“FRATELLO D’ALBA’NIA” QUINTO CAPITOLO…notare l’accento sulla A di Alba’nia

 

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BUONGIORNO! Una foto di un paio di anni fa del porto di Durazzo; non è che sia cambiato molto dal 1998! Proseguiamo nella pubblicazione del racconto con il quinto capitolo. Come al solito, in fondo video inedito degli “Ad Gloriam”  un bel pezzo  nel ricordo di Emerson Lake and Palmer

“affairs of the heart”

                                                                                                                                                                                                                     Buona lettura, buona visione e buon ascolto…                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          Capitolo V

 

16 settembre da… tre ore e quaranta

 

Mi sono avviato da pochi minuti, quando per una impellente necessità (devo fare la pipì) effettuo una sosta. Io la faccio. Come tutti! Sono gli altri che stanno cinquecento pagine senza!… Riprendo la marcia (per il paesaggio, fate voi. Io dico solo che è buio pesto!).

Dopo qualche chilometro, trovo un posto di blocco. Esibisco il mio lasciapassare e vado oltre. E’ dopo una curva, (a destra per la precisione) che lo vedo! Un paio di mezzi militari lo illuminano con i fari. Il <Benz> è in un fosso. (Osman l’aveva detto…). Solo che c’è anche un albero, e la macchina vi si è schiantata contro!

Mi intimano l’alt. Eseguo. Mentre controllano il mio pass, do una sbirciata… il tedesco è riverso sul volante.

“Kaput!” dice uno dei militari, accorgendosi della direzione del mio sguardo.

Sono più sollevato! Enormemente sollevato! Grazie Osman!

Chiedo di chi si tratta.

“Niente documenti. Solo un pass; non sappiamo!” mi viene risposto. (Comunico che le ultime conversazioni, da Vladic in poi, sono avvenute in Inglese!).

 

16 settembre ore 04.20

 

Sono a cinquanta metri dalla casa dove dovrebbe essere Fatmir. Elaboro il piano. Mi sembra buono!…Ma…  il mitra che mi viene puntato alla tempia da qualcuno balzato in macchina, mi fa capire che non servirà!

“Stai calmo! Per favore. “Spero che abbia capito…”

“Chi sei?” la domanda è in Italiano.

“Sono un amico di Gilibert D. Se sei Fatmir, ho bisogno di parlarti.”

Silenzio.

Poi: “ti conosco! Ti ho visto a Golem qualche volta!”

Noto un percettibile rilassamento di qualche muscolo! (Mio!)

“Fatmir” gli dico. “So che ti cercano. Hanno ammazzato la tua donna ieri sera!…”

“Chi è stato?”

“Credo uno straniero. Ha un benz nero.”

Fatmir ha una esitazione. Proseguo.

“Adesso però è in qualche cassa di legno…”

Ancora esitazione.

“Ha avuto un <incidente> a venti chilometri da qui.”

Nuova esitazione.

Realizzo che crede che io c’entri in qualche modo… Mi conviene che lo pensi!

“Non capisco…” fa lui. “Io… divento pazzo!!!”

“Ascoltami!” batto il ferro finché è caldo! (Lo so! Conoscete anche questa!)

“So dello scafo e del capanno. So che qualcuno ti vuole morto! Perché non proviamo a capirci qualcosa?”

Esitazione finale!!! Il mitra si abbassa!

Seduti in casa degli zii di Fatmir, mentre beviamo una tazza di (indovinate un po’?!) lo scafista mi… apre il suo cuore!” (Questa mi piace: la scrivo!).

“In Durazzo” comincia “c’era una organizzazione che prendeva bambini e portava in Italia. Io facevo il trasporto con il mio scafo…”

Lo interrompo.” Allora hai portato anche il figlio di Gilibert?”

“Si! Credo. Anche se io non conosco. L’otto di questo mese, mi dovevo incontrare con uno di questa organizzazione; penso capo, per prendere soldi di ultimo viaggio, in una grotta vicino spiaggia di Golem. Sono andato, ed ho trovato quest’uomo morto! Aveva la gola tagliata.”

“Chi era?” gli chiedo.

“Non so il suo nome. Io ho visto lui solo due volte. Sempre per prendere soldi.”

“Vai avanti” lo invito.

“Sono tornato al mio capanno e non ho parlato con nessuno di questo. Dopo ho cercato un altro uomo; si chiama Saffet Ozani. Lui veniva con scafo per fare guardia di bambini e consegnarli ad altro albanese che aspettava in Italia. Cerco due giorni, ma non trovo. Poi un poliziotto amico, mi dice che hanno identificato il cadavere di uno, ammazzato con pistola in una strada di Durazzo: è Saffet!”

