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L'Editto delle chiudende irrompe nel romanzo sardo

Post n°2745 pubblicato il 19 Maggio 2023 da deosoe

 

 

L' Editto delle Chiudende irrompe nel romanzo sardo

Pubblicato il 10 maggio 2023

 

L'Editto delle Chiudende irrompe nel romanzo sardo.

di Francesco Casula

L'Editto delle Chiudende è senza ombra di dubbio l'evento che maggiormente entra prepotentemente nella poesia e nella tradizione popolare sarda: perché è uno dei più funesti in quanto colpisce a morte non solo l'economia sarda ma il comunitarismo, che in tutta la storia, fin dalla civiltà nuragica, aveva caratterizzato la società sarda.

Contro tale editto per primo lanciò i suoi strali dell'ironia il principe dei poeti satirici in lingua sarda, Diego Mele, soprattutto con "In Olzai non campat pius mazzone" (In Olzai non campat pius mazzone/ca nde l'hana leadu sa pastura,/sa zente ingolumada a sa dulzura/imbentat sapa dae su lidone). La sua critica all'Editto gli varrà la condanna all'esilio, comminatagli dalle autorità politiche e religiose.

La tradizione popolare ci consegna poi la bella quartina (Tancas serradas a muru/fattas a s'afferra afferra/si su chelu fit in terra/l'aiant serradu puru): in quattro brevissimi versi abbiamo la sintesi perfetta di quell'evento. Attribuita a Melchiorre Murenu, in realtà l'Autore è stato un frate cappuccino, Gavino Achena di Ozieri.

Nella seconda metà dell'Ottocento a Nuoro si afferma un cenacolo di poeti (Salvatore Rubeddu, Giovanni Antonio Murru, Pasquale Dessanai ecc) che si scagliarono, con la loro poesia popolare e in lingua sarda, contro le leggi ingiuste che avevano permesso a pochi privilegiati di impossessarsi di vaste tanche. E mi piace ricordare che fu nel clima di questo rinascimento locale che si affermarono personaggi come Grazia Deledda, Sebastiano Satta e Francesco Ciusa, il maggior scultore sardo, e con loro Antonio Ballero e Giacinto Satta, pittori e romanzieri nello stesso tempo.

E proprio in quel momento storico, esattamente il 26 aprile del 1868, una domenica, a Nuoro Paskedda Zau, diede vita a una ribellione, passata alla storia come rivolta di "Su Connotu", Brevemente: Paskedda Zau, vedova, con 10 figli a carico, in strada, all'uscita della messa, si rivolse alle donne che con lei avevano assistito alla celebrazione. Raggiunta la piazza antistante la chiesa, cominciò a chiamare anche gli altri nuoresi invitandoli alla ribellione. Che si trasforma in vera e propria rivolta con più di 300 persone - soprattutto donne - che assaltano il Municipio, scardinano le porte, asportano i fucili della Guardia nazionale, scaraventano in piazza i mobili e i documenti dello stato civile ma soprattutto i documenti catastali (su papiru bullau) sulle lottizzazioni dei terreni demaniali (dell'Ortobene e di Sa Serra, circa 8 mila ettari), che l'Amministrazione comunale - espressione degli interessi dei printzipales e della borghesia intellettuale e professionale, per lo più massonica - aveva deciso di vendere a famelici possidentes. Sottraendoli all'uso comunitario di pastori e contadini (che consentiva legnatico ghiandatico e pascolo per le pecore), viepiù ridotti alla miseria: uso che costituiva, per le comunità, un sollievo alla povertà, aggravatasi in seguito alla violenta carestia, che, nel 1866, li aveva colpiti duramente, mettendoli in ginocchio e portandoli sull'orlo della catastrofe.

