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Messaggi del 05/05/2024

 

LA CASA DEI RICORDI

Post n°614 pubblicato il 05 Maggio 2024 da carloreomeo0

 

Anch’io ho portato per tanto tempo in tasca una chiave come quella, scomoda sì, ingombrante a volte, ma allo stesso tempo importante, simbolo di casa, di famiglia, di una parvenza d’indipendenza. Ora nelle mie tasche ci sono altre chiavi, diverse, per altre porte, di un’altra casa, di un’altra vita, ma quella chiave a volte mi manca terribilmente, ne sento il peso dell’assenza in tasca. Mi manca ora che la casa dei miei, dei miei ricordi non c’è più, come non ci sono più i miei genitori, mi manca ogni volta che il peso della loro assenza, quel senso di vuoto mi divora dal di dentro. Credevo, mi illudevo forse che, una volta che quella casa non ci fosse più stata, mi sarei liberato da quel silenzio opprimente che mi avvolgeva, come un gelido abbraccio, ogni volta che vi entravo con la consapevolezza che non c’era più nessuno ad aspettarmi, eppure con la remota e assurda speranza, di ritrovarli lì, affaccendati nelle loro faccende, come sospesi in un limbo temporale in cui il passato fosse sempre presente. Pronti ancora a pormi all’infinito le stesse domande: “Come stai?”, “hai mangiato?”, “sbaglio o ti vedo sciupato?” a cui non mi sarei mai stancato di rispondere, rassicurandoli. Invece niente, tutto era insopportabilmente immobile, statico, come in una fotografia in cui anche se scattata con un otturatore lento non ci fosse traccia di movimento, dove il tempo si era sì fermato, ma nel tempo sbagliato, perpetuando la loro assenza e le loro voci, sospese, cristallizzate nell’aria, non producevano alcun suono che il mio orecchio potesse percepire, ma che solo il mio cuore era in grado di sentire, lacerandosi. La casa, nonostante fosse rimasta intatta, così come l’avevano lasciata, come se dovessero rientrare da un momento all’altro, mi appariva vuota, svuotata della loro presenza e allo stesso tempo densa di ricordi, dove ad ogni dettaglio, anche il più insignificante era legato un frammento di vita, un’emozione, una sensazione legata ad un tempo ormai andato. Alcuni particolari poi non mancavano mai di colpirmi dolorosamente, la poltrona su cui mio padre era solito riposare o l’altra poltrona, quella vicino alla finestra, su cui mia madre si sedeva per cucire o rammendare e che ora erano desolatamente vuote, ma così cariche della loro essenza, che giocando con la memoria era facile rivederli ancora seduti lì per un fugace istante.      

Mi ero inutilmente illuso che una volta chiusa per sempre quella porta, mi sarei lasciato alle spalle il dolore dei ricordi, dei rimpianti, il senso di solitudine che a volte mi opprimeva anche quando ero in mezzo alle persone a me più care, per poi comprendere che tutto questo non era rinchiuso fra le mura di quella casa, ma era parte di me, del mio essere e che avrei dovuto iniziare a lavorarci su tutto quel dolore, trasformarlo, plasmarlo, mondarlo di tutta quella sofferenza di cui esso era intriso, iniziando, come si fa quando si scelgono le fotografie da inserire in un album fotografico,  a selezionare i ricordi più belli, allontanando quelli brutti. Sollevando così quel manto grigio di nostalgica amarezza in cui avevo finito per avvolgere tutto ciò che riguardava i miei, ridandogli il colore e il calore che meritavano, iniziando a ricordarli e non solo rimpiangerli, riportando alla luce della memoria tutto quello che di bello e buono mi avevano insegnato, i bei momenti vissuti insieme, la dolcezza di certi loro gesti, che credevo di aver dimenticato. Questo, e solo questo è il giusto modo di commemorare mio padre e mia madre, l’unico modo per continuare a dirgli che gli voglio bene e che non li dimenticherò mai.

 
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