Non dico niente. Capisco che non è finita…

“A questo punto ho paura! Cerco di stare nascosto da mia donna. Penso; vogliono morto anche me! Ancora un giorno ed all’uscita del porto, uccidono albanese arrivato da Italia. Il giorno dopo c’è sua foto su giornale. Riconosco albanese che aspettava bambini e prendeva, una volta passati il mare. Troppa paura! Sicuro! Ammazzano anche me! Lo stesso giorno, salta per aria mio scafo e mio capanno. Con bomba penso. Forse credono che io vengo fuori! Così sono scappato qui in Kossovo!”

Ha finito di raccontare Fatmir! E’ senza fiato, ma mi sembra più sollevato.

Per un pò non parliamo…

E’ chiaro che qualcuno aveva voluto demolire quell’organizzazione. Forse è la vendetta di una <cooperativa> di genitori. Forse la discesa sulla terra <dell’angelo sterminatore> (il tedesco) che fa pagare col sangue i peccati commessi!

Comunque non sono problemi miei!

Il <mio> ha fatto qualche passo avanti!

Arben è stato portato in Italia.

Chiedo a Fatmir il nome dell’albanese ultimo <defunto>; mi risponde di non conoscerlo. Comunque era scritto sul giornale.

“Fatmir!: quanti bambini hai portato in Italia?” gli domando.

Ci mette un po’ “io ho fatto questo lavoro da marzo di quest’anno. Prima era altro scafista. Lui è affondato con carico a novembre di anno scorso. Dunque: in marzo ho portato un bambino; verso la fine di mese. In aprile tre: due femmine ed un maschio. Il mese dopo due: maschi. In giugno ancora tre: due femmine ed un maschio. Ancora, luglio tre: una femmina e due maschi. Uno, penso Arben verso la fine di mese passato.”

Avevo preso nota; ne aveva portato tredici: otto maschi e cinque femmine.

E’ inutile chiedergli se conosceva i nomi dei ragazzi.

La nostra chiacchierata è giunta al termine.

“Ancora una cosa” aggiunge. “La prima e l’ultima era un altro.”

“Come era un altro!”

“L’albanese che aspettava in Italia; non era quello di giornale.”

Dunque, oltre a Fatmir c’era ancora qualcun altro vivo in questa storia. O… no?!!?

Mi faccio dire come rintracciarlo, eventualmente, e lascio Fatmir alle 06.30 in punto e con un dubbio angoscioso: cosa dirà Gilibert, perché non ho rotto almeno una articolazione di Fatmir?

 

“FRATELLO D’ALBA’NIA QUARTO CAPITOLO…notare l’accento sulla A di Alba’nia

BUONGIORNO! Siamo giunti al quarto capitolo di questo mio racconto “giallo-umoristico”; a giudicare dai commenti che mi sono pervenuti da chi mi legge, sembra che questa mia iniziativa sia stata accolta favorevolmente (magari solo perché questo fa si che non stia rompendo i “testicoli” con quello che è il pane quotidiano del blog: virus, guerra e ipocriti a vario titolo…prevalentemente gli pseudo statisti all’opera in Italia ed Europa); Anche oggi, inoltre, proponiamo un video allegato. Un inedito della cover band delle Orme “Ad Gloriam”, che si sono cimentate con i Pink Floyd; Ed a proposito della band, molti concittadini avranno saputo dell’incendio che ha colpito l’abitazione di un componente della band, causando danni notevoli nella stessa sala prove del gruppo annessa: chitarre, amplificatori ed impianto voci sono andati letteralmente distrutti. Per chi vuole, può contribuire per l’acquisto degli “attrezzi del mestiere”, aiutando la band a regalarci concerti live e musica dai vari social a cominciare da youtube; al link del loro sito, Ad Gloriam (ad-gloriam.it) potrete leggere come eventualmente far pervenire il vostro contributo. Vi auguro ancora una buona giornata!

 

 

Capitolo IV

 

Siamo per la seconda volta davanti all’abitazione della donna.

Gilbert bussa. Nessuna risposta. Riprova, stesso risultato!

“Sssst!” è Landi “non vi sembra di sentire qualcosa?”

Ascolto… ha ragione!

Un debole lamento proviene da dietro la porta.

Prova ad aprire: è aperta!

Entro nella stanza, e nella penombra intravedo una sagoma per terra. Gilbert trova l’interruttore e, quel che vediamo, mi fa di nuovo incazzare con me stesso!

La poveretta è immersa in un lago di sangue! Ha il volto tumefatto ed il manico di un coltello che sporge dall’addome!

Mi chino su di lei. Non ne ha per molto! Mi guarda eterea ed io penso che entrerà a far parte dei miei prossimi incubi!

