Creato da anonimo.sabino il 06/09/2006

L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi di Settembre 2015

L'AVVOCATO - 13

Post n°1995 pubblicato il 30 Settembre 2015 da anonimo.sabino
 

 

Avevo sperato di riavere l’incarico d’insegnamento anche per l’anno scolastico ‘63-’64. Privata dell’autonomia, la scuola era stata agganciata come sezione staccata a quella di Palombara. Così Checco, persa la segreteria e rimasto disoccupato come me, mi aveva soffiato l’incarico annuale d’insegnamento nello spezzone di cattedra, avendone più titolo, con la laurea già acquisita.

 

Raschiai il fondo di tutti i miei risparmi per pagare le ultime tasse. Avrei dovuto ripetere non so quale esame nella sessione di febbraio; quindi non potevo avere l’esonero, per il breve periodo fuori corso occorrente per quell’esame e per la tesi di laurea. E rimasi più disperato di prima, perché avevo fatto affidamento su quella piccola entrata. Le ripetizioni sporadiche che davo a Carla e a Pierluigi, figli della cugina Paolina di Alò e a qualche altro studente in paese mi davano giusto da fumare.

 

Franco, per fortuna, aveva trovato un lavoretto che lo rendeva autosufficiente, ma alla periferia sud di Roma; solo l’arrivarci equivaleva a mezza giornata di lavoro. Ci provava, povero Franco, ma non potevamo sperare che vi reggesse a lungo.Mentre io avevo ancora nella stesura della tesi di laurea un ultimo pretesto di vita.

 

Scelsi la via più facile: il diritto canonico (uno dei pochi trenta su trenta nel relativo esame). Il titolare della cattedra D’Avak mi affidò all’assistente don Salerno, un prete giovane e aperto, che mi fece assegnare una tesi sul colonialismo (il “problema degl’Indios nel pensiero del Vitoria”): un’altra orrenda pagina della storia ecclesiastica, che vedeva ancora il cristianesimo e le sue Chiese in primo piano, nel determinare la sorte degl’Indios; spogliati e schiavizzati nell’America latina, massacrati fino allo sterminio nell’America Settentrionale; unica pretesa giustificazione giuridica la loro civilizzazione attraverso l’evangelizzazione cristiana. La religione cristiana era concausa o pretesto dell’annientamento della loro civiltà e della loro stessa sopravvivenza?

 

Fui tentato di fare qualche obiezione sul titolo della tesi: sembrava suggerire che il problema fossero gli Indios e non i conquistadores. Ma mi tenni le obiezioni per me: l’assegnazione di una tesi era già una concessione…

 

Il Movimento Studentesco ottenne quell’anno l’istituzione del presalario per gli studenti bisognosi e meritevoli… a decorrere dall’anno accademico successivo. Prendilo in culo, il presalario, caro Biotto! Carpent tua poma nepotes… E’ stato sempre così: i frutti dell’albero non saranno colti da chi lo pianta.

 

 
 
 

L'AVVOCATO - 12

Post n°1994 pubblicato il 29 Settembre 2015 da anonimo.sabino
 

 

Il senatore fu palesemente sorpreso di vedermi così giovane.

 

“Come hai potuto fare uno studio del genere, alla tua età?” mi chiese.

 

“Per conquistarmi il diritto allo studio”, risposi, “ho dovuto seppellirmi per tredici anni in istituti religiosi. Da ciò derivano anche i miei accenti polemici”.

 

Le sue riserve sul mio metodo investivano in realtà il mancato ossequio preliminare a un paio di teoremi marxisti: il materialismo storico escludeva che fosse la religione, e non unicamente l’interesse economico, la causa di orrori come crociate, guerre di religione, colonialismo; l’altro teorema, di alcuni marxisti, non di Marx, decantava il preteso carattere rivoluzionario e paleosocialista del cristianesimo primitivo, che io smentivo con le mie risultanze:

 

“Il cristianesimo seguiva tutte le religioni misteriche dell’epoca…” 

 

“Ma aveva un carattere assolutamente originale”.

 

“E’ il suo vanto. Ma di originale, rispetto alle religioni da cui rubava riti e messaggi, aveva solo l’intolleranza. Io credo (purtroppo non sono ancora in grado di dimostrarlo) che perfino il simbolo della croce, come l’epiteto di dioniso messia (Gesù Cristo), l’abbia sottratto a Serapide, il gesucristo degli ebrei di Alessandria, che per Tacito era il culto più diffuso; se sparì rapidamente, fu perché assimilato al cristianesimo e da questo fagocitato”.

 

“Comunque soppresse la differenza tra schiavi e liberi…”

 

“Era la religione degli schiavi. Ma li riscattava in paradiso, mentre ne perpetuava la schiavitù sulla terra”.

 

“Sappiamo però che i primi cristiani si costituivano in comunità dove era soppressa la proprietà privata. Ti pare poco?”

