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Messaggi del 15/04/2015

Sa die de sa Srdigna

Post n°2334 pubblicato il 15 Aprile 2015 da deosoe

Sa die sa Sardigna dimenticata

Sa die sa Sardigna dimenticata

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CAGLIARI - A pochi giorni dalla ricorrenza del 28 aprile, in extremis si cerca di “recuperare” Sa Die de sa Sardigna,  prevedendo diverse iniziative nei quattro capoluoghi storici con un nutrito programma di eventi culturali.

In realtà Pigliaru e la sua Giunta certificano l’interramento della Giornata del popolo sardo. Non solo e non tanto per l’esiguità dei finanziamenti previsti, o per l’improvvisazione e i ritardi, quanto perché si è smarrito il senso originario e autentico di Sa Die.

Istituita dal Consiglio regionale il 14 ottobre 1993, come vera e propria Festa nazionale del popolo sardo, per ricordare la cacciata dei Piemontesi da Cagliari, nei primi anni di vita è stata caratterizzata da centinaia di iniziative, partecipate diffuse e ubiquitarie, in tutta l’Isola. Soprattutto nelle scuole. Con decine e decine di docenti, storici, giornalisti, esperti organizzati nel “Comitato pro sa Die” presieduto dal professor Giovanni Lilliu e nato dall’incontro di numerose Associazioni culturali, con la Fondazione Sardinia in prima fila.

Per anni, questa legione di studiosi è stata impegnata a “visitare” le scuole sarde, di ogni ordine e grado, per parlare e discutere con gli studenti di cultura, storia e lingua sarda: rigorosamente escluse dalla Scuola ufficiale. Probabilmente quest’opera iniziale di studio, ricerca, confronto, sensibilizzazione “ha spaventato soprattutto la politica”, come opportunamente ha scritto Vito Biolchini. Così la “Festa” da occasione di studio e di risveglio identitario si riduce nel tempo a rito formale e liturgia vuota. Con l’Amministrazione Soru viene annacquata e svuotata  dei significati storici e simbolici più “eversivi”. La Giunta di Cappellacci la stravolge del tutto: viene addirittura dedicata alla Brigata Sassari! E oggi Pigliaru, la seppellisce definitivamente, sic et simpliciter. 

E’ stato anche sostenuto che l’esaurimento della forza propulsiva di Sa Die sia da ricondurre alla “debolezza” dell’Evento del 28 aprile. Non sono d’accordo. Non si è trattato di “robetta”: magari di una semplice congiura ordita da un manipolo di borghesi giacobini, illuminati e illuministi, per cacciare qualche centinaio di piemontesi: come pure è stato scritto. A questa tesi, del resto ha risposto, con dovizia di dati, documenti e argomentazioni Girolamo Sotgiu. Non sospettabile di simpatie “nazionalitarie” il prestigioso storico sardo, gran conoscitore e studioso della Sardegna sabauda, polemizza garbatamente ma decisamente proprio con l’interpretazione data da storici filo sabaudi, come il Manno o l’Angius al 28 aprile, considerato alla stregua, appunto, di una congiura. “Simile interpretazione offusca – scrive Sotgiu – le componenti politiche e sociali e, bisogna aggiungere senza temere di usare questa parola «nazionali». 

“Insistere sulla congiura – cito sempre lo storico sardo – potrebbe alimentare l’opinione sbagliata che l’insurrezione sia stato il risultato di un intrigo ordito da un gruppo di ambiziosi, i quali stimolati dagli errori del governo e dalle sollecitazioni che venivano dalla Francia, cercò di trascinare il popolo su un terreno che non era suo naturale”, 

A parere di Sotgiu questo modo di concepire una vicenda complessa e ricca di suggestioni, non consente di cogliere il reale sviluppo dello scontro sociale e politico
né di comprendere la carica rivoluzionaria che animava larghi strati della popolazione
di Cagliari e dell’Isola nel momento in cui insorge contro coloro che avevano dominato da oltre 70 anni. Non fu quindi congiura o improvviso ribellismo: ad annotarlo è anche Tommaso Napoli, padre scolopio, vivace e popolaresco scrittore ma anche attento e attendibile  testimone, che visse quelli avvenimenti in prima persona. Secondo il Napoli “l’avversione della «Nazione Sarda» – la chiama proprio così – contro i Piemontesi, cominciò da più di mezzo secolo, allorché cominciarono a riservare a sé tutti gli impieghi lucrosi, a violare i privilegi antichissimi concessi ai Sardi dai re d’Aragona, a promuovere alle migliori mitre soggetti di loro nazione 

lasciando ai nazionali solo i vescovadi di Ales, Bosa e Castelsardo, ossia Ampurias. L’arroganza e lo sprezzo – continua – con cui i Piemontesi trattavano i Sardi chiamandoli pezzenti, lordi, vigliacchi e altri simili irritanti epiteti e soprattutto l’usuale intercalare di Sardi molenti, vale a dire asinacci, inaspriva giornalmente gli animi  e a poco a poco li alienava da questa nazione”.