“Fatmir!…” farfuglia. “Fatmir…lo vogliono prendere!!! Quei due! Ho dovuto… dire…”

Sembra andare.

“Fatmir… da zii… Kossovo! In…”

Più niente! E’ morta!

Usciamo e ci allontaniamo in fretta… Non  vorrei perdere tempo con la polizia… o peggio!

“E ora?” è Gilbert: “che facciamo?”

Sto riprendendomi. Per un po’ non rispondo.

“Landi cerca un telefono… ecco la posta! Fermati. Gilbert, chiama Benni e digli di correre a casa dei genitori di Fatmir! Deve farsi dire dove abitano gli zii Kossovari! E poi aspettare al telefono che ci facciamo vivi. Intanto andiamo verso il confine.”

Avevano circa tre ore di vantaggio, ma fidavo sul fatto che avrebbero trovato difficoltà a valicare la frontiera: anche il Kossovo è una polveriera.

Inoltre, il <tedesco>, rimarrà solo. Non credo che il suo compagno possa seguirlo al di là; questione di passaporto… Cazzo!!! Anch’io ho lo stesso problema!

Gilbert pare leggermi dentro.

“Dovrai andare da solo! Noi non possiamo.”

A Skodra, ritelefoniamo a Benni. Ci parlo io.

Lo scafista si trova a Bilica, un paesetto a pochi chilometri da Mitrovica. Mi spiega come individuare la casa dei parenti di Fatmir.

Di Osman nessuna notizia.

A questo punto, vedo di organizzare il mio <futuro remoto>, che passa attraverso una telefonata a Belgrado, a Markovich , <Marko> per il sottoscritto; ha un nome assolutamente impronunziabile ed ho trovato più comodo <tagliare> il cognome.

Marko è stato mio compagno di squadra (ho fatto del calcio… ero quasi buono!) alcuni decenni fa, ed è stato con lui che ho cominciato a frequentare i Balcani. Ha una ditta di import (ci faccio qualche affare) e, soprattutto, ha un figlio che fa al caso mio!

<Marko Junior> (anche il suo nome ve lo raccomando…) è un funzionario ad alto livello del Ministero degli Interni jugoslavo.

“Hallò” mi risponde, per tre quarti ancora addormentato.

“Alzati, mettiti la testa a mollo, e dopo mi fai tutte le feste che vuoi!”

“Brutto figlio di… dove cazzo sei?!?!”

“Ciao! Scommetto che dormivi?!!”

“Prima! Ora non più!!!”

“Marko sono nei casini…”

“Tanto per cambiare! E’ il tuo <habitat>. Racconta.”

“Ascoltami devo andare in Kossovo, dall’Albania…”

“Sei pazzo!” mi interrompe. “Ci sono disordini. La nostra tv ha detto che abbiamo in corso una offensiva militare, e la frontiera è chiusa!”

“Per questo ti ho chiamato. Vedi di trovare la chiave!”

“E quando sarebbe?”

“Fra un’ora circa!” rispondo.

“Fai le cose in fretta tu!”

Tace!

Sta pensando… anzi, se ascolto attentamente, sento il cigolio delle sue meningi…

“Dove valicheresti?”

Il primo problema l’ha risolto…

“Transiterei nei pressi di Mitrovica; ho dell’altro…”

“Ah!.. Beh!.. fai finta di essere al ristorante: ordina pure!”

“Ho bisogno di una macchina…”

“Poi?”

“Nel cruscotto, ci starebbe bene una 38; sai che la preferisco!”

Silenzio!!!

“Marko?… ci sei ?”

“Si! Ci sono. Vieni a Belgrado quando hai finito?”

Ho un sollievo!

“No. Non questa volta…”

“La prossima… allora!”

“Si; la prossima!”

“Dobra. Ho bisogno di un’ora; quando sei alla frontiera richiama!”

Una volta in macchina, chiedo a Landi quanto manca al confine.

“Siamo vicini: mezz’ora. Cosa dice il tuo amico?”

“Dice: dobra!”

“E cosa significa?”

“Buono! Ecco cosa significa… devo richiamarlo fra… cinquantanove minuti (per amore della precisione…).”

Nei pressi del confine, il paesaggio si anima. C’è un mucchio di gente! I rispettivi posti di frontiera, sono presidiati da decine di militari che si puntano contro i fucili.

Seduto davanti al negozio di <souvenir di Albània>, vediamo Osman. Ci raggiunge. Brutto segno! Apre la portiera e sale in macchina.

“Ho del caffè” e così dicendo, ci porge una bottiglietta e dei bicchieri di carta.