 

“Come gli Esseni e come altri cenobi. Non si trattava di socialismo ma di pauperismo, tra l’altro gonfiato dal pauperista Luca. In realtà tutta la letteratura paleocristiana invitava le masse dei servi alla rinuncia e al sacrificio, a rispettare le autorità e i padroni, ad accettare il sistema che li schiacciava in attesa della città celeste, come intuì perfettamente quel mostro di Costantino”.

 

Non pretendevo che capovolgesse uno dei capisaldi delle sue opere. E ci lasciammo con reciproca ammirazione, ma con poche speranze che quell’enorme lavoro potesse trovare un editore, nel clima politico del “dialogo con i cattolici”; che si traduceva poi in un atto unilaterale di desistenza da parte del laicismo, del dialogo non possedendo un requisito essenziale: il confronto dialettico.

 

Credo che le due copie del Processo siano andate completamente perdute o quasi, passando per le mani di vari curiosi.

 

 
 
 

L'AVVOCATO - 11

Post n°1993 pubblicato il 28 Settembre 2015 da anonimo.sabino
 

 

Feb 28, 1963 Caro Fabio non puoi immaginare con quale piacere noi abbiamo letto la tua divertente lettera scritta in Monteflaviese. Ci sono delle battute di spirito che Beatrice continua a riderci ancora oggi… Ma ora lascia che ti dia un primo caso legale da risolvere… scovare in quale dipartimento dell’Università di Roma sia finita la mia pratica… Tuo Gino.

 

La richiesta di equipollenza di Gino (ci teneva ad essere considerato il primo laureato del paese) si era arenata presso il Rettorato, perché alla Sapienza non c’era una facoltà di sociologia. Quando seppi della sua istituzione a Trento, vi trasferimmo la pratica.

 

Incoraggiato dai lusinghieri apprezzamenti di Gino che ho lasciato nei puntini, aderii all’offerta della Olivetti di acquistare la più piccola macchina da scrivere, la Lettera 22, a modiche rate mensili di 500 lire. Imparai lentamente a usarla con due dita e vi trascrissi così in belle pagine leggibili il mio ponderoso studio, intitolandolo Processo al cristianesimo e suddividendolo in tre volumi: 1. Analisi critica della fede cristiana - 2. Le origini del cristianesimo - 3. Il cristianesimo nella storia della civiltà.

 

Sia che andassi all’ateneo per i miei studi ed esami, sia per una manifestazione, facevo sempre un salto a Via dei Frentani, a cercare materiale per la sezione e a confabulare nella Federazione Giovanile del partito. Fu qualche compagno a consigliarmi di far vedere il mio Processo ad Ambrogio Donini, scrittore e docente universitario, oltre che senatore comunista, ritenuto la massima autorità in materia.

 

Roma 8.10.1963 Caro De Mico… ho letto con grande interesse il tuo manoscritto… Il tuo lungo “Processo al cristianesimo”, sfrondato di alcuni accenti polemici, che mi sembrano superflui, e ritoccato in varie parti, mi pare assolutamente meritevole di pubblicazione. Il problema serio sarà trovare un editore… Per mio conto, non ti nascondo che ho molte riserve da fare sul tuo metodo di ricerca; ma ciò non diminuisce affatto l’opportunità della pubblicazione. Con cordiali saluti. Aff.mo Ambrogio Donini.

 

Dietro suo invito, mi feci accompagnare a Rignano Flaminio, nel suo nuovo villino, tanto per la speranza che riuscisse a trovarmi un editore, visto che era riuscito a leggermi, quanto per conoscere le sue riserve sul metodo di ricerca, a parte i ritocchi a quella prima stesura, che io stesso ritenevo opportuni. Oltre alla cordialissima compagna russa di Donini ebbi la sopresa di trovarvi, loro ospite, Renato Guttuso, il pittore.

 

 
 
 

L'AVVOCATO - 10

Post n°1992 pubblicato il 25 Settembre 2015 da anonimo.sabino
 

 

     La ricchezza di chi sta morendo di sete è un sorso d’acqua.

 

 E un sorso d’acqua, alla fine dell’estate del 1962, mi impedì di mollare; anzi, diede un forte abbrivo ai miei progetti. Proprio quell’anno, mentre si annunciava la riforma che avrebbe soppresso le scuole di avviamento al lavoro inglobandole nella nuova scuola media, unica e obbligatoria, il boom economico e il governo di centro sinistra consentirono l’istituzione della scuola media a Monteflavio. Non potevo fare a meno di pensare quante pene mi avrebbe risparmiato, se fosse nata una dozzina d’anni prima.

 

Il preside interessato ad attivarla riuscì ad allestire una prima e una seconda classe, chiamando a rincalzarle alcuni bambini di Moricone; affidò la segreteria all’unico laureato del paese, Checco, e le due ore settimanali di francese in seconda a me.