Questo a livello storico: c’è poi il significato simbolico dell’evento: i Sardi dopo secoli di rassegnazione, di abitudine a curvare la schiena, di acquiescenza, di obbedienza, di asservimento e di inerzia, per troppo tempo usi a piegare il capo, subendo ogni genere di soprusi, umiliazioni, sfruttamento e sberleffi, con un moto di orgoglio nazionale e un colpo di reni, di dignità e di fierezza, si ribellano e alzano il capo, raddrizzano la schiena e dicono: basta! In nome dell’autonomia e dunque, per “essi meris in domu nostra”. E cacciano Piemontesi (con Nizzardi e Savoiardi), non per motivi etnici, ma perché rappresentano l’arroganza, la prepotenza e il potere. Sono infatti militari, funzionari, impiegati. Cagliari all’alba dell’800 contava 20.000 abitanti, la burocrazia e il potere piemontese 514 esponenti: più di uno per ogni 40 cagliaritani!

Al di là comunque di tutto questo e dello specifico avvenimento, quello che è importante oggi nella Festa di Sa Die de sa Sardigna è proprio il suo il valore simbolico di autocoscienza storica e di forza unificante. Sia ben chiaro: nessun ripiegamento nostalgico o risentito  verso il passato: ma il passato sepolto, nascosto, rimosso, si tratta prima di tutto di dissotterrarlo e conoscerlo, perché diventi fatto nuovo che interroga l’esperienza del tempo attuale, per affrontare il presente nella sua drammatica attualità, per definire un orizzonte di senso, per situarci e per abitare, aperti al suo respiro il mondo, lottando contro il tempo della dimenticanza; quel mondo grande e terribile di cui parlava Gramsci.

 
 
 

Def

Post n°2333 pubblicato il 15 Aprile 2015 da deosoe

Def: Cgil, i tagli alla sanità ci sono eccome

“Nel Def il governo conferma i tagli decisi d’intesa con le Regioni dopo la legge di stabilità: viene ridotto di 5 miliardi il Fondo sanitario previsto dal Patto per la Salute, e non solo per il 2015/2016, ma anche per gli anni seguenti. I tagli al settore ci sono eccome, e avranno ricadute pesanti per i cittadini e i lavoratori del comparto”. Così Vera Lamonica, segretaria confederale della Cgil, commenta gli interventi previsti dal Documento di Economia e Finanza varato dal Consiglio dei ministri venerdì scorso.

“La conferma – spiega Lamonica – arriva dalle previsioni sulla spesa sanitaria, per la quale non solo si stima una crescita inferiore a quella del Pil, ma si prefigura un calo dal 6,8% del 2015 al 6,5% dell’anno 2019″. Per la dirigente sindacale “invece di combattere sprechi e inefficienze si continuano a colpire i servizi e il personale, riducendo le risorse in un settore delicatissimo e decisivo per garantire il diritto alla salute e alle cure dei cittadini. Un settore in cui bisognerebbe investire, anche per produrre buona occupazione e crescita”.

“Per questo – conclude Lamonica – continua la campagna di mobilitazione promossa dalla Cgil ”Salviamo la Salute”, per ribadire che welfare e sanità non sono costi da tagliare, ma scelte strategiche per la ripresa economica e sociale del Paese”.

 
 
 

Associazione Bruno Trentin

Post n°2332 pubblicato il 15 Aprile 2015 da deosoe

“Vita da professionisti”: i risultati della ricerca Cgil

Si sentono e si identificano come professionisti, lavoratori autonomi nel 70% dei casi, interessati ad avere una maggiore continuità occupazionale, con più diritti e tutele, e compensi più elevati. Hanno poche o nessuna possibilità di contrattare condizioni e reddito, quest’ultimo per altro nel 45% dei casi sotto i 15 mila euro, e al sindacato, nel quale credono, chiedono un’azione contrattuale inclusiva e di poter contare. È in sintesi il quadro che emerge in “Vita da professionisti”, una ricerca rivolta ai professionisti non dipendenti, di qualsiasi settore, che operano come autonomi o con qualsiasi forma contrattuale a termine, discontinua o precaria, realizzata  all’Associazione Bruno Trentin con il contributo e il supporto della Consulta delle Professioni della Cgil e della Filcams Cgil.