Gilbert gli racconta di Durazzo, e gli spiega le mie intenzioni. Tocca a lui.

“Il <tedesco> è passato di là circa un quarto d’ora .”

“Ma come ha fatto?!!? La frontiera è chiusa!” gli domando.

“A parte il fatto che per noi non è <chiusa>! Sono quegli altri che ti rimandano indietro…, non lo fanno solo con il nostro amico! Anzi, sembra che lo aspettassero. L’ho intravisto confabulare con uno in borghese; poi hanno alzato la sbarra ed è transitato.”

“Con che macchina?” chiede Landi.

“Con un <benz> nero; un 250.”

“E’ l’albanese che era con lui?” fa Gilbert.

“Ha preso un taxi, ed è tornato verso Skodra.”

Sono preoccupato. Fidavo nel fatto che il nostro uomo rimanesse bloccato; invece… Osman capisce cosa mi frulla.

“Ha fatto due telefonate. La prima appena arrivati qui; la seconda dieci minuti prima di passare.”

Non posso fare a meno di pensare che non sono il solo ad avere buone <relazioni> nella zona…

“Il numero che ha chiamato…” si fruga in tasca e mi allunga un pezzo di carta “è di Roma. Risponde la segreteria telefonica di un antiquario.”

Mi riprometto di approfondire la faccenda. Devo chiamare Marko! Lo faccio.

“Fra dieci minuti” mi dice “vai al posto di controllo; ci sarà un tizio ad aspettarti. Si chiama Vladic; parla inglese. Ti dirà lui!”

“Grazie Marko! Verrò a trovarti!”

“Ti aspetto! <Copriti> mi raccomando!”

Sono le tre e quindici del mattino. Tiro fuori la pistola che mi aveva dato Gilbert “prendila! Non vorrei far suonare il metal detector”.

“E come farai tu?” ribatte.

“Non preoccuparti. Ci ha pensato Marko!”

“Adesso ci organizziamo in questo modo: Landi torna a Golem. Domani… oggi va a Durazzo a prendere l’elenco che ci ha promesso quello dei fischietti. Tu ed Osman mi aspettate qui. Se tutto fila, sarò di ritorno per le nove.”

Tedesco permettendo… penso!

Osman mi guarda e… ride! Quel figlio di puttana se la ride! Ha capito il mio nuovo dilemma!

“Che cazzo mi ridi?!!? Lo rimbrotto.

“Beh… se guardi bene intorno, troverai il benz; credo in qualche fosso!!!”

“Che cosa vuoi dire?”

“Dico che mentre quei due erano al telefono, ho preso questi” e mi mostra dei bulloni. “Non appena quello accelera un po’ di più, è fortunato se perde solo ruote!”

Gran figlio di…! Bravo Osman! Se non c’eri ti avrei inventato!

Mi avvio verso gli <slavi>.

“Mr. Vladic!?” chiedo al militare che mi viene incontro.

“Sono io” mi risponde in inglese, tendendomi la mano. “Venga con me.”

Lo seguo, ed entriamo in una stanza. Va subito al sodo!

“Questo è un lasciapassare che dovrà esibire a richiesta. Credo che verrà fermato qualche volta. Mi raccomando: si fermi ad ogni <alt> che le verrà intimato dai nostri; se non lo fa, le sparano contro.”

Ottimo! Penso.

Prosegue: “la macchina è quella!” me la indica consegnandomi una chiave, “nel cruscotto troverà qualcosa che lei sa…”

Bene. Se fossi James Bond, avrei visualizzato una <Porche> o una <Jaguar>. Siccome sono io… visualizzo una vecchia <Zastava> (non correte a chiedere di che macchina si tratta. Ve lo dico io: è una <Fiat 128>; quelle con la cupoletta!).

“Le auguro buon viaggio! Io sarò ad aspettarla, per farle ritransitare la frontiera.”

Fine della trasmissione!

 

 

“FRATELLO D’ALBA’NIA TERZO CAPITOLO…notare l’accento sulla A di Alba’nia

 

BUONGIORNO! Ieri pomeriggio sono sceso giù al mare e sono rimasto colpito da scie nel cielo fantasmagoriche; d’istinto ho ripreso spezzoni di video e successivamente ho montato col solito “fai da me” abbastanza…male, il video che propongo oggi, in fondo al pezzo, che riporta il terzo capitolo del racconto che sto pubblicando per “disintossicarmi” da virus e carri armati; che rimangono comunque il pane quotidiano con cui gli “sguatteri di regime” ci nutrono!  Tornando alle scie ho immaginato un gigantesco pittore che imprimeva su “una lavagna azzurra” i suoi pensieri…il suo estro. Certo: di scie si parla anche per altri motivi; ma le armi che circolano su questo pianeta sono già una caterva deleteria, senza il bisogno di ipotizzarne o complottizzarne altre! Quindi vi invito a leggere il terzo capitolo del mio racconto, ed a vedere il video proposto, godendo di una colonna sonora fatta di pezzi musicali famosi, che come al solito sono eseguiti da “dilettanti allo sbaraglio”…tipo…io!

