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L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

 

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IL VENTO DEGLI ANNI SESSANTA - 12

Post n°2024 pubblicato il 10 Novembre 2015 da anonimo.sabino
 

 

Esisteva ancora l’Ufficio Copia, uno stanzone dove erano confinate, tutte insieme, le dattilografe; e dipendeva (ma dico io) da un direttore di tendenze omosessuali. La mia stanza dava sull’avvallamento che separava il palazzo dal marciapiede di Viale Glorioso; dal suo parapetto si affacciava Katia, a spiarmi maliziosa, e un giorno anche Antonietta, che Katia accompagnava a farmi visita. C’erano, a due scrivanie di tono minore, due impiegate di concetto: l’anziana Marcucci e la marchigiana Sadori, una giunonica Flavia cinquantenne, imponente anche senza tacchi.

 

Rientrando nella stanza, sentii la Flavia che diceva all’amica:

 

“E’ bello il nostro dottorino. Sarebbe perfetto se fosse più alto…” Entrando in quel momento, la buttai là come mi venne, in dialetto:

 

“Embè, te ‘ngucchi!”

 

“Come, dottore? Come ha detto?” 

 

“Dài, marcheciana, che hai capito benissimo”.

 

Non ebbi il consenso delle compagne di stanza a decrocifiggere il nostro studio. In barba alla nuova Costituzione antifascista, come se lo Stato potesse avere ancora una sua religione, per tutti gli uffici e per tutta la mia carriera ho sempre trovato crocifissi in tutte le stanze. Solo da quando ebbi uno studio tutto mio riuscii a sostituire il crocefisso della mia stanza con un quadro. Ma neanche come dirigente avrei poi imposto in altri ambienti dell’ufficio la mia autorità a pregiudizi, timori reverenziali e invadenze della fede altrui.

 

Era il periodo in cui si andava costituendo la CGIL-Scuola. Parallelamente, in alternativa a un fortissimo sindacato autonomo, era nato tra gli impiegati un Sindacato Nazionale Pubblica Istruzione aderente alla CGIL, una dozzina di iscritti, nessuno nei provveditorati agli studi, pur qualificandosi “nazionale”, semiclandestino. Per tutto il primo ventennio del dopoguerra l’operaismo della sinistra le faceva snobbare il ceto impiegatizio, come le faceva ignorare i problemi della scuola (fatta eccezione per laici sciolti alla Codignola): il PCI si era opposto pregiudizialmente negli anni cinquanta alla “riforma Gonella” e nei primi anni sessanta al “piano Fanfani”, come proclamando sfacciatamente la strategia del tanto peggio tanto meglio; all’inizio di quel 1966 aveva perfino votato contro la legge istitutiva della Scuola Materna Statale, per denunciarne, si disse, i vistosi limiti; gli stessi della legge che l’avrebbe istituita nel ‘68: la sua attivazione condizionata alla insufficienza delle scuole private esistenti in loco, sostanziosi finanziamenti dati per contropartita a queste ultime, non obbligatorietà della frequenza, carattere prescolare, affidamento a sole donne (possibilmente suore).

 

 
 
 
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