In tempi a noi più vicini, uno scrittore del calibro di Giuseppe Dessì, nel suo capolavoro "Paese d'ombre", parlando dell'Editto delle Chiudende, lo definisce "Una legge famigerata... che sovvertiva un ordine durato nell'Isola da secoli"

Ed oggi irrompe in uno straordinario romanzo in lingua sarda "Sas primas abbas", di Giuanne Fiore di Ittiri, valente poeta e ora anche prosatore de giudu.

Ecco che cosa scrive:"A mastru Pitzente li faghiat piaghere a iscultare sos piseddos chistionende in Carrela 'e Sas mendulas. E b'hait bortas ch'issu puru intraiat in s'arrejonamentu, tzitende s'istoria. Lis ammentaiat s'impreu cumonale chi in s'antighidade si faghiat de sass terras pro su recattu a su bestiamene e pro sa linna, a domos e a cuiles. Usos seculares, arraighinados in sa zente e passados da-i babbu in fizu. Li naraian "Su connottu". Gai pro tempus longu. Fintzas a cando, inter sa fine de su 1700 e-i sa prima mesania de su 1800, cun disamistades sambenosas in tottu sos biddattones, su podere uffitziale de domo e de foras hat dadu manu franca a sos printzipales. E los han tancados a muru, cussos terrinos, battende a giompimentu l'evento del passaggio dalla utilizzazione collettiva delle terre alla formazione della proprietà privata. Gasichì in su mese de santuaine de su 1820 beniat imbandizadu su "Regio Editto sopra le Chiudende e sopra i terreni comuni...nel Regno di Sardegna".

 

 

 
 
 

Le vedove e i vedovi di Fazio

Post n°2744 pubblicato il 19 Maggio 2023 da deosoe

 

 

LE VEDOVE E I VEDOVI DI FAZIO

Pubblicato il 17 maggio 2023

 

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 Francesco CasulaLE VEDOVE E I VEDOVI DI FAZIOdi Francesco CasulaSono in vedovanza. Sconsolate/i e addolorate/i. Soprattutto quelle/i di sinistra (?). O che tali si ritengono. A causa della cacciata di Fazio. Scrive in un post sul suo profilo facebook, a questo proposito, un valente intellettuale sardo, Natalino Piras: "La sinistra si indigna perché è stato mandato via Fabio Fazio e con lui l'odiosa Luciana Littizzetto da "Che tempo che fa", una autentica galleria del leccaculismo, del buonismo, del ruffianesimo di Stato. A quanto dicono Fazio è stato pagato con 8 milioni di euro. È riuscito a intervistare, alla sua maniera, sempre da ruffiano, anche papa Francesco. Dicono che con Fazio, che non resterà disoccupato nel suo ruolo di ruffiano, a perdere è la cultura. Lo dice gente di sinistra che io non riconosco come tale. Sono un uomo di cultura, la cultura è quella che per circa 40 anni mi ha garantito uno stipendio. Per me l'andata via di Fazio dalla Rai, non so se chiamarla cacciata, non produce alcuna perdita di cultura". Faccio mie le valutazioni di Natalino e aggiungo: ma per la Sardegna e noi Sardi cambia molto se al posto di Fazio mettono un altro pisciatinteris? E' stato scritto che Fazio era "pluralista", dava spazio a posizioni politiche e culturali diverse. Ma quando mai? Mi chiedo: nelle sue tramissioni quante volte ha parlato dei problemi sardi? Per esempio delle basi militari? O delle industrie nere e inquinanti? O delle nefaste Pale eoliche? In 40 anni ha mai dato spazio alle nostre battaglie sul bilinguismo o all'Indipendentismo sardo, invitando qualche esponente? Mai. Altrettanto farà il suo sostituto. E per noi sardi non cambierà niente. L'unica cosa che possimo chiedere è l'abolizione del canone-pizzo. Per il resto andade totus a su corru de sa furca, voi e il baraccone indecoroso della TV di Stato e dei Partiti italioti da cui, sempre la Sardegna è rigorosamente esclusa, se non per qualche notizia di cronaca nera o di folclore. 

 

 
 
 
 
 

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