 

Capitolo III

 

15 settembre: alba!

 

La notte è stata un casino!

Purtroppo ho dormito!

Incubi vecchi… incubi nuovi. Incubi in bianco e nero ed  a colori!

Piove, e questo pezzo di Albania si trasforma da <polveroso> in <fangoso>; come per incanto…

Raggiungiamo Durazzo, dopo aver spinto due volte la macchina, che sembra prediligere le pozzanghere più grosse.

Alla guida c’è Benni, cugino di Gilibert, (Landi oggi è di riposo…) poliziotto anche lui e, naturalmente di servizio da qualche parte!

Alla fine degli incubi ho partorito! (L’idea).

Gilibert aveva detto di tanti bambini spariti nella zona. Io volevo sapere quanti, chi erano e quando erano scomparsi. Per questo ci troviamo seduti nell’ufficio di Bekir Pati, direttore (nei ritagli di tempo) della sezione <criminale> della polizia di città, che alla fine di vari convenevoli, decide che per produrre questi dati, ha bisogno di qualche giorno: deve mettere insieme le varie denunce di scomparsa, ricevute nei vari posti di polizia, dai vari poliziotti di servizio!

In cambio di tutta questa sconvolgente <attività>. Mi impegno a rifornire la questura di Kg 1,5 di fischietti; “quelli che fanno frfrfrfr, e non quelli che fanno trtrtrtr” si raccomanda il direttore.

L’idea era buona!

E’ il parto che sembra un aborto!

Intanto continua a piovere e muoversi per la città è diventato difficile; decido che si torna a Golem, nel solito bar.

Il mio <fratello> è nero!

Lo capisco.

So anche cosa gli gira per la testa, mentre beve il solito <turco caffè>. Sta immaginando di aver per le mani quello che ha preso suo figlio e gli spacca le ossa: una ad una.

“Se lo trovo” esplode, “gli rompo le ossa una per una!”

Visto? Cosa vi dicevo?

“Certo Gilibert, lo so che lo farai. Ma prima bisogna trovarlo.”

“Tu trovi… sicuro!” ringrazio per la fiducia!

“Profonda necessità”. Telefono a casa.

“Cosa ha fatto il Milan?” chiedo alla voce che mi risponde; “ha visto l’altra squadra vincere tre a zero!” riconosco mia moglie.

“Ma, sei… mio marito?” tanto per sincerarsi di aver dato la brutta notizia alla persona giusta!

E’ in queste circostanze che condivido le stesse emozioni di Berlusconi: <mal comune mezzo gaudio> (lo so che l’avete già sentita!).

“Sei ancora lì? “ fa mia moglie; “certo che ci sono. Sopravviverò! Ascolta: devi fare una cosa; devi comperare dei fischietti…” “dei fischietti?” “Si; dei fischietti. Poi li porti a Shito, che provvederà a mandarli qui. Devo regalarli.”

“E quanti ne compro?”

“Un chilo e mezzo.”

“E da quando si vendono a chilo?”

“Non lo so; ma tu falli pesare.”

“Li faccio pesare…!” dubbiosa della mia integrità mentale.

“Ah! Un’altra cosa; accertati che facciano tutti frfrfr e non trtrtr.”

“Debbono fare frfrfrfr?” “debbono fare frfrfr!” “no… trtrtr?”i dubbi cominciano a diventare certezze! “Esatto. Mi raccomando: frfrfr!” riaggancio.

Quando torno, sono certo di avere un appuntamento irrinunciabile con lo psicanalista.

Nel frattempo è arrivato Eris.

Mentre mangiamo un <non so cos’altro> ci aggiorna sugli eventi nella capitale.

“Molto casino!” dice; “E durante il casino, ho fatto qualche domanda sul vostro problema…”

“E cosa viene fuori?”

“Viene fuori che, due giorni fa, è saltato per aria uno scafo…” non lo interrompo.

“E, qualche ora dopo, ha fatto <boom> anche un capanno lungo la spiaggia: dieci chilometri più a sud. Il proprietario è riuscito a non <volare> in tutti e due i casi.”

“E allora?”

“Allora penso che tu debba farci due chiacchiere… a patto che lo trovi!”

“Sarebbe a dire che…”

“Esatto! Non essendo <volato>, si è <volatilizzato>”.

