Paesi con meno oneri sul costo del lavoro sono invece Malta (6,9%) e Danimarca (13,1%).

In termini assoluti, lo scorso anno il costo di un'ora di lavoro in Italia è stato, in base ai dati pubblicati da Eurostat, di 28,3 euro contro i 29 della media Eurozona e i 24,6 della media Ue. Nel settore industriale l'Italia figura al di sotto della media Eurozona (28 euro contro 31,8) e sopra quella Ue (25,5), nelle costruzioni si attesta sui 24,7 euro (25,6 la media Eurozona e 22 quella Ue) e nei servizi a 27,2 euro (28 l'Eurozona e 24,3 l'Ue).

Dove invece il costo del lavoro ha superato sia la media Eurozona (28,9) che quella Ue (24,7) è il settore che raggruppa educazione, sanità, attività ricreative e altro: qui il dato segnalato da Eurostat per l'Italia è stato pari a  32,3 euro all'ora.

 

 

 
 
 

discriminazioni

Post n°2254 pubblicato il 30 Marzo 2015 da deosoe

 

Crescono le discriminazioni sul lavoro: più colpiti i marocchini e i romeni

Straniero, maschio, età 35-54 anni: è con queste caratteristiche che una persona rischia più di altre di essere discriminata sul lavoro. È quanto emerge dai dati dell'Unar, l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali. Su 252 casi segnalati nel 2014, il 53,6% riguardava casi di discriminazione etnica. Quasi sempre -  79,7% degli episodi - nell'accesso all'occupazione. "Si va da casi in cui la persona non è stata assunta, a parità di competenze con altri, per il cognome di origine straniera - spiega Marco Buemi dell'Unar - a quelli in cui nel momento del colloquio, di fronte al lavoratore con la pelle scura, il datore di lavoro ha detto che non aveva più bisogno di un nuovo dipendente". Il 54,3% delle vittime è maschio. Per quanto riguarda l'età, il 12,8% ha meno di 35 anni, il 67,1% dai 35 ai 54 anni e il 7,4% è over 55. Tra le nazionalità più discriminate, marocchini (19% delle denunce) e romeni (9,5%). "L'Unar interviene cercando di mediare tra lavoratore e impresa - aggiunge Buemi - e spesso la situazione si risolve positivamente".

Rispetto al totale delle denunce di discriminazione giunte all'Unar, quelle riguardanti il mondo del lavoro sono state pari al 18,8% con un incremento del 2,8% rispetto all'anno precedente. Al primo posto rimangono comunque le discriminazione causate dai mass media, pari al 24,9%. L'età è il secondo fattore di discriminazione nel mondo del lavoro: nel 2014 ha riguardato il 34,9%, mentre la disabilità il 4,8%, l'orientamento sessuale il 2,4%. Gli episodi vengono segnalati in prevalenza dalle vittime (37,3%), anche se in misura minore rispetto al passato. Sono invece in aumento le segnalazioni provenienti dalle associazioni (27,4%) e dai testimoni (26,6%).

La presentazione dei dati è avvenuta durante la Conferenza "Il lavoro che include" organizzata, oltre che da Unar, anche da Fondazione Sodalitas, Fondazione Adecco e People, nell'ambito di Diversitalavoro, il Career forum delle pari opportunità che dal 2007 facilita l'accesso al mercato del lavoro a persone con disabilità, appartenenti alle categorie protette, di origine straniera e transgender, coinvolgendo imprese e istituzioni. Nel 2014 hanno partecipato ai quattro Career forum diversitalavoro, organizzati a Napoli, Milano, Roma e Catania, oltre 1.200 candidati, che hanno potuto sostenere colloqui con 41 aziende. Durante la Conferenza  è stato anche consegnato uno speciale riconoscimento, il Diversity&Inclusion Award, alle imprese che nel 2014 hanno inserito nella propria azienda persone incontrate durante gli incontri di Diversitalavoro.

Nei prossimi mesi sono previste altre tappe di Diversitalavoro a Milano (3-4 giugno), Roma (26 novembre) e Varese: qui verrà proposto un percorso di avvicinamento che partirà ufficialmente il prossimo 21 maggio con l'evento pubblico "Diversità e inclusione nel mondo del lavoro".

da Redattore sociale

 

 

 
 
 
 
 

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