La principessa di Parma

Così, anche nei momenti in cui non poteva fare del bene, la principessa si sforzava di mostrare, o meglio di far credere con tutti i segni esteriori del linguaggio muto, che non si riteneva affatto superiore alle persone fra le quali veniva a trovarsi. E con ciascuno aveva l’affascinante cortesia che le persone ben educate hanno con gli inferiori; e di continuo, per rendersi utile, spostava la sua sedia per lasciare più spazio, mi teneva i guanti, m’offriva tutti quei piccoli servigi, indegni delle altezzose borghesi, ai quali si prestano con gioia le sovrane oppure, per istinto e per abitudine professionale, gli ex domestici.

[…]

Ma se parlava così era anche perché, come tutte le persone del suo mondo, si sforzava di dire le cose che potessero fare più piacere all’interlocutore, di ispirargli la più alta stima di se stesso, di fargli credere che quelli a cui scriveva ne erano lusingati, che onorava chiunque lo ospitasse, che tutti bruciavano dal desiderio di conoscerlo. Questa volontà di suscitare negli altri un concetto lusinghiero della propria persona esiste, a dire il vero, anche in certi ambienti borghesi. È una benevola disposizione che si presenta, allora, sotto forma di qualità individuale compensatrice di un difetto, non, ahimè, negli amici più sicuri, ma almeno nelle compagne più gradevoli. In ogni caso, è una fioritura del tutto isolata. In una parte cospicua dell’aristocrazia, invece, questo tratto del carattere non ha più nulla d’individuale; coltivato dall’educazione, nutrito dall’idea d’una propria personale grandezza che non può temere d’umiliarsi, che non conosce rivali, che sa di potere, con l’affabilità, rendere felici delle persone, e si compiace di farlo, esso si è tramutato nel carattere generale di una classe. E persino coloro cui difetti personali troppo contrastanti impediscono di serbarlo nel cuore, ne portano una traccia inconsapevole nel loro vocabolario o nei loro gesti.

M. Proust, La parte di Guermantes II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Marcel Proust - Marcello Veneziani

“È possibile tracciare una filosofia proustiana? Il florilegio ci permette di cogliere nitidamente tre versanti della Ricerca proustiana: la scoperta della curvatura del tempo, il passato che riaffiora nel presente e si congiunge al futuro; la scoperta di un ponte, di un cammino introverso che dalla luce della realtà conduce nell’antro recondito dell’anima, in quel luogo oscuro denominato psiche dove sorgono le idee e i sentimenti.

E infine la scoperta che le cose sono animate; liberate dall’inerzia del loro esistere banale, vibrano di ricordi allusivi (effetto madeleine). Le cose parlano in Proust, sussurrano a chi sa ascoltare. Una rivoluzione straordinaria. Qui la solitudine di Proust si ritrova con Freud e con Bergson e anche con Nietzsche, con la fisica teorica e con l’inconscio junghiano”.

Tratto da: C0sì Marcel Proust scoprì il passato in pieno futurismo

La principessa di Parmaultima modifica: 2021-12-28T12:39:21+01:00da ellen_blue

17 pensieri riguardo “La principessa di Parma”

  1. Certo che a leggere i due pezzi tratti dal Guermantes, si capisce non solo la Rivoluzione francese ma, soprattutto, il godimento orgasmico che si provava nel sentir scorrere la guillotine…

  2. Tranquilla, faccio piano sui tasti per non distrarti dal Sanremo… sulla seconda parte, incuriosito, ho letto anche il resto. Mi hanno fatto pensare altre due affermazioni, la prima:
    “la metafisica applicata alla vita quotidiana fin nei minimi risvolti, la penetrante analisi dell’amore («Non si ama che ciò che non si possiede»), la trovo un po’ limitativa perché provare a semplificare l’amore è da stupidi. Perfino io che sono un neofita, ritengo che l’amore è proprio quella roba che non sarà mai un assioma ovvero una certezza da declinare.
    Poco prima afferma che la psiche è il posto in cui nascono le idee e i sentimenti. In realtà non lo so se nascano là, ma non è importante perché di certo la psiche è il luogo dove idee e sentimenti convivono e se le idee le rappresentiamo come il lato razionale e i sentimenti quello irrazionale, la psiche è proprio un luogo dove diventa impossibile distinguere le cose. Questo per dire che, anche se, tante volte, si confonde in amore il desiderio. Forse era più corretto dire che si desidera ciò che non si possiede. Infatti, tante volte, proprio confondere l’amore col possesso genera quella violenza dalla quale si capirà da che parte pendeva la bilancia e, sicuramente, non era l’amore.
    L’altra cosa, quella che definisce una mezza profezia è: «Fra dieci anni noi, fra cento anni i nostri libri, non ci saremo più». Mi spiace per Marcel, ma la frase è un po’ banale perché le opere sopravvivono e restano anche per seimila anni, almeno quelle in pietra. Gli umani no, poveri loro. Ma anch’essi, anche solo nel ricordo, durano anche più di 1000 anni. Se poi parliamo di te e di me, anche di più.
    Un’ultima cosa, dice Veneziani: “Non lessi da ragazzo la Ricerca, ma alla stessa età in cui Proust l’aveva concepita. Si vede che c’è un giro di boa della vita in cui il bisogno di leggerla coincide col bisogno di scriverla.”
    Potrei dire che “Si vede che c’è un giro di boa della vita in cui il bisogno di leggerla coincide col bisogno di comprenderla, altrimenti, a meno che non sei un ragazzo prodigio,dopo poche pagine, chiudi il libro.” e, sinceramente, non mi sembra che Veneziani fosse essere un ragazzo prodigio :))