Si chiama Fatmir Ushi”

“Lo conosco!” interviene Gilibert.

“I suoi genitori, vivono a due chilometri da qui, su per la montagna. Sono di origine kossovara!”

“Hai altro?” chiedo ad Eris.

“Si. Vive con una donna di Durazzo, che abita di fianco all’agenzia dell’<Adriatica>.”

“Bene! Penso proprio che andremo a far visita alla signora. Tu che fai? Vieni con noi?” domando ad Eris.

“No. Devo tornare a Tirana.” Poi, “ah! Un’altra cosa… guardati il culo! Ho visto la stessa faccia sia a Tirana l’altro giorno, che qualche minuto fa. Era seduto laggiù! Di fronte alla baracca del macellaio… ora non più!”

Figlio di puttana di Eris!…

Lo ringrazio e lo saluto.

Mentre stiamo salendo in macchina, Gilibert ci fa: “un momento! Che dici se telefono ad Osman di farsi trovare al <caffè Italia>, e di dare un’occhiata sulla nostra coda?”

“Ottimo Gilibert, è un’ottima idea!”

Osman è la mia <polizza assicurativa>; quando sono impegnato in Albania, lui gioca in copertura; così niente torcicollo e si evita qualche guaio!

Al <caffè Italia>, ignoriamo Osman, seduto in un angolo; beviamo un caffè espresso (confesso che mancava!) e ci avviamo verso la casa della donna.

Non troviamo nessuno.

Una vecchia, seduta ad un banchetto di sigarette, ci informa che la signora è al lavoro, rincaserà intorno alle 18.00 ,e che di solito è puntuale.

Sono le 14.50 e per riempire il buco, penso di andare a fare due chiacchiere con i genitori di Fatmir.

Arrivati a Golem, scopro che mi tocca fare una passeggiata di quattro chilometri fra andata e ritorno!

27 minuti all’andata  (è in salita…), 18 minuti al ritorno (è in discesa!), due ore di parole, più un caffè turco, sono i tempi necessari per capire che <l’affetto filiale> non è il piatto forte dello scafista.

I poveretti non lo vedono da mesi, né sanno dove possa essere.

Ci fermiamo a casa di Gilibert.

La constatazione che dai rubinetti di Albània, sgorga acqua, mi porta a soddisfare alcune necessità fisiologiche.

Stiamo per ritornare a  Durazzo, quando telefona Osman.

“Vuole parlare con te” mi fa Landi, che è tornato dal riposo”.

Rispondo. “Osman, che novità hai?”

“Abbastanza!” è la sua risposta.

“Io dico, poi vedi tu.

“Primo: Eris aveva ragione! E la faccia che vi stava dietro, aveva compagnia. Sono in due; un albanese ed uno straniero. Tedesco credo; secondo: non vi hanno più seguiti; sono rimasti nei pressi della casa dove siete stati; terzo: è arrivata una donna. I due si sono infilati in casa con lei, anche se mi è sembrato che non le piacesse; quarto: ne sono usciti dieci minuti dopo; si sono messi in macchina e stanno viaggiando verso Skodra. Ora sono fermi in un ristorante; quinto: che faccio?”

“Da quanto tempo sono usciti dalla casa della donna?” gli domando, maledicendomi di averli portati fin lì!

“Sono circa un paio di ore. Faresti bene ad andare a dare un’occhiata.”

“E’ quello che farò. Tu nel frattempo, non li mollare! Se ci sono novità telefona. Ci sarà qualcuno a rispondere!”

che coglione! Che coglione che sono stato!

Mi riprometto che lo scriverò mille volte: <io sono un coglione!>

Dopo aver lasciato Benni di guardia al telefono, ci precipitiamo a Durazzo.

 

“FRATELLO D’ALBA’NIA SECONDO CAPITOLO…notare l’accento sulla A di Alba’nia

 

 

 

Buongiorno! pubblico oggi a seguire, il secondo capitolo del mio racconto. In fondo un video “fai da me” che ho pubblicato sul mio nuovo canale youtube “orsogreco”…vedremo quanto durerà. il video è una sequenza fotografica riferita alla guerra del Vietnam: la prima guerra sporca della nuova era; la colonna sonora è un famosissimo pezzo di Bob Dylan non eseguito da lui o altri artisti di fama…buona lettura, buona visione…buon ascolto-

Capitolo II

 

Dodici settembre, ore 06.00.

 

Il porto di Bari, dopo il “grande esodo”, sembra territorio albanese sul suolo italiano.

Tutti i giorni ci sono navi che partono per Durazzo.

Arrivano anche.

Tutti i giorni ci sono albanesi che partono per Durazzo.

Arrivano anche.

