Creato da anonimo.sabino il 06/09/2006

L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

 

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ONNE - 13

Post n°2010 pubblicato il 21 Ottobre 2015 da anonimo.sabino
 

 

Per le scale di legno della nostra casa al primo piano ballavano i topi; il solaio superiore, anch’esso di legno, era puntellato; una tela pendente da un cavo separava la zona giorno dalla zona notte; nella toilette una tazza e un lavandino. E i Perugini, che vivevano nel piano rialzato sottostante, si erano rassegnati ad attendere tempi migliori per lavori che impedissero al solaio inferiore di crollare addosso a loro.

 

Dal fondo delle scale, poco prima che mi arrivasse la convocazione agli orali del concorso, udii un giorno una voce delicata che chiamava Maria. Ero solo in casa, davanti al camino, con la testa tra le mani per difenderla dai pensieri neri che vi ribollivano; e un poco a sognare. Vecchia abitudine; ma nel tempo in cui pensavo che bastasse buttare la tonaca alle ortiche, per immergermi nella vita ed esserne inebriato, vedevo nei miei sogni un anticipo di quella che sarebbe stata la vita. Ora erano sogni di evasione, fantasie di fuga dalla realtà, del periodo che in sogni erano ridotte le mie aspirazioni; prioritaria, forse, l’aspirazione a una casa decente. 

 

Era una ragazza che cercava me:

 

“Forse non mi conosci: mi chiamo Antonietta. Ho saputo che la Camera del Lavoro apre soltanto la sera e si riempie subito di gente. Così mi sono permessa di disturbarti a casa…”

 

“Non mi disturbi affatto. Mi dispiace soltanto che l’ambiente non sia più confortevole, per accogliere una bella ragazza”.

 

“Se è per questo”, mi rassicurò sempre sorridendo e driblando il complimento, “casa nostra è altrettanto malmessa; e perfino pericolante”. Ma il complimento l’aveva messa in imbarazzo. “Se mi dici quando posso trovarti un po’ più libero, verrò alla Camera del Lavoro”.

 

“Non ce n’è bisogno… Siediti, ché non ti mangio mica”.

 

Era di Monteflavio e non la conoscevo; ricordavo d’averla incontrata, da chierico, su un sentiero con sua sorella; poi era scomparsa e la rivedevo, da qualche giorno, venire in piazza con l’ombrello, qualche volta che pioveva, a prelevare dall’autobus suo padre, uno dei tanti pendolari: una bella immagine che mi ricordava Antigone. Non particolarmente procace, ma bella mora, di statura normale, con i tratti del viso decisi e un fisico abbastanza piacente che si esaltava in un seno perfetto, non sembrava di paese.

 

In effetti era una delle ragazze che avevano trovato lavoro in un istituto per bambini spastici ad Anzio. Con altre del paese vi lavorava dall’età di sedici anni; e ora ne aveva ventidue.

 

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