  3. Tu: “Forse era più corretto dire che si desidera ciò che non si possiede”, ma il virgolettato riportato da te dice: («Non si ama che ciò che non si possiede»), e perdonami ma non mi raccapezzo.

    1. Proverò a spiegarlo meglio. Dire che “Non si ama che ciò che non si possiede”, da un lato equivale a fare dell’amore un assioma ovvero affermare una stronzata immensa visto che l’amore inteso sia come percorso che come sentimento resta e resterà impossibile da decifrare fino al punto da non poter capire cosa sia veramente “amore” e cosa gli somigli soltanto. Quindi l’affermazione sarebbe stata meno banale e falasa se si fosse riferita al desiderio perché esso, nel 99% dei casi ha a che fare proprio con quello che non si possiede. E visto che viene tirato in ballo, in quella affermazione il “possesso”, non è forse vero che proprio il possesso è quello che, nei casi in cui la gelosia sfocia nella violenza nei confronti di quella che è la persona amata, non dimostra, invece, che proprio in quei casi parliamo di amore laddove, invece, proprio quello non era amore, ma solo qualcosa che gli somigliava.
      Alla fine, affermare che “Non si ama che ciò che non si possiede”, rimane per me un a frase che può sembrare molto vera, ma è solo una frase ad effetto e non mi meraviglierei se questa frase appartenesse a Marcel perché, per quanto abbia compreso, lui del sentimento amore ci ha capito ben poco e, visto che io stesso dico che sull’amore nessuno ci ha ancora capito una mazza, perdono chiunque abbia scritto quella frase. Mi spiace solo che, dopo averla scritta, perché può succedere a tutti di scrivere una stronzata, piuttosto che bearsi di aver scritto una roba da scolpire nel marmo, non l’abbia riletta e cestinata.

      1. Dissento, lui dell’amore ha capito tutto, ovvero ha capito quello che il suo cuore e la sua mente gli hanno ispirato; e quindi è come concordare con te, ognuno dell’amore ha una propria concezione. Per me amore è quando l’uomo che sta con me rende trasparenti tutti gli altri.

        1. Dimenticavo, nella prossima vita prendi in considerazione l’eventualità di fare l’esegeta. Sei portato, e stando a come analizzi gli scritti, devi cavartela bene anche con l’analisi delle persone alle quali ti rapporti.

        2. Ed io dissento che lui abbia compreso tutto dell’amore proprio perché tu hai detto che “ognuno dell’amore ha una propria concezione” ovvero ci sono almeno 7 miliardi di versioni. Se ce ne fossero solo tre o quattro, l’amore sarebbe molto meno inafferrabile.

          1. Non dubito che saresti stato un fine analista dell’animo umano (lo sei comunque); quanto all’amore stiamo dicendo la stessa cosa, ciascuno ne fa una questione personale, ma se ci pensi ci sono dei capisaldi da cui nessuno può prescindere.

    1. Non lo penso affatto però un po’ mi dispiace per quello che si perderà l’umanità. Fa parte del gioco però e, per dirtela tutta, a me basta non essermi perso te.

  4. “Si vede che c’è un giro di boa della vita in cui il bisogno di leggerla coincide col bisogno di comprenderla…”, su questo punto sono perfettamente d’accordo, tutti i libri di un certo peso devono essere letti all’età giusta. A me fecero il danno di regalarmi dei testi sulla questione meridionale quando ero ancora alle medie; da ragazzina assennata li lessi per compiacere chi me li aveva regalati, ma a ragion veduta posso dire che si trattò di un danno relativo perché, lettrice ancora in erba, imparai a confrontarmi con testi impegnativi.

  5. “tutti i libri di un certo peso devono essere letti all’età giusta”… infatti!

    “ma a ragion veduta posso dire che si trattò di un danno relativo perché, lettrice ancora in erba, imparai a confrontarmi con testi impegnativi”… vero. E’ la legge del bicchiere mezzo vuoto e, in termini di esperienze ed anche di cultura, anche il negativo è positivo e viceversa.
    Un bacio.

  6. “se ci pensi ci sono dei capisaldi da cui nessuno può prescindere”

    Senza dubbio e se, a mio avviso, nessuno è in grado di comprendere i meccanismi dell’amore, solo chi condivide quei capisaldi, pur senza saperlo è più vicino alla comprensione dei suoi meccanismi.

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