Quelli dei gommoni arrivano soltanto.

Di notte!

E sono tutti contenti! Sempre.

Quando partono, perché hanno in tasca metà dei soldi guadagnati dall’ultimo ritorno; (l’altra metà l’hanno spesa per acquistare televisori, videoregistratori, stereo, videocamere) e quindi  potranno pagare da bere a parenti ed amici e, comprare un <posto> sul gommone per il <cugino della zia del cognato di sua sorella>. Quando tornano. Perché potranno riguadagnare, per poter riacquistare: televisori, videoregistratori, stereo, videocamere, che nel frattempo sono stati rubati o bruciati dai continui cali di tensione della fatiscente rete elettrica albanese; nonché il prossimo <posto> sul gommone per il <il cugino della zia del cognato di sua sorella> che, trovato dopo lo sbarco, è stato rispedito a casa dalle autorità italiane!

Sono le 19.00 e, all’orizzonte, nessuna traccia di Durazzo!

Quello del puntualizzare l’ora, è una delle poche concessioni descrittive che mi permetto quando scrivo.

Se <il cielo è sereno> od <uggioso>, se <il mare è pacato> od <incazzato>, se in alto <svolazzano gabbiani>, lo decida chi ha la ventura di leggermi!

Che sia lui a decidere di che colore sono i capelli o gli occhi, le scarpe o il vestito della signora seduta due posti <pullman> più in là e che mi fa il filo.

A proposito della signora: è una puttana.

Di <alto bordo> affermerebbe qualche famoso <descrittivo>; togliete <alto> e prendete il resto, suggerisco io.

Sono le 19.00 dicevo, (in verità più qualche secondo occorso per la doverosa precisazione), e di Durazzo nessuna traccia.

E pensare che avremmo dovuto attraccare per le 17.00!!!

Basta! Siamo in ritardo! Decido di protestare.

Cerco il Comandante; lo trovo “dal momento che saremmo dovuti arrivare a Durazzo già da due ore” gli dico, “e invece siamo ancora in alto mare, le domando: si sono fregati l’Albania oppure siamo in ritardo?”

E quello, guardandomi serio: “signore! Esiste una terza possibilità”, “quale?” gli faccio.

“Dal momento che la crosta terrestre è sempre in movimento, può essere avvenuto un allontanamento dell’Albania dalle coste italiane!” afferma tranquillo.

Ore 23.15: arrivo in porto.

I funzionari doganali hanno smesso il secondo turno; i funzionari doganali non effettuano il terzo turno; si sbarca domani. Ore 06.00.

Benvenuti in Albània! Notare l’accento sulla “a”.

Comunque i “gabbiani non svolazzano”.

A quest’ora i gabbiani dormono!

Io? …No!

Soffro d’insonnia!

Sarà più salato il ghiaccio al polo nord o quello al polo sud?…

 

13 settembre, ore 10.00

 

“Prendi questa!” mi fa Gilibert, porgendomi una <38> a tamburo con quattro pollici di canna.

Siamo nella sua macchina, guidata dal cognato Landi, poliziotto in servizio giù al porto (anche adesso sarebbe in servizio…).

“Albània è di nuovo casino!” continua il mio <fratello>.

“Ieri hanno ucciso Azem Hajdari, compagno di Sali Berisha. Berisha giura vendetta! In Tirana si spara. La gente fugge.”

Tanto per cambiare! E’ sempre la stessa!!!

Si spara…e si scappa in Italia. (Ogni scusa e buona).

La macchina corre (si fa per dire!) sulla litoranea che collega Durazzo a Valona; siamo diretti a Golem, un piccolo villaggio di pescatori, diventati “scafisti”, paese di Gilibert, e da dove parte un cospicuo numero di clandestini. Ogni notte!

La mamma di Gilibert, piange e mi abbraccia, quando arriviamo.

Il padre mi stringe la mano e mi dà il benvenuto.

Sono scalzo, com’è d’uso nelle case musulmane.

Cerco di trangugiare una tazza di <caffè turco>, con cui ho un tempestoso rapporto di odio-amore.

La moglie di Gilibert è su in montagna, con Edina, l’altra figlia del mio amico; è andata ad assistere sua madre che non sta bene.

“Raccontami di questa storia Gilibert”, dico. “Da quanto tempo Arben è scomparso?”

Nel sentire il nome del nipotino, la povera madre di Gilibert scoppia in un pianto dirotto e, suo marito l’accompagna in un’altra stanza.

“Ero in Italia; in Prato. Quindici giorni ora, Landi telefona che Arben non si trova da quattro giorni!”

Piccolo calcolo: Arben è scomparso il ventinove di agosto.

