Dopdomani sarà di nuovo Natale… Come tutti gli anni, ma per fortuna solo una volta l’anno. Bene, oggi pomeriggio ho deciso di tapparmi in casa, di non mettere manco una ciglia fuori, onde non esser investito dalla furia della gente, con gli occhi iniettati di sangue e la bocca che sbrodola fiele, che cerca all’ultimo secondo dell’ultimo giorno disponibile il regalo introvabile e possibilmente quasi gratis. Di anno in anno infatti ogni famiglia cristiana (non la rivista) è solita deturparsi il periodo di vacanze con molteplici e logorroici rituali: il più in voga oggigiorno consiste nel riunire tutta la famiglia (quindi anche la nonnina affetta da anca sbilenca in platino iridio smaltato e il suo pitone da compagnia, oppure il suo Toy Boy diciottenne e pieno di foruncoli) infilarla di forza in una Smart e recarsi in giro a rompere i torroni al genere umano urlando a squarciagola la parola più inutile dopo Presidente del Consiglio… ovvero “AUGURIIII”. Ho provato mille volte a scrivere un manuale su come si sopravviva al Natale e alla sua vigilia, ma non ci sono mai riuscito perchè, puntualmente ogni 25 dicembre, anche la mia minuscola vita è invasa da esseri famelici e urlanti denominati parenti. Questa progenie di persone, che discende direttamente dalle locuste, si presenta in casa rigorosamente senza regalo e con la scusa malefica del “passavo solo per far gli auguri”. Si trattiene per ore sbavando con occhi concupiscenti, su pandori, panettoni e dolciumi vari e non appena si chiede a tali individui se ne gradiscono un assaggio, questi, con scuse false come gli euro di cioccolata, emettono lamenti simili al diniego, ma che in verità si rilevano essere solo l’elenco di quello che hanno mangiato, dalla vigilia in poi, in rigoroso ordine alfabetico o calorico… Parenti! Che comunque non se ne vanno prima di avere quanto meno leccato, con la lingua retrattile come i camaleonti, lo zucchero a velo posto sopra il vostro preziosissimo pandoro. Ma la vera cosa triste è che per lo più molti di noi hanno nel ramo dell’albero “ginecologico” di famiglia, una parente anziana che elogia in modo falsamente falso su come si sia addobbata la dimora. Osserva con l’occhio (di solito di vetro o infetto dalla peggior cataratta della storia) l’albero di Natale, solitamente in plastica, poliuretano espanso, o economica fibra di carbonio, o quella bislacca composizione verde che i bambini e gli adulti sono soliti decorare con lucette colorate dai colori intercambiabili, palle di Natale di cioccolato fuso al calore dei termosifoni, e fiocchetti rossi e dorati: il risultato finale è uno psichedelico abete che pende da una parte e che provoca violente convulsioni e crisi epilettiche anche ai diabetici. La particolarità di questo obsoleto vegetale sta nel fatto che non significhi assolutamente nulla, da nessun punto di vista e che di solito stoni con tutto il resto della mobilia! Ecco dopodomani sarà circa una cosa così, quindi mi chiedo, ma perché non posso andarmene a passare il Natale a Silent Hill?
Non si contano più gli attimi
le storie arse vive nel camino
e questo gelo, che ci lega l’anima,
ora ci fa da coperta o da sciarpa.
Non racconto dell’insopportabile inedia
che affamata ci morde dentro,
un veleno che muta in sorriso,
o che stritola un cuore di stagnola.
Poi, abbacinati da opalescenti luci,
caleidoscopi di falsati, effimeri sogni,
trasciniamo ben oltre il futuro
quello che ci basta per un’altra alba.
E non è tanto come ci si senta soli,
ma come ci si riscopra spesso
ancorati al fondo di una bottiglia,
dove s’adagia il relitto inconsistente
di una addobbata vita artificiale.
“Eppure ci dev’essere una qualche maniera logica di spiegare questa cosa del Natale.”
(cit. dal film “Nightmare Before Christmas”)
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Buone Feste
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