La ricerca – che è stata presentata ieri pomeriggio nella sede nazionale della Cgil, con il coordinamento giornalistico di Dario Di Vico, e con gli interventi di Alessandro Laterza, vicepresidente di Confindustria  e Filippo Taddei, responsabile economico del Pd – è stata condotta su un campione rappresentativo dell’universo dei circa 3,4 milioni di professionisti in Italia, ‘pesato’ rispetto ai dati Isfol, frutto di 2.210 questionari raccolti (per 1.620 validi) così suddivisi: il genere è stato composto per il 58,4% da uomini e il 41,6% da donne; l’età contesa tra pochi giovani e classi centrali, per il segmento tra i 30 e i 45 anni, pari al 42,9% del campione; con titolo di studio costituito per il 46% da diplomati e il 53% da laureati o più; distribuiti su tutto il territorio nazionale, con concentrazione nelle grandi città come Roma, Milano, Torino, Bologna e Napoli; infine diviso tra professioni regolamentate (35%) e non regolamentate (65%). 

Nella ricerca sono considerati tutti gli aspetti dei problemi concreti che si trovano ad affrontare i lavoratori autonomi nei diversi settori e in generale di coloro che svolgono attività professionali: dalla natura dei loro rapporti contrattuali (i vari regimi delle partite Iva), al rapporto con i committenti: Per quanto riguarda l’autodefinizione e la percezione di se stessi, il 68,5% degli intervistati si sente ‘un professionista/lavoratore autonomo con scarse tutele’ (il 13,6% ”un professionista/lavoratore non regolarizzato” e il 17,9% ”un professionista/lavoratore autonomo”). Tra le mire spicca l’avere una maggiore continuità occupazione con più tutele per il 51%, un compenso più elevato per il 34% e un lavoro stabile con contratto a tempo indeterminato per il 15,1%.

La ricerca Cgil osserva quindi come “la maggior parte non si percepisce in una condizione di falsa autonomia ma come un professionista indipendente che opera sul mercato, col bisogno di continuità occupazionale, più diritti e tutele, compensi più elevati”. Si traccia poi un profilo di chi si sente un ”dipendente non regolarizzato”, ovvero: mono committente con reddito basso, in professioni non ordinistiche e con contratti soprattutto parasubordinati (più delle partite Iva); per quanto riguarda le professioni, sono sopratutto nei settori dell’informazione ed editoria e nell’archivistico e bibliotecario. Si parla dunque molto anche del concetto di “autonomia” nel lavoro, dell’esposizione continua alla disoccupazione, della determinazione dei livelli di reddito che si possono raggiungere e dell’annosa questione dei contributi aggiuntivi.

Molto interessanti i dati sulla contrattazione: il 68% degli intervistati si dice avere ‘poche o nessuna possibilità di contrattazione’, ritrovandosi così in una condizione di debolezza. Il 13,5% ha un contratto collettivo di riferimento, l’11% è iscritto ad un sindacato mentre il 42% è iscritto ad un’associazione professionale. Al sindacato chiedono principalmente impegni sulle retribuzioni e sulle tutele in caso di disoccupazione: per il 79,6% sarebbe utile istituire un equo compenso, il 77,4% vorrebbe maggiori diritti e tutele nel contratto nazionale di lavoro, il 74,2% li vorrebbe in quello aziendale. Dati che, sottolinea la ricerca, “riconoscono al sindacato un ruolo fondamentale”. E sono soprattutto i professionisti non iscritti agli ordini a volere queste azioni. Azioni che il sindacato dovrebbe sostenere coinvolgendo maggiormente i professionisti, come emerge la ricerca, e includerli nella negoziazione sindacale per rivendicare in primis la riforma del sistema previdenziale per garantire equità di contribuzioni e pensioni adeguate.

 
 
 

Il Santo del giorno

Post n°2331 pubblicato il 15 Aprile 2015 da deosoe

San Damiano de Veuster


San Damiano de Veuster

Nome: San Damiano de Veuster
Titolo: Sacerdote
Ricorrenza: 15 aprile

«La politica e il mondo giornalistico possono vantare eroi, ma pochi possono essere paragonati a padre Damiano di Molokai. Vale la pena dare un’occhiata alle fonti di tale eroismo» (Gandhi)

Padre Damiano stesso rivela in una lettera i motivi della sua scelta: «Arno molto questi poveri indigeni per la loro semplicità e faccio per loro tutto ciò che posso. Essi mi amano come fanno i bambini con i propri genitori, e attraverso questo reciproco affetto spero di poterli condurre a Dio. Se amano il prete, infatti, ameranno più facilmente Cristo nostro Signore».