Mi rivolgo a Landi: “com’è andata?”.

“Arben è andato al mare per bagno con amici; era mattino: Poi loro hanno giocato a nascondere, dentro pineta, ed Arben non si è più trovato. Fino a notte… niente! Qualcuno lo ha preso.”

“Landi ha fatto denuncia” prosegue Gilibert “ma polizia nostra dice: tanti bambini scomparsi!… Chi vuole che cerca.”

Già! Chi vuoi che cerchi!?

Non certo la polizia.

Il poliziotto albanese, fa il suo mestiere, quando non ha altro da fare. (Guardare Landi prego!).

Tanti bambini spariti!

Quanti sono serviti come serbatoio per organi?

Quanti sono stati prostituiti?

Quanti sono stati venduti dai loro genitori?

Trascorriamo il resto della giornata, effettuando un inutile sopralluogo dove Arben è scomparso e mangiando un “non so cosa” nell’unico bar di Golem.

Incontro la solita donna che, ogni volta, mi chiede di sposare sua figlia, che oggi ha quindici anni, per poi portare tutti in Italia; quindi si va a dormire.

Loro! Io: No!

I poli sono momentaneamente accantonati.

E’ Arben il mio compagno notturno!

Arben ed i suoi appena sei anni, di una vita forse conclusa!

 

 

 

Alba del 14 settembre

 

All’alba l’Albania brulica di gente, come Milano nell’ora di punta.

Tutti vanno.

Dove non lo sanno neanche loro!

Anche noi andiamo.

Solo che noi lo sappiamo!

Ho comunicato a Giliber che intendo andare a Tirana, per fare due chiacchiere con Eris Berati, l’unico poliziotto albanese che fa bene il suo lavoro! (Secondo me.)

Siamo <lanciati> verso Tirana…(scusate, mi sono lasciato prendere).

Siamo <diretti> verso Tirana con Landi alla guida; (a proposito, è di servizio anche oggi; giù al porto…) Gilibert è teso. “Non è buono per noi” dice “Tirana oggi è una polveriera! Ci sono i funerali di Hajdari e c’è sicuro casino!”

Sputa che indovini! (Tipico detto delle mie parti).

Per cercare Eris dobbiamo andare in questura; per cercare la questura dobbiamo andare in centro; per andare in centro, dobbiamo dire ai poliziotti che facciamo il <tifo> per Phoatos Nano; per andare in centro, dobbiamo dire a quegli altri che facciamo il <tifo> per Sali Berisha!

Così è in Albània! (Notare sempre l’accento).

In questura ci dicono che Eris è in viale dei Martiri, dove si svolgono i funerali.

Filiamo dritti nell’occhio del ciclone.

I <democratici> (alla faccia del nome!) all’improvviso assaltano il palazzo del governo; in pochi minuti sono padroni di due carri armati e dirigono verso la sede della TVSH (la televisione albanese) urlando e sparando all’impazzata. Parte l’assalto.

Siamo nella massa, ed <assaltiamo> pure noi: (chi non <assalta> interista è!).

Riusciamo a sganciarci, defilandoci in un vicolo, finendo addosso ad Eris che spara anche lui!

“Come stanno a casa?” mi urla, senza smettere di sparare.

“Bene” urlo anch’io “ti mandano tanti saluti!”.

E dopo un poco: “Eris, quando hai un minuto, ho bisogno di parlarti”.

“Aspettami in fondo alla strada; per te un minuto lo trovo sempre.”

Facciamo come Eris ha detto, e dopo un’ora esatta, ci raggiunge.

“Chi vince?” gli chiedo; “per ora loro!” risponde. Poi ancora “cosa fai in Albània? E anche tu Gilibert, non eri in Italia?”

“Senti Eris. Il figlio di Gilibert è scomparso; forse è stato rapito. Hai qualche idea?”

Un attimo per recepire il dato, poi mi risponde.

“Per ora no. Senti, adesso ho da fare! Vedrò di chiedere in giro. Comunque vengo io, domani a Golem; spero di dirti qualcosa! Scusa se non posso offrirti da bere…”

“Certo che sei scusato!” gli faccio. “Dato le circostanze!”

Sto cazzo di Hajdari! Perché doveva farsi ammazzare proprio ora?

Torniamo a Golem.

Siamo seduti al bar.

“E adesso?” chiede Landi.

“Zitto” fa Gilibert “non vedi che pensa?” E così dicendo accoppa una mosca  che, secondo lui, disturba le mie riflessioni!

Sono le tre del pomeriggio e mille domande mi frullano per la testa.

No. Non ve lo dico; non preoccupatevi!

Anzi… una ve la dico cosa ha fatto il Milan, ieri in campionato?