Enciclopedia, ma anche no

L’altro giorno visto che non avevo un caxxo da fare come tutti gli altri giorni di tutti gli altri anni della mia povera e inutile esistenza, che inizia quando iniziano le ferie per finire il giorno dopo, strafatto di cocktail improbabili tipo albume d’uovo e ravanelli, sono andato a trovare l’Amico_D per esporgli un grandissimo problema che mi attanaglia sin dalla più tenera età… si chiama il “blocco dello scrittore impedito e costipato” e cioè quando ho qualcosa di carino da scrivere di bello, suadente, piacevole, memorabile, e soprattutto di falso come le monetine da 3 euro, faccio di tutto per scriverlo peggio che posso…. D’altronde sapete tutti che m’è morta la maestra in prima elementare, strangolandosi con un vasetto di miele Ambrosoli dopo aver saputo che sarei stato suo discente. ANYWAY: ero andato a trovare il mio compagno di bevute che era appena tornato da un viaggio organizzato in Cecenia, alla ricerca di sesso a buon mercato con bambole di plastica importate dalla Cina settentrionale. La summa di questo viaggio della disperazione fu una bella malattia venerea di cui non conosco bene il nome, ma che assomiglia molto a delle verruche sul pisello… Mentre lui giocherellava alla “Lampada di Aladino” per mettersi la pomatina emolliente, ma non rassodante che gli aveva consigliato il nostro medico di fiducia A. dopo una seduta, in piedi, in video conferenza dalle cascate del Togo, io me ne stavo ad osservare la faccia stranita del nostro vicino che tentava di spiarci dal terrazzino della sua bicocca con un binocolo trovato nelle Pai d’oro. Fu allora che suonò il campanello… Mentre consigliavo all’amico D di non andare ad aprire con l’attrezzo intriso di pomata in bella mostra, scommettevo tra me e me (e perdevo molto spesso) su chi potesse essere quel pover uomo che veniva a farci visita… E infatti era una donna, un pezzo di manza un tot a tetta che vendeva quelle fantastiche quanto inutili enciclopedie, perchè diciamocelo chiaro e tondo, con l’avvento di internet quanti di noi si strafanno di aromi di colla invecchiata sfogliando le pagine ingiallite dall’autocombustione di un tomo spesso come un muro portante e aggiornato al 1964? Alla parola magica (tipo Apriti Sesamo) “enciclopedia” esordì il mio amico in un lungo monologo tanto per fare lo splendido che può riassumersi più o meno così “non ho mai avuto un’enciclopedia, ma un tempo avevo Tre Cani”. La signorina allora guardò me nella speranza di intravedere un barlume di intelligenza nei miei occhi in completa assuefazione da psicofarmaci ma in overdose di frappè indicibili, ma la dovetti deludere nel momento in cui dichiarai di aver avuto la Motta tempo fa, ma poi con la storia del topicida nei panettoni e con il fatto della dieta dovetti smettere. Fu allora che la signorina delusa girò i tacchi e se ne andò… Vi confesso che fu una visione paradisiaca vederla di spalle sculettare come un orologio a pendolo, ma il mio sogno scoppiò come una bolla di sapone non appena il mio amico_D sussurrò..
“Non so come dirtelo, ma mi sta diventando duro…”
“Bene” dissi io “Così vai meglio a metterti la pomata”
Il resto, come disse l’uomo più colto di me… è storia

E anche oggi il cielo cuce filamenti bianchi,
nella sua tela sfumata di grigio
sbuffa qualche nube senza nome.
Ai suoi occhi non sembro un re,
ma quella polvere minuscola
che volteggia nelle stanze dove filtra il sole,
dove anche altre vite scivolano via
posandosi solo un attimo.
Prendo le distanze dalle stesse,
così come fanno gli aquiloni
fosse mai che qualche filo s’ingarbugliasse al mio,
perchè è così che fanno le vite
s’intrecciano spesso in stretti nodi
fino quasi a strozzarsi.
Ora che ho una tazza di caffè nelle mani
in essa vorrei annegare,
così come fanno i vigliacchi:
e io del mio esser vigliacco porto i cenci.

