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Attaccato al muro insieme all'ombra. XXXIII.
Post n°263 pubblicato il 24 Ottobre 2016 da deteriora_sequor
Arrivammo che era pomeriggio inoltrato. Non avevamo realizzato quanto il lutto dilata i tempi e quanto i minuti trascorrano veloci nel dolore. Parcheggiammo e mi venne da riflettere sul fatto che mio padre stava conducendo la sua personale battaglia contro la morte ai piani alti mentre mia madre aspettava riconoscimento e sepoltura negli scantinati. Attraversammo il piazzale sotto il diluvio e mi informai all'abituale reception. Ci diedero tutte le indicazioni con espressioni contrite sul volto e finimmo con il camminare nella direzione disegnata dalle frecce dipinte a terra. Ci capitò di perderci qualche volta, ma, con l'aiuto di alcuni infermieri, alla fine giungemmo davanti alla sezione mortuaria. Le porte erano di solido acciaio e l'odore di formaldeide dominava l'aria lasciando me e Danilo sterili come due placchette di metallo. Bussai, ma l'effetto era quello di un topo che gratta all'entrata di un maniero. Decisi di girare la maniglia e accedere ma fui subito bloccato da un urlo repentino che mi gelò il sangue. "Chi siete? Attendete fuori di essere chiamati!" Fu la brusca interlocuzione. Io accostai la porta intimidito e lasciai gli addetti vestiti di azzurro continuare la loro attività. Ci sedemmo su alcune immense panche grigie che giravano tutt'attorno all'ambiente. Lì attesi con la testa che mi girava e il battito cardiaco che pulsava a mille. "Ce l'hai dietro un calmante?" Feci al mio fratellastro. Lui estrasse dalla tasca un sacchetto pieno di pastiglie e mi passò un nozinan intero. "Forse è troppo". Sospirai. "Non credo. La situazione è particolare." Gli diedi mentalmente ragione e ingollai la pasticca senz'acqua. Non mancò di fare effetto: una sensazione pesante di sonnolenza mi avvolse tutto e mentre parlottavo con lui mi accorgevo che la bocca si impastava e le parole fuoriuscivano lentissime e strascicate. Provai ad alzarmi in piedi e a camminare per l'immensa sala, ma trascinavo i piedi e procedevo come una tartaruga, facendo ben attenzione a non oscillare troppo. "Che cazzo è questa roba?" Protestai con Danilo. Lui nemmeno mi guardava. "Un antipsicotico molto potente." Disse. Io continuavo a camminare come un cavallo col paraocchi e non mi accorgevo del tempo che passava. Potevano essere ore quanto minuti. Alla fine sentì con la coda dell'orecchio che ci stavano chiamando. Un addetto azzurro ci faceva cenno dall'enorme portone in acciaio. Il mio battito era rallentato e il mio cervello era avvolto nella bambagia. Entrammo che distinguevo a malapena la mia missione: la pena s'era affievolita e la tragedia era solo un rumore di fondo che bussava alla parte posteriore del mio cervello. Vidi unicamente una lunghissima fila di sportelli alla mia destra, l'ambiente era asettico e chirurgico e il tizio in azzurro con una cartella in mano si diresse verso il loculo 44, afferrò la maniglia e fece scorrere la tavola. Doveva essere mia madre, coperta da un telo bianco sopra la sua tradizionale, robusta figura. Il tizio abbassò il telo dal viso e la vidi. Perfettamente composta e compunta, con gli occhi chiusi e il labbro inferiore solo lievemente sporgente. "Sì, è Lei." biascicai dopo un tempo che mi parve eterno. L'addetto la coprì nuovamente con cura e professionalità, poi disse: "Ci sono i suoi effetti personali in quella busta (E indicò un punto lontanissimo su un tavolaccio di zinco). siete pregati di ritirarli." Annuì e mi mossi verso il punto ma caddi in ginocchio con un filo di bava che mi usciva dalla bocca. Il nozinan stava pestando duro e mi travisava le distanze e le proporzioni. Mi raccolsero che ero più bianco dei cadaveri. (Continua)
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Inviato da: cassetta2
il 29/07/2024 alle 22:28
Inviato da: Word_User
il 07/05/2021 alle 00:00
Inviato da: cassetta2
il 02/09/2020 alle 09:18
Inviato da: angi2010
il 18/04/2017 alle 23:29
Inviato da: deteriora_sequor
il 14/02/2017 alle 09:28