La sublime arte della Solitudine

Tra le tante materie che NON ti insegnano a scuola (e che invece dovrebbero) ce n’è una che mi è venuta in mente in questi giorni, mentre me ne stavo in cucina a lavare i piatti nel più totale silenzio di un pomeriggio di agosto. Non ci insegnano di avere a che fare con noi stessi ed in particolare non si fa educazione alla solitudine che è a mio avviso un’arte che va coltivata ed affinata.
E’ un qualcosa di impegnativo che richiede sacrificio e sforzo per qualcuno, ma è uno sforzo da compiere, così come è faticoso andare in palestra per fare un bel fisico scolpito e stare in forma. Molti si preoccupano molto del proprio fisico e del loro aspetto esteriore, sudano in palestra, si sottopongono a trattamenti dolorosi o invasivi, in breve fanno sacrifici, ma forse in pochi sono disposti a fare sacrifici per sviluppare un qualcosa di più intimo.

Sicuramente molto può influire l’attitudine “innata”; ad alcuni non pesa molto andare in palestra, non la vivono con sacrificio e fatica, così come ad alcuni risulta più facile stare da soli, semplicemente perché ci sono portati o abituati, magari perché hanno iniziato a far “pratica” e ad “allenarsi” in modo inconsapevole, trovandosi ad una certa età già con delle belle spalle larghe.
Si fa un gran parlare di “indipendenza” e “solitudine” sulle pagine di riviste più o meno patinate, spesso con fastidio noto che sembra che tali riviste vogliano strizzare l’occhio al lettore suggerendogli cose tipo: “sì, anche tu sei un figo solitario” (a prescindere se ciò sia vero), come se una persona che sceglie un grado più o meno marcato di solitudine sia un supereroe da ammirare. Ecco, togliamo quest’aura da “Übermensch” all’argomento che rischia di banalizzare un qualcosa che non è affatto banale, anzi.
Come dicevo, credo che soprattutto per alcuni sia necessario ed importante fare i conti con la “solitudine” e tentare di allenarsi per sviluppare questa dote che apporta anche notevoli benefici. A scuola ci hanno insegnato che l’uomo è un “animale sociale” (Aristotele), nella vita di tutti i giorni vediamo che questa “socialità”, sia essa sana o malata, si è spinta molto in avanti eliminando le barriere dello spazio,in una epoca delle connessioni a banda larga. Va tutto bene, nessuno pretende di predicare l’ascetismo o la “disconnessione”, ma dobbiamo fare attenzione perché tutto questo ha fatto sparire quel tempo in cui uno può giovarsi della compagnia di se stesso o dell’assenza totale di compagnia. Questo a mio avviso conduce ad un risultato poco piacevole: si ricerca la compagnia per noia, per incapacità di godere della solitudine. Vista sotto questa ottica la compagnia soddisfa un bisogno egoistico: “sto con te per non stare solo con me” che non è un “sto con te perché ho piacere a star con te” e ciò banalizza anche il concetto di compagnia, di amicizia, di amore, insomma di rapporto umano in senso lato.

Per questo motivo ritengo che tutti dovrebbero studiare e applicare come un esercizio l’arte della solitudine. Magari provando a sperimentare periodi di solitudine sempre maggiori, prima una sera, poi una intera giornata, poi una settimana e così via, fino a sentirsi a proprio agio e non sentire la necessità della compagnia. Ciò condurrebbe ad una serie di benefici: in primis, il venir meno della paura della solitudine (che molti hanno) comporterebbe l’acquisizione di maggior libertà di scelta; scelgo ciò che realmente mi piace fare, non qualcosa che non mi piace ma che rappresenta una fuga dallo stare da solo, in secundis il disinteresse dell’opinione altrui. Chi non teme di starsene appartato per conto suo non si pone il problema di dover essere in ogni caso accettato dagli altri, quindi non si sforzerà di piacere e di base rimarrà una persona “genuina”. Ma cosa di fondamentale importanza, padroneggiare l’arte della solitudine consentirebbe di valorizzare realmente la compagnia. Giacché chi sta bene da solo non ha bisogno per forza di compagnia perché non cerca rifugio da se stesso, quando questi decide di avvalersi della compagnia di qualcuno lo fa non per necessità, non con spirito egoistico, ma per puro piacere di godere della compagnia di un dato individuo. Questo comporta anche una automatica e conseguente selezione delle persone che riteniamo meritevoli di reale stima o quantomeno interessanti.