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Capita sempre più spesso:
una voce che sbrana la notte
e poi veloci gli attimi sul ciglio
scivolano come sghembi segnali
su chilometri di umido asfalto
nel gelido vento che mi fa da maschera
e con le labbra che sanno di limone e sangue
mi accompagnano ombre di vecchie foto
bianco e nero, nero e bianco
sdrucite agli angoli come le ginocchia.
Ho tutti i miei alibi pronti
e sanno che anche io sono pronto
per infilarmi tra le bianche coltri,
tra le mie parole verticali,
tra i miei giorni d’autunno
per fingere di vivere ancora una volta
per cader nel vuoto come foglia
sospeso tra un respiro e le tenebre.

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“Considero le mani tese sui capelli e quel gusto di malinconia come i prodromi di un inquieto vivere”
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Un Ritardato Ritardo

L’essere umano ha in sé una dote incredibile, anzi a dire il vero ne ha due, ma non mi riferisco a nessuna parte anatomica, bensì ad una parte facente capo all’intelletto… Alludo alla fantasia nel trovare scuse per giustificare un ritardo. Rassegniamoci, innanzitutto, nell’ammettere che essere in ritardo non è una colpa, ma una delle sfumature dell’animo umano. Essere in ritardo ad un appuntamento non è mai sbagliato, anche i VIPS arrivano sempre tardi alle feste, così come il ciclo non mai puntuale quanto dovrebbe. (Quest’ultimo dato non deriva da esperienza personale provata sulla mia pelle, ma da fonte Istat su un campione statistico inferenziale ricavato da un questionario che il giovane Mannheimer consegnava fuori dall’asilo del mio paese). Tuttavia per alcuni questo comportamento risulta fastidioso se non intollerabile. Non importa di quanti minuti, ore o anni siate in ritardo, l’importante è che abbiate inventato una scusa abbastanza credibile da essere perdonati. Se la scusa non è credibile, per lo meno che sia fantasiosa: almeno chi vi ha aspettato apprezzerà lo sforzo creativo. Alcune scuse sono facili da ricordare e recitare. Risultano persino credibili. Possono rivelarsi, tuttavia, una scelta non azzeccata con persone precisine e insofferenti ai difetti altrui del tipo: “Il mio orologio ad acqua si è rotto e l’acqua è evaporata”; o “Mi sono addormentato, sai, colpa della puntata di ieri sera di Porta a Porta…”; o “Non trovavo le chiavi del monociclo”, o “Il treno ha bucato” o “Mia suocera ha morsicato il mio Rottweiler”, o ancora “Pensa che per arrivare a casa tua sono dovuto passare per lo stretto di Bering”. Altre ancora più fantasiose, ma quantomeno verosimili tipo: “Il mio aereo è stato dirottato da Berlusconi vestito da narcotrafficante afgano”, o “La mappa del mio Tom Tom risale ancora all’epoca egizia”, o ancora “Scusa, ma ho bruciato l’acqua per il the”, o ancora “Sono in ritardo scusa, ma lo sai che lavoro per TreNord”. Ma alla fine la scusa più semplice è dare la colpa al governo (ladro). Lo ha dichiarato Mannheimer cresciuto con l’età, così come sono cresciuti gli ettolitri di sputacchi che elargisce durante le sue innumerevoli esibizioni in compagnia dell’amico Vespa! “Sono rimasto incastrato sulla Salerno – Reggio Calabria” risulta ancora la scusa più quotata assieme a “Sono rimasto incastrato sul Ponte sullo stretto di Messina”. E così, mentre rammento le varie scuse che ho inventato io per scusarmi di un difetto cronico, improvvisamente mi chiama l’Amico_ D per ricordarmi che sono di nuovo puntualmente in ritardo… Ecco dunque riesumare una delle mie massime ispirazioni catartiche che si condensano in un’unica frase del tipo: “Ero morto. Tranquillo, niente di grave”..

Il cielo si discioglie
in meravigliose sfumature nuove,
le nubi sembrano fili sottili,
striature bianche di panna e piume,
sono ombre disegnate
che vegliano le vertebre
e le inarcate schiene.
Con un gesto preciso e crudele del dito
delineo il tuo fianco
come fosse un orizzonte
che taglia la terra
quasi a separarla dagli sguardi.
E non mi resta che guardare il letto sfatto
ai nostri piedi
mentre teneramente mi sfumi dentro.
Lo senti il mio bacio?
Sotto altre coperte ha smesso di piovere.

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“Mi sono cinto di attimi troppo stretti, forse li ho cercati strozzandomi ancora”
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o
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