Joseph de Veuster (Damiano era il suo nome cr religione) nacque nel Belgio fiammingo nel 1840. A 19 anni chiese l’ammissione presso i padri dei Sacri Cuori. Dopo alcuni anni di preparazione, venne inviato missionario nelle Hawaii dove gli venne affidato un esteso territorio con soli 2000 abitanti. Il giovane prete non si perse d’animo. Imparò la lingua degli indigeni, condivise il loro povero cibo, dormiva come loro su un pagliericcio. Nel 1873 compì un’ulteriore discesa nell’abisso della carità, imbarcandosi per Molokai per assistere gli ammalati di lebbra. Negli anni trascorsi sul’isola Damiano restituì ai lebbrosi il senso della loro dignità, li aiutò a organizzarsi, a costruirsi una capanna, a coltivare piccoli appezza menti di terreno. Finì per sentirsi talmente in comunione con loro da iniziare la sua omelia con le parole: «Noi altri lebbrosi». Ed effettivamente la terribile malattia si annunciò sul suo corpo prima sommessamente, poi con segni sempre più evidenti. Morì il 15 aprile 1889. Ai funerali partecipò una folla straordinaria di lebbrosi inconsolabili.

 
 
 

Pensione anticipata

Post n°2330 pubblicato il 15 Aprile 2015 da deosoe

 

Pensione anticipata: niente penalizzazione fino al 2017Beneficiari della pensione anticipata piena in attuazione Legge di Stabilità: come si applica la norma, l'allargamento della platea, circolare INPS.

 - 14 aprile 2015Pmi TVApprovato il DEF 2015: il Piano delle riforme

 

 

pensioni (1)

Ecco tutte le procedure INPS per coloro che vanno in pensione anticipata dal primo gennaio 2015 e maturano il requisiti di anzianità contributiva entro la fine del 2017: sono descritte nella circolare INPS 74/2015, che di fatto comprende tutte le novità in materia previdenziale previste dalla Legge di Stabilità. Una prima parte è dedicata al tetto massimo delle pensioni di coloro che calcolano la quota amturata dal 2012 con il contributivo (non si può più superare l'80% dell'ultima retribuzione, ovvero il limite previsto dal regime retributivo), mentre la seconda parte riguarda la pensione anticipata.

=> INPS: come ottenere la pensione anticipata piena

 

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Pensione anticipata senza decurtazioni

È il comma 113 dell'articolo 1 della Legge di Stabilità a stabilire che dal 1° gennaio 2015 non si applicano più le riduzioni sull'assegno di pensione anticipata previste dalla Riforma Fornero, quindi l'1 o il 2% a seconda dell'età anagrafica. È stata quindi eliminato il taglio sulla pensione anticipataper chi si ritira prima dei 62 anni, che era pari ad 1 punto percentuale per ogni anno di anticipo rispetto all'età di 62 anni e a 2 punti percentuali per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni. C'era già una deroga a questa disposizione, limitata ai cosiddetti lavoratori precoci, ovvero coloro che maturano i requisiti per la pensione entro il 31 dicembre 2017 con contributi da prestazione effettiva di lavoro. Ora, invece, l'accesso alla pensione anticipata senza decurtazioni è esteso a tutti coloro che maturano i requisiti entro fine 2017, quale che sia la natura dei contributi versati.

Decorrenza della pensione

La pensione anticipata piena viene riconosciuta ai trattamenti con decorrenza dal 1° gennaio 2015 di coloro che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, anche se la decorrenza della pensione si collochi successivamente a tale ultima data. Coloro che invece sono in pensione anticipata condecorrenza anteriore al 1° gennaio 2015, continuano ad applicare le vecchie regole, con la decurtazione da Riforma Fornero, ad eccezione dei lavoratori precoci. Si tratta di un punto oggetto di dibattito, nel senso che ci sono richieste di eliminare la penalizzazione anche per i lavoratori che si sono ritirati dal 2012 al 2015, su cui è recentemente intervenuto il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, spiegando che per l'allargamento della platea è necessario un intervento legislativo parlamentare, con relativo finanziamento della misura.

=> Pensione anticipata: ecco gli assegni penalizzati

Di fatto, però, coloro che fino al 2015 sono rimasti al lavoro, per non subire la penalizzazione sull'importo dell'assegno prevista dalla Riforma Fornero, pur avendo maturato il requisito contributivo (ma non quello di età), dal primo gennaio 2015 possono accedere alla pensione anticipata piena. Lo sottololinea la circolare INPS, in applicazione del principio della cristallizzazione del diritto a pensione.

Requisito contributivo

Ricordiamo che per andare in pensione anticipata il requisito contributivo è pari a 41 anni e 6 mesi per le donne e 42 anni e 6 mesi per gli uomini, e saliranno di quattro mesi a partire dal 2016 per effetto dell'adeguamento alle aspettative di vita.

=> I nuovi requisiti per la pensione dal 2016

(Fonte: circolare INPS 74/2015).

 

Se vuoi aggiornamenti su PENSIONE ANTICIPATA: NIENTE PENALIZZAZIONE FINO AL 2017 inserisci la tua e-mail nel box qui sotto:

 

 

 
 
 
 
 

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