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Il Gioco

E’ l’alba di un nuovo giorno. Il pulviscolo danza nella luce dei raggi solari che filtrano tra le persiane abbassate, una cappa di afa mi si appiccica addosso come una pellicola umidiccia. Sono intontito come ad ogni risveglio, resto immobile incatenato al materasso rovente mentre gli occhi mi roteano nelle orbite fissando le effigi spettrali che mi circondano nella penombra della stanza. I pensieri sono confusi, annodati come i miei capelli arruffati sul cuscino e si mescolano con gli ultimi scampoli delle visioni oniriche ed immaginifiche che sfumano e si dissolvono nell’aria soffocante. Tutto è confusione.
Piano piano la nebbia del sonno si dirada, la mente diventa più lucida, sento il corpo intorpidito che riprende coscienza di se stesso; ho un corpo…
Che ore saranno? allungo la mano che in maniera cieca cerca la sveglia sulla mensola in alto, sopra la mia testa; le sette del mattino, di già.
Anche stanotte ho combattuto; contro i sogni, contro i pensieri, contro me stesso. Tutto intorno è il solito caos di sempre, di chi non trova pace nemmeno nel sonno;il lenzuolo è aggrovigliato ai piedi del letto e penzola sul pavimento, un cuscino è in bilico sul bordo come un equilibrista sulla sua corda, tutto è precario, sospeso nel vuoto, dentro e fuori allo stesso tempo. Mi alzo e mi appoggio contro la spalliera del letto, boccheggio con il petto nudo imperlato di sudore e il contatto del ferro fresco contro la schiena umida mi dà un brivido. Sono sveglio ora, resto a fissare le piccole particelle di polvere che danzano nell’aria e intanto rimetto insieme i pezzi. Devo pensare e ricordarmi cosa è accaduto il giorno prima, devo ricordarmi chi sono, cosa sono e cosa mi ha fatto diventare quello che si sveglia ogni mattina in questo letto. Sì ecco, ora poco a poco inizio a ricordare, il sonno può essere il più forte degli anestetici, peccato duri troppo poco…
Mi alzo barcollando e zigzagando tra le macerie che giacciono sul pavimento; bottiglie, scarpe, libri; è tutto disordinato e senza nesso logico come la vita che conduco. Mi reco verso la scrivania come ogni mattina, apro il cassetto e lì dentro, riposto in un drappo rosso e logoro c’è il mio “oracolo”, una Smith & Wesson mod. 64-2 calibro 38 special con un solo colpo nel tamburo. La impugno saldamente, con la mano sinistra faccio ruotare rapidamente il tamburo che scorre rapido e ticchettante come una roulette; il silenzio della camera viene infranto dal suono dell’ingranaggio metallico, poi si ferma, tutto tace ancora una volta. E’ il momento di puntare la posta, mi gioco tutto ogni dannato giorno, ancora e ancora. Tutto dipende da questo giro di roulette; vincerò un altro giorno? godrò del lusso di altre ventiquattro ore di esistenza? ventiquattro ore in cui le combinazioni di eventi sono infinite, sono solo ventiquattro ore ma possono valere una vita intera. Uscirò di qui con la felicità del vincitore che ha sbancato al casinò, pronto ad afferrare qualsiasi possibilità mi si pari innanzi; diventerò magari ricco, incontrerò la donna della mia vita, troverò qualcosa per cui essere grato e felice, chissà quante cose possono accadere in sole ventiquattro ore. Oppure posso perdere tutto proprio ora. Se la fortuna dovesse essere a me avversa proprio oggi perderei tutto in un attimo, un boato e poi il buio eterno. Ma questa cosa è necessaria, devo meritarmele queste ventiquattro ore, non posso riceverle come se mi fossero semplicemente dovute, quante persone lì fuori le accettano senza chiedersi nulla, come se fosse un loro diritto acquisito e finiscono poi per sprecarle, nulla mi è dovuto! Quando qualcosa ti viene elargita con estrema magnanimità diventa una abitudine scontata, un qualcosa a cui non dai più valore, la tua vita non vale niente se non la vinci e se non metti sul tavolo la possibilità di perderla ogni giorno. Se ogni mattina al mio risveglio qualcuno mi donasse una banconota da cinquecento euro probabilmente a lungo andare quel denaro perderebbe per me il suo valore, lo sprecherei conscio che ogni giorno ne avrei del nuovo senza dover far nulla per meritarmelo. E mi darebbe piacere o gioia tutto questo? Forse per i primi tempi ma poi, passata la novità, tutto diventerebbe norma, apatia, noia.
Per questo è necessario che io lo faccia, che ogni mattina io impugni quest’arma e mi affidi alla dea bendata giocando; o tutto o niente, o gratitudine o morte.
Porto la pistola alla tempia, strizzo gli occhi, l’acciaio della canna è freddo e sento tutto il peso della scelta che grava nella mia mano, questa pistola sembra pesare sempre di più ad ogni secondo che passa. Il cane è alzato, il dito indice accarezza con delicatezza l’acciaio cromato del grilletto e indugia. E’ giunto il momento, “rien ne va plus”, l’indice preme deciso sul grilletto –“click” –.
Il banco vince, mi sono guadagnato la mia esistenza…anche oggi.