 

Le dodicimila lire al mese che mi fruttava quell’incarico annuale (pari alla misera pensione di guerra della mamma) ebbero il merito della mia sopravvivenza: mi consentirono il versamento delle tasse dell’ultimo anno accademico, un paio di scarpe, qualche indumento nuovo e i viaggi in autobus, oltre quelli che mi permetteva l’aumento della motorizzazione paesana; presi perfino una inutile patente automobilistica.

 

Come professore senza titolo penso di essere stato abbastanza bravo, a giudicare dal gradimento dei pochi alunni e dal rispetto che continuano a tributarmi. Ero rigoroso, ma tutt’altro che severo, come erano, all’inizio, i nostri prefetti, gratificato com’ero dalla “funzione”, più che dal modesto compenso.

 

Anche la mia attività politica di militante volontario si intensificò. Spinsi lo zio Pietro a portare nel vecchio granaio di famiglia la sezione del partito e la Camera del Lavoro e a gestirvi lui stesso una piccola mescita. Quando l’idea mostrò di funzionare cominciai anch’io a trascorrervi quasi tutte le mie serate, mentre nel pomeriggio vi tenevo una specie di scuola di politica per i ragazzini interessati e vi svolgevo le pratiche del Patronato. Vi feci intervenire inoltre, attraverso il sindacato, qualche esperto per organizzarvi corsi di potatura o d’innesto e per informare i paesani delle opportunità che con la lotta si andavano conquistando, come i contributi della “legge montana” e i finanziamenti per la riattazione delle abitazioni, oltre all’indennità di disoccupazione e agli assegni familiari.

 

 Tra covo politico e centro di assistenza sociale, il granaio dello zio Pietro diventò il mio rifugio. Solo una gratuita occupazione in più. Ma ci scappava il bicchiere di vino, la partita a carte e la cantata.

 

 
 
 

L'AVVOCATO - 9

Post n°1991 pubblicato il 24 Settembre 2015 da anonimo.sabino
 

 

Andai a trovare Marisa, tornata a Roma dopo la breve vacanza, tutte le volte che mi recavo all’università e ottenni dai suoi genitori il permesso di farla uscire con me (era ancora necessario, allora).

 

A casa sua, nei pressi della Stazione Tiburtina andavo a piedi dall’Università, per risparmiare i soldi del tram. Furono tanti baci e tante carezze, tra i cantieri della Tangenziale in costruzione. Ma benché ci desiderassimo ardentemente, qualcosa ci trattenne dall’abbandonarci completamente alla passione amorosa. Non tanto il preconcetto, che pure sopravviveva, che la donna dovesse arrivare vergine al matrimonio, quanto il timore di crearle comunque un pregiudizio, a quei tempi e in quelle mie condizioni.

 

“Sii onesto”, mi dicevo: “Che cosa puoi offrirle? Chissà per quanti anni potresti vederla sì e no ogni dieci o quindici giorni; stare con lei e non poterle pagare un cinema o un gelato. Sei un disperato. Sii almeno onesto”.

 

Fui onesto e fesso. Per tutto l’autunno, man mano che le giornate si accorciavano, la notte ci coglieva, nel solito cantuccio appartato, a scaldarci tenendoci stretti in interminabili abbracci. L’amavo. Avrei voluto penetrarla, lei sì, nel corpo e nell’anima. Ma fui onesto: anche lei sapeva che avrei dovuto lasciarla; lo sapeva prima che le esternassi i miei pensieri. Ed io, che mi sarei scopato anche Santa Genoveffa, la lasciai, in una fredda giornata d’inizio inverno, con un semplice ultimo bacio.

 

Ero proprio un disperato. Per un esame da ripetere persi il diritto all’esonero dalle tasse del terzo anno. E lo stesso accadde per il quarto. Mi sentii solo e perduto. Quello stato di micragnosa indigenza mi fiaccava il morale, togliendomi, con la grande fiducia nella vita che mi aveva sempre sorretto, anche la voglia di studiare, già messa duramente alla prova dall’aridità scolastica degli studi accademici. Per trovare un lavoro ci sarebbe voluta una buona conoscenza. Ma chi, in quella pieve montana? 

 

Non mi arresi: per la prosecuzione degli studi Gino mi avrebbe compreso e aiutato. Gli chiesi un prestito di 50.000 lire, per pagare le tasse scolastiche; e lui me le tese subito, attraverso la mamma moriconese di Beatrice. Stracciai così il terzo anno di università. Ma per il quarto, pur avendo già superato quasi tutti gli esami più impegnativi, avevo esaurito risorse ed energie. Mi sentivo di crollare a pochi metri dal traguardo. Perfino la mamma, che aveva fatto dei miei propositi la sua personale ambizione, mi accompagnava ormai più alla rassegnazione che all'avanzata.

 

